Sono andato in giro per Roma rispettando il dress code del tifoso laziale
Tutte le foto di Elena Fortunati.

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Sono andato in giro per Roma rispettando il dress code del tifoso laziale

Barbour, Ray-Ban e Clarks: ecco cosa si prova nel "portare sulle spalle l’eredità che ci è stata data in dote."

Nell'ultima settimana i tifosi della Lazio sono tornati a far parlare di sé per un'altra delle loro curiose iniziative. Prima in curva nord e poco dopo sul web—anche in versioni leggermente reinterpretate—ha circolato un volantino con un disegnino che dovrebbe rappresentare l'abbigliamento ideale del laziale in opposizione a quello "degli altri". Il primo rispondente ai dettami dello stile casual, l'altro, sostanzialmente, il Tony Effe dei microbi di Esplorando il corpo umano, descritto sul comunicato come simbolo "dei tempi in cui viviamo e di un declino sempre più visibile nella nostra città." Ai laziali il declino sembra non andare bene, dato che hanno diffuso questo volantino e che sempre nel comunicato si legge: "torniamo a ricordare chi siamo e che lo stile esteriore è stato sempre specchio di ciò che rappresentiamo."

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Ma cosa prevede questo stile esteriore del perfetto laziale?

In realtà è molto semplice anche per un non-laziale come me, e c'è persino la possibilità di combinare diversi outfit sia estivi che invernali. Per esempio un cappello di cachemire o uno da baseball con la visiera che è necessario sia piegata, occhiali rigorosamente Ray-Ban, mentre tra i giubbotti le alternative sono molte e ci si può sbizzarrire: Barbour, bomber, Schott, North Face, preferibile se con tonalità militari. Sui pantaloni si richiede un non meglio specificato taglio classico, e sulle scarpe un tris che non lascia spazio a interpretazioni: New Balance, adidas o Clarks. Che poi, per farla breve, bastava dire: vestitevi come se dopo la partita voleste andare a fare un aperitivo a Ponte Milvio. Laziali neo-pariolini, in pratica.

Con tutte queste opzioni a mia disposizione, e curioso di vedere cosa si provi nel "portare sulle spalle l'eredità che ci è stata data in dote," ho pensato di vestirmi per un giorno seguendo il codice d'abbigliamento del tifoso laziale—anche perché una volta ho avuto una relazione a distanza con una ragazza di Roma Nord e quando andavo a trovarla mi sentivo un turista scemo sempre a rischio di essere investito da una microcar.

Per prima cosa quindi stampo il volantino, aggiungo una B alla dicitura "giubotti" per timore di non essere compreso dai commercianti non-laziali ed entro in vari negozi d'abbigliamento chiedendo espressamente di trasformarmi in un perfetto esempio di "mentalità e nobiltà," proprio come i miei nuovi compagni di tifo—ricordiamo, tra i laziali più famosi, i Cugini di Campagna, Tommaso Paradiso, Enrico Montesano, Will Smith e suor Paola.

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Sul volantino non ci sono particolari direttive per quanto riguarda l'utilizzo di accessori o il taglio di capelli, l'unica cosa che so in questi casi è come non devo comportarmi: niente borsello, meno che mai rasature con la zazzera, assolutamente vietati i calzini di spugna e la sciarpa legata al braccio (insomma ai tifosi laziali fa cacare la trap e personalmente almeno in questo non posso dargli torto).

Dopo un paio di tentativi non andati a buon fine—in molti confondono la divisa del tifoso con la divisa da calcio e si limitano a propinarmi delle tute—incontro finalmente qualcuno in grado di aiutarmi.

È Flavio, grande sostenitore dei colori biancocelesti e abbonato da anni, che mi indirizza subito sui capi giusti, mostrandomi un Barbour, una camicia Ralph Lauren e un paio di New Balance.

Devo ammettere che appena li indosso sento qualcosa cambiare in me, come una strana sensazione di essere nato prima:

L'autore a metà del suo percorso di lazializzazione.

A questo punto decido di avventurarmi in giro per la città, per vedere come com'è la vita quando da laziale devi andare in giro a dispensare "norme di comportamento e di stile."

Inspiegabilmente, all'inizio incontro solo orde di turisti indiani totalmente avulsi al calcio e incapaci di riconoscere la mia mise da tifoso. Dopo averli convinti che non ho bisogno di soldi e aver spiegato la situazione, mi dicono che seguono più che altro il cricket e l'hockey su prato e che lì i tifosi non hanno un modo particolare di vestirsi. Che tristezza, giusto un falso storico come Del Piero poteva andare a giocare a pallone in India.

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Poco dopo incontro Andrea, che si fa persino un selfie con me e che mi racconta che anche lui è tifoso della Lazio. Mi spiega che il dibattito sull'abbigliamento del tifoso non è certo una novità di questi giorni e che non è la prima volta che i tifosi biancocelesti promulgano un dress code da seguire.

Andrea mi dice che i punti di riferimento provengono senz'altro dallo stile British e che i tifosi d'oltremanica sono sensibilissimi a tali questioni. Come per i laziali, mi spiega, hai una credibilità da mantenere e non ti puoi vestire come un coglione.

In quel momento però la mia preoccupazione principale è aver sbagliato numero di scarpe—mi fa malissimo un piede, il sinistro, come quello di Beppe Signori, ma non mi importa perché so che la strada verso la lazialità è lunga, tortuosa e con un conto salatissimo in lavanderia.

Me ne vado in giro canticchiando "noi siam corrente elettrica, corrente molto forte, chi tocca un laziale, pericolo di morte" e mi casca pure la birra per terra per l'emozione, ma per fortuna non ero a un "memorial derby".

L'autore durante la prova degli abiti.

In generale mi aspettavo maggiore entusiasmo da parte dei passanti, che mi guardano con indifferenza o al massimo come un idiota (ma forse perché fanno trenta gradi e io sto andando in giro con una giacca imbottita. Poveri, non capiscono che sto fermando il declino).

Decido così di provare un nuovo abbinamento, questa volta un po' più battagliero: bomber e zuccotto. Il risultato è che sembro più che altro un ladro ed è più o meno quello che mi dicono nella migliore delle ipotesi tutti i passanti che interpello.

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Tra questi c'è Ugo, tifoso della Fiorentina con il quale però solidarizzo nel momento in cui ci troviamo d'accordo sul fatto che la Roma è la squadra della banca, nata da una fusione, e che i nonni dei tifosi romanisti tifavano Lazio.

Proprio in quel momento passa un turista americano con il cappello della Roma, e dall'alto delle mie nuove facoltà in fatto di stile non posso fare a meno di notare quanto sia vestito di merda. Con quel borsello, sono certo, non potrebbe mettere piede "nemmeno in sessantesima fila."

Essendo il primo e unico incontro avuto nel corso del pomeriggio con un tifoso dell'altra sponda, neanche fossimo a Roma Nord, lo vivo con la solennità delle rassicurazioni di Cragnotti sulla solidità economica della società. Lo seguo persino per un po', intonando un "battiamo le mani ai veri laziali" estemporaneo.

Anche lui, però, non mi nota.

Arrivato a conclusione del mio tentativo di lazializzarmi per fermare il declino—riuscendo però soltanto a sembrare un neo-pariolino o un ladro, due entità che non possono contrastare in alcun modo il progresso della civiltà—riporto in negozio i capi indossati nel corso della giornata facendo i conti delle centinaia di euro che ho risparmiato smettendo di essere laziale.

È allora che mi fermo per un attimo a riflettere sul dubbio più grande di tutti sulla questione del dress code: perché dovrei investire così tanti soldi in questo stile esteriore e andare a vedere una squadra che Lotito, con il suo braccio corto, ha fatto prendendo i giocatori in offerta su Subito.it?

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