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Uno, nessuno e Van Damme

Percorriamo a ritroso la carriera di un grande attore spesso incompreso, un maestro di calci in bocca e di vita.

Jean-Claude Van Damme è considerato da tutti il protagonista di almeno 20 fra i più brutti film mai realizzati. Eppure, poche settimane fa ha inaugurato a Bruxelles una statua a grandezza naturale: la sua. C’erano anche la mamma e il papà.

Se il tributo vi sembra eccessivo considerate anzitutto che come opera, in confronto a quella di Papa Wojtyla di fronte alla Stazione Termini a Roma, è un capolavoro che arricchisce chiunque la guardi.

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In secondo luogo, se rientrate nella categoria degli amanti dell’intrattenimento ‘action-soft’, di Cristopher Nolan, The Avengers, Prometheus e di tutta quella roba in cui, se ci si mena, c’è bisogno anche di uno straccio di trama che lo imponga, sappiamo già che non potete capire, o meglio, non ammetterete mai che Jean-Claude è un attore enorme, l'unico capace di aver compiuto un vero e proprio miracolo.

Più o meno nel 2008, dopo 32 film in cui si smarriva nella foresta pluviale con un serpente fra i denti, o si esibiva nella tecnica del Maestro Ubriaco sui dancefloor thailandesi, o in mimetica da rabbino si nascondeva fra le strade di Gerusalemme, o saggiava le natiche a decine di modelle, JC ha capito finalmente che non sarebbe MAI entrato nel "giro che conta". Che il suo progetto di fondere vita e lavoro in un unico rumore bianco da cui sono assenti ogni dignità e ogni logica non lo avrebbe portato al successo neanche a settant’anni. A questo punto, deve aver pensato, "tanto vale recitare, cazzo."

Perciò ha preso la sceneggiatura di un film-parodia su se stesso e, catturato un regista, l’ha riscritta insieme a lui fino a farla diventare JCVD, un falso documentario, che è anche un film di rapina, che è anche "Sofocle secondo Van Damme", che è anche, in altre parole, un fottuto capolavoro.

Come abbia fatto un attore a diventare un attore solo dopo 22 anni di carriera di attore, a compiere questa miracolosa non-trasformazione, si può spiegare solo ripercorrendo a ritroso le tappe di un'esistenza vissuta sotto l’impulso del camuffamento costante. Ed è questo che faremo con voi, cercando di capire e prendere esempio dalle gesta di un campione di calci in bocca e di vita.

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2012: IL METODO STRASBERG

Per interpretare Jean Villain (sic), il kattivo molto kattivo de I Mercenari 2, ha iniziato a usare il famoso Metodo Strasberg: sul set, in Bulgaria, non ha parlato con nessuno e ha maltrattato la troupe fino alla fine delle riprese. Poi si è scusato, doveva solo "entrare nel personaggio". Se solo quel tordo di Ben Affleck prendesse esempio da lui! Ovviamente è stato un sacrificio. Infatti, di notte, dopo le riprese, sfogava tutta la sua socialità al bar in gare di braccio di ferro con dei ciccioni bulgari che poi gli rubavano l’orologio costringendolo a spaccare tutto per la rabbia. Continua nella pagina successiva.

2008: COME ANDRE AGASSI

È questo l’annus mirabilis in cui Van Damme diventa un attore. Forse è convinto che i membri della sua fanbase somiglino tutti al fumettaro dei Simpson, che i suoi sostenitori, quando non vedono un suo film, giochino agli hentai punta-e-clicca. Fatto sta che decide di interpretare se stesso nel già citato JCVD, film in cui lui non fa che darsi dello sfigato di continuo. Ora, quando uno si dà dello sfigato di solito è un vanitoso e ci è antipatico. Qui però stiamo parlando di Jean-Claude Van Damme triste come non mai, che, dopo aver perso la custodia della figlia perché gli amichetti di lei la prendono in giro per via del padre, va in banca a Bruxelles e viene preso in ostaggio con altre persone durante una rapina, lui si offre come mediatore, ma la polizia crede che il rapinatore sia lui, che nel frattempo NON MENA NESSUNO; poi a metà film Jean-Claude si innalza con la sedia verso il soffitto dove si vedono i riflettori del set e sfonda la quarta parete comunicando direttamente allo spettatore, piangendo, la considerazione che ha di sé.

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E con questo trash-memoir si mette a posto la coscienza, proprio come ha fatto—l’accostamento non vi sembri sacrilego—Agassi con il suo Open.

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1995-2004: MENTRE MORIVO

Ciò che rende interessante una persona è spesso l’indifferenza, se non il disprezzo, verso il proprio benessere. JCVD fu forse il primo a farmi capire in che modo, e in che senso, un’immagine pubblica si contamina e muore.

I film di arti marziali avevano fatto del suo corpo levigato una celebrità, ora Jean-Claude era comunque deciso a tralignare: diventando un personaggio di Bret Easton Ellis. Come se avesse introiettato la tag-line di Senza Tregua (film con cui aveva fatto esordire John Woo a Hollywood), "Non dare la caccia a ciò che non puoi eliminare", JCVD accoglie e rigurgita tutto il peggio del decennio.

Ho mescolato alcune immagini con frasi estrapolate da "Van Damme", un pezzo di Dargen D’Amico dedicato al nostro eroe: prendetelo come un sunto del gusto corrotto nei secondi anni Novanta.

"Devo ricordarmi di tenerla alta la guardia, perché altrimenti poi../ Ah, na! Accidenti l'ho abbassata per un attimo, e niente da fare, anche per oggi mi sono innamorato!"

JC si sposa a casaccio. La terza e la quinta moglie sono la stessa persona.

"Se resto solo al buio muoio/ come Pantani"

JC interpreta fedelmente il menù dello sportivo: pollo, uova e chili di bamba.

"I soldi sono niente se non mi fai pendant"

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JC vince un Razzie Award per la miglior peggior coppia con Dennis Rodman nel film Double Team - Gioco di Squadra (1996). I dialoghi tra i due sono tipo:

JCVD: "Dov’è mio figlio! Dov’è!"

DR: "Lo sto cercando, lo sto cercando! Era proprio qui!"

Nel film il cattivo (Mickey Rourke) vuole fare mangiare il figlio di JCVD da una tigre all’interno del Colosseo; poi il Colosseo esplode. L’acconciatura stravagante è il segno del declino popolare di Van Damme: a Bruce Willis non avrebbero mai fatto una cosa del genere.

"…ma sui manuali di arti marziali non trovi nessun capitolo /che ti eviti di sembrar ridicolo"

 In uno spot Coca Cola del 1999, un attore di arti marziali di nome Jean-Paul finisce ko per una bottiglia di Sprite lanciatagli in fronte da un ragazzino. JCVD si rende conto che non è Jean-Paul Belmondo che stanno prendendo per il culo, ma proprio lui. È tutto finito.

JC, disperato, tenta di recuperare  lanciando una propria linea di abbigliamento. Messa insieme, credo, con le rimanenze di magazzino che gli Hard Rock Café gli cedono a prezzo di stock.

"Nessuna arte marziale /può impedire un amore dittatoriale"

Nonostante il nemico di default nei suoi film sia ‘la mafia russa’, JC trova in Putin un protettore e un amico

Detto questo, resto in fiduciosa attesa che Bret Easton Ellis inizi un giorno a scrivere la biografia di Van Damme.

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1988: LA SPACCATA SULL’INDUSTRIA

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"Sull’industria faccio la spaccata come Jean-Claude" è un verso di "JCVD" dei Club Dogo. In effetti, la spaccata disperata Van Damme la fa davvero, un giorno, al termine degli anni Ottanta: aspetta fuori da un ristorante un produttore di merda kung fu su pellicola, poi gli fa volare sopra la testa un calcio dimostrativo a 360 gradi. Sotto contratto subito.

I film che girerà saranno tutti ambientati in un Oriente fintissimo, film che avremmo potuto scrivere io, Jake La Furia, chiunque, purché sotto i 12 anni. Ma non è questo che conta.

Van Damme si trasforma in una diabolica macchina desiderante, un integratore del solipsismo infantile.

I suoi film "orientali", in cui partecipa a tornei segreti a Hong Kong o apprende l’arte della deforestazione con la tibia sotto la guida del Maestro Miyagi di turno, infatti, si fondono con l’infanzia di qualunque ex bambino occidentale che sia stato, come dicono gli editorialisti tristi, "allattato con il mezzo televisivo": con la mia, per esempio.

Ogni volta che desiderassi evadere da qualche luogo—tipo un campo estivo—sognavo forte che un Van Damme ex machina calasse per dirmi "Facciamoli bere e poi facciamogli il culo!", scatenandosi poi nei suoi celebri Tibiate Affette Dalla Sindrome Di Tourette, cioè lo stesso calcione ripreso da angolazioni diverse e montato, a scatti, in sequenza: come se qualcuno stesse usando una loop machine,  Van Damme urla al suo nemico YAAA/YAAA/YAAA/YAAA/YAAAAAAAAAA.

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È sempre lo stesso calcio.

Anni dopo mi sono reso conto che vedere dei massoni costretti a defecare in un vaso di fiori perché non riescono a uscire dal salotto, ne L’Angelo Sterminatore di Buñuel, provoca in me lo stesso rilascio di endorfine delle Tibiate-Tourette.

Sarà che il latte del mezzo televisivo è ad alta digeribilità. Continua nella pagina successiva.

1960-1981: UNO, NESSUNO E VANDAMMM

Se Van Damme avesse un nipote di 22 anni sarebbe oggi uno di quei nonni che ripete di continuo "io alla tua età avevo dei sogni, delle aspirazioni!". A 22 anni infatti lui voleva fare l’attore. Come abbiamo visto, ci riuscirà solo nel 2008, ma ha cominciato presto a provarci.

Uno stalker. Karateka, kickboxer e bodybuilder, Jean-Claude Van Verenberg abbandona Bruxelles e la palestra dal nome profetico—California Gym—che ha fondato lì, e si trasferisce negli Stati Uniti. Si rifà un cognome. È forse un intuito situazionista a suggerirgli, per la sua massa levigata da ballerino-magazziniere, un nome  ancora più mellifluo, quasi da go-go boy. Comincia a correre dietro ad attori, produttori, chiunque, finché nel 1986 ottiene il primo ruolo serio: un russo molto cattivo. Uno dei pochissimi cattivi che interpreterà. Perché Jean-Claude è buono, è un pezzo di pane, se ne accorgono tutti.

Un ballerino. La determinazione accomuna i grandi visionari e i grandi muscolari. Nello stesso anno in cui David Lynch bivacca negli studi in cui gira Eraserhead perché è senza soldi, Jean-Claude, a 16 anni, inizia a studiare danza classica. L’istinto per la comunicazione non verbale lo domina, il corpo è la sua mistica. Di certo non può immaginare che le ore alla sbarra gli torneranno utili, un giorno, solo in occasioni come questa.

Un karateka. Ancora prima della danza è stato ovviamente un karateka. In futuro JC si vanterà di aver vinto, da ragazzo, i Campionati Europei nei pesi medi, ma fino a poco tempo fa nel suo passato giovanile erano state trovate tracce di vittorie solo in tornei amatoriali. Non so esattamente come stiano le cose, ma ogni volta che gli hanno dato dell’impostore JC ha sempre fatto replicare dal suo avvocato la ben poco probante affermazione che lui, comunque, "non avrebbe mai avuto bisogno di stunt-men, nella sua carriera futura!".

Un bambino. Jean-Claude Van Varenberg è un bimbo gracile, timido e nerdy. Sua madre è fioraia, suo padre ragioniere, lui adora i fumetti e la musica classica. A 12 anni il padre lo manda in palestra affinché il karate rimedi alla sua debolezza fisica. Sembra l’inizio di una barzelletta kafkiana. Il profilo infantile di uno psicopatico. In un certo senso sono vere entrambe le cose: un’entità mitteleuropea e bipolare di nome Van Damme sta muovendo i primi passi nel mondo, un mondo che lui non è in grado di decifrare, e per questo vuole prendere a calci. Nel perimetro del Dojo, tutto sommato, ha potuto ottenere quel rispetto che il mondo non gli avrebbe mai concesso.

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