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Finché la chiamerete NoLo o Bronx, non capirete niente di via Padova

Vivo in zona via Padova da tre anni, e non sopporto il fatto che le autorità e i media considerino il mio quartiere solo secondo la dicotomia "zona emergente vs ghetto pericoloso". Anche perché è una visione che fa solo altri danni.
Sonia Garcia
Milan, IT

Foto di Guido Borso.

Sono sei anni che vivo a Milano e da tre, più o meno, abito in zona via Padova-Loreto, grande ed esteticamente orribile crocevia situato a nord-est dal centro città. Punto di sfogo di Corso Buenos Aires, ossia una delle vie commerciali di Milano più pullulanti di vita, piazzale Loreto fa da collante tra l'affermata realtà della Milano "bene" interna alla circonvallazione, e quella in gestazione di NoLo, il neoquartiere preferito dalle agenzie immobiliari che si estende a nord est del piazzale stesso, attorno a viale Monza, via Padova, via Leoncavallo, etc.

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Fino alla settimana scorsa, in effetti, ho abitato in via Ricordi, prima traversa di via Porpora, dove una notte di un anno e mezzo fa circa sono stata aggredita e derubata da un tizio, proprio davanti al portone di casa. Allora non si sentiva ancora parlare di nessuna "NoLo," ma per la prima volta ho fatto i conti con un luogo comune rivelatosi schifosamente vero: Loreto era una zona di microcriminalità. Rendermene conto così brutalmente mi ha infastidito non poco, ma tutt'ora sono restia a etichettare la zona come "pericolosa" perché mi sembra poco esplicativo di tante altre dinamiche che hanno luogo da queste parti.

A dire il vero non ho mai trovato congeniale nemmeno la modalità opposta con cui si è parlato del quartiere negli ultimi mesi (prima di qualche giorno fa), quella per cui NoLo è passato da progetto relegato a un certo numero di artisti, volenterosi di trasformare l'area in un nuovo terreno fertile per le attività commerciali dei settori "creativi", a vero e proprio quartiere cittadino, con riconoscimenti ufficiali e gentrification galoppante. L'idea percepita era quella della trovata commerciale per speculare economicamente sugli abitanti storici della zona, a solo ed esclusivo vantaggio dei "giovani artisti" in cerca di nuove esperienze.

Il sindaco di questa città, invece, di scrupoli di etichetta non ne ha avuti sabato scorso dopo la sparatoria all'imbocco di via Padova, poco fuori dalla metro di Loreto, 100 percento regolamento tra bandillas sudamericane, in cui ha perso la vita Antonio Rafael Ramirez. Come a volerlo imitare, ogni testata giornalistica non ha esitato a descrivere via Padova come meglio credeva, quindi come un "posto pieno di stranieri" dove "non si può lavorare tranquilli."

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Sempre secondo il Corriere della Sera, via Padova è un luogo dove "scorrono lacrime"; e per la precisione: "le lacrime di via Padova sono impastate di sudore e saliva come il volto di un sudamericano appisolato ai tavolini del Manaba, al civico 65, locale ecuadoriano che ha aperto alle cinque di pomeriggio e sta quasi per chiudere quando ormai sono le tre. […] Le lacrime delle notti di via Padova sono lacrime acide come l'odore che sale dalle scale del palazzo di via Arquà 20, dove dietro le finestre si agitano ombre anche alle quattro del mattino e sulle cassette postali ci sono solo sette nomi italiani su 60." E NoLo che fine ha fatto, in tutto questo?

A Milano non lasceremo il tema della sicurezza a chi gioca sulle paure della gente https://t.co/y7NbWi15eE
— Beppe Sala (@NoiMilano2016) 17 novembre 2016

Sono ben lungi dal conoscere appieno la reale biologia degli innumerevoli tessuti adiacenti a via Padova/viale Monza, ma vivendoci, non me la sento di negare l'esistenza di certe criticità sul territorio estendibili a una dimensione "di quartiere". Penso sia una nota non di poco conto, che affonda le sue radici nel ruolo che, storicamente, determinate parti di città hanno rivestito anche a opera e vantaggio della criminalità organizzata—nulla di troppo diverso dall'aria che tira a Centrale, Romolo, Lotto, o Lodi dopo una certa ora. Esattamente come questi altri nodi cittadini, punti di contatto tra realtà periferiche e centrali, Loreto ha permeabilizzato il territorio a ogni tipo di esperienza—anche di violenza—da molto prima che NoLo venisse inventata.

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La delicata fase di transizione (già approfondita su VICE) da quartiere multietnico per eccellenza di Milano—e perciò "pericoloso"—a "nuova Brooklyn" ha fatto sì che, all'occorrenza, l'opinione pubblica vi si rivolgesse con registri linguistici contrapposti, relativi a proprio questa dualità: quartiere degradato perché multietnico vs quartiere ricco di risorse proprio a partire dall'alta concentrazione di residenti/lavoratori stranieri.

Questa dicotomia di comodo ha portato alla perdita di contatto con ciò che in queste strade succede realmente, perché viene data priorità all'incanalamento di paura e angoscia, invece che all'analisi oggettiva di tutti i dati disponibili sul territorio.

Mi spiego: l'omicidio è avvenuto e il tasso di criminalità, in via Padova, è sicuramente più alto di molte altre zone di Milano; solo un incosciente chiuderebbe gli occhi di fronte a tali evidenze. È altrettanto innegabile, però, che a catalizzare questa presa di coscienza, trasformandola ad hoc in strumento politico, c'è un preciso mantra mediatico la cui tecnica è il sensazionalismo.

Ciclicamente, fatti di cronaca come quello di sabato—l'omicidio precedente in via Padova risale al 2010, Ahmed Abdel Aziz el Sayed Abdou, un ragazzo egiziano di 19 anni che è stato accoltellato da un gruppo di sudamericani—vengono presi e rigirati come calzini da partiti politici, sindaci, liberi cittadini, per denunciare una qualche amara verità "che-nessuno-vuole-ammettere" per le quali l'unica soluzione sembra essere la sorveglianza.

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Ma tra gli abitanti la percezione del pericolo è assai distante dai quadri forniti dai media. E sia chiaro, non sto negando la veridicità di certe situazioni critiche: ma solo cercando di riportare il dibattito a una dimensione più umana, verosimile, in cui si cessa di considerare gli abitanti di via Padova e dintorni come intimoriti dal loro stesso quartiere. Il dialogo non può essere così facilmente manovrabile dai singoli—disturbanti—fatti di cronaca.

Invece di porsi queste domande, mi sembra che sia stampa italiana che lo stesso sindaco di Milano prediligano investire in una sensazione escludente come la paura, solo perché più alla portata di tutti. Così facendo si sedimenta una sensazione di allerta perenne che finisce per costituire la base fondante di tutto il qualunquismo con cui vengono trattate le complessità del caso.

Ciò nuoce su più fronti: chi ci abita non si sente rappresentato appieno da nessuno, perché nessuno è davvero in grado (o, forse, ha davvero voglia) di raccontare orizzontalmente le realtà di NoLo/Loreto, anche da un punto di vista etnografico. Chi non ci abita non solo rimane sicuro di un'immagine cristallizzata di una via Padova pericolosa e irrecuperabile, ma ancora peggio: la neutralizza come cliché silenziato, qualcosa che non va più di moda dire, ma che tutti in fondo al cuore conoscono fin troppo bene. È difficile rapportarsi con una città che sceglie di approcciarsi alle periferie—anche quelle percepite come tali—come a dei veri e propri problemi, e solo in un secondo momento come a potenzialità e/o ricchezza.

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Per tornare al dualismo delle cronache, infatti, un giorno abbiamo la fortuna di trovarci in un quartiere con un potenziale di sviluppo culturale molto alto; il giorno dopo le vie sono disseminate di trans—perché senza ombra di dubbio nel 2016 un trans costituisce un pericolo—spacciatori e delinquenti, e l'unica garanzia di protezione è l'esercito.

Qualche settimana fa mia mamma, camminando per via Padova, ha detto: "Via Padova mi piace perché è viva, c'è un sacco di via vai a ogni ora. Peccato solo per gli ubriachi [mia mamma è intransigente con gli alcolizzati]". Ancora nessuno era stato ucciso, e l'unica interpretazione esterna possibile a una quotidianità come quella di Loreto/NoLo era proprio quella ottimista, proiettata verso un futuro in cui i tratti distintivi della multietnicità dell'area ne diventano i principali punti di forza.

Dopo sabato, invece, ho capito come il "realismo" del pericolo e della minaccia sia lo strumento sensazionalista per eccellenza, in grado di nutrirsi di tutti quei "non possiamo chiudere gli occhi davanti all'evidenza" infettati quasi sempre di razzismo.

È bene rendersi conto che andiamo verso un'accettazione passiva, e ormai per molti anche inconsapevole, di uno stigma dalla valenza esclusivamente politica. Aumentare la presenza dell'esercito appare così una soluzione efficace perché visibile e comoda, a prescindere dalla contraddizione di fondo tinta di ipocrisia di voler investire proprio sull'immagine hip di via Padova/NoLo—ma con un metodo così invasivo come l'aumento del numero dei militari per le strade.

Posto che il potenziamento di Strade Sicure non sia una sparata mediatica—cosa che con molta probabilità è—del sindaco Sala, come può NoLo divenire il polo creativo con funzione risanante del territorio, se l'unica forma di tutela è la sorveglianza militare? Quando magari smetteremo di considerare questo quartiere come un brand qualunque, forse, potremo riparlarne.

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