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Alcuni expat italiani ci parlano del paese in cui vivono

I giovani italiani che si trasferiscono all'estero sono sempre di più: abbiamo chiesto ad alcuni di loro i motivi di questa scelta e cosa offre il paese in cui stanno oggi.
Foto di Justinas Vosylius.

A quanto emerso dal report "Italiani nel mondo" della Fondazione Migrantes presentato lo scorso venerdì, nel 2015 un italiano su 12, con un rapporto che aumenta nettamente se si guarda alla fascia tra i 18 e i 34 anni, ha scelto di trasferirsi all'estero.

Se il fenomeno non è di certo nuovo, la sua incidenza è raddoppiata rispetto a dieci anni fa ed è in sensibile aumento rispetto al 2014. Tra le mete preferite di tutto il campione esaminato ci sono Germania, Regno Unito, Svizzera, Francia e Brasile, mentre tra i paesi che hanno assistito a un maggiore aumento degli arrivi compaiono anche Argentina, Spagna, Australia, Stati Uniti e Belgio.

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Per capire i motivi che spingono—tra gli altri—molti nostri coetanei a lasciare l'Italia per una delle mete sopra elencate, ci siamo fatti raccontare da alcuni di loro cosa offre il paese in cui stanno oggi, come si sono adattati e se sono o meno soddisfatti.

AMANDA, 23 ANNI, TRADUTTRICE E INSEGNANTE DI ITALIANO
GERMANIA

Ho fatto l'Erasmus a Berlino, e in quel periodo ho deciso che mi ci sarei trasferita dopo la laurea. Questo succedeva un anno fa, e oggi posso dire definitivamente che comincio ad ambientarmi e a trovare il mio spazio in questa città. Di conseguenza, sono contenta della mia scelta, anche se col senno di poi vorrei essere partita con un po' di consapevolezza riguardo alle reali condizioni di vita che offre la Germania—consiglio che do anche agli italiani che mi dicono di volersi trasferire.

Si tratta infatti di una città molto internazionale, stimolante e ricca di attività culturali e artistiche. Rispetto all'Italia—e grazie ad alcuni sgravi fiscali non da sottovalutare—la Germania offre più incentivi ad aprire un'attività come libero professionista e ha un sistema di ammortizzatori sociali che funziona fin troppo bene (ricordo un connazionale che alla mia domanda "che lavoro fai" mi rispose "il disoccupato"). Al contempo, la burocrazia è molto ingombrante e rappresenta uno degli ostacoli più difficili da superare: negli uffici quasi tutti parlano solo tedesco—un tedesco tecnico per cui una media conoscenza della lingua non aiuta—e non esiste modulistica in inglese.

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Il costo della vita a Berlino non è alto come in altre capitali europee, e al di là di tutti i lati positivi questo spesso non stimola chi arriva qui a cercare di migliorarsi dal punto di vista professionale. Dopo aver trovato un primo impiego perché rimettersi a studiare, perché imparare l'inglese, perché tornare all'università, perché cercare un lavoro meglio retribuito se con il tuo part-time come cameriera puoi tranquillamente arrivare a fine mese? Per quanto mi riguarda, l'idea è quella di tornare in Italia, dove potrei svolgere lo stesso lavoro che svolgo oggi, ma sicuramente un'esperienza all'estero nel mio CV era fondamentale.

Madrid, Spagna.  Foto di Manu Raivio.

GIORGIO, 32 ANNI, CONSULENTE MARKETING DIGITALE
SPAGNA La decisione di trasferirmi in Spagna è arrivata un po' come un'improvvisa rivelazione. Ero in un pronto soccorso di Amsterdam, strafatto di funghetti messicani, e ho capito che non ero soddisfatto della mia vita, che vivevo per inerzia in un mix di rassegnazione e cinismo. Avevo 24 anni, stavo finendo l'università e avevo sempre vissuto in Sardegna. Non potevo permettermi un master al di fuori della regione, così ho deciso di concorrere alla borsa Erasmus con l'idea di non tornare mai più in quel buco di culo di città da cui venivo. Di tutti i miei amici, solo in pochi hanno capito questa decisione. La maggior parte mi ha detto che sbagliavo, che me ne sarei pentito e che sarei tornato strisciando.

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Oggi sono a Madrid da otto anni, e la sento un po' casa. Mi sono trasferito qua esattamente una settimana dopo la caduta della Lehman Brothers e ho vissuto la Spagna nel mezzo della sua crisi economica, quando la disoccupazione dilagava insieme alle leggi repressive, e in nome dell'austerità veniva approvata una pessima riforma del lavoro.

Se qualcuno mi chiedesse un consiglio gli direi di emigrare assolutamente in un paese dove non ci sono sei milioni di disoccupati, ma tutto sommato sono molto soddisfatto della mia scelta. In Spagna esistono ancora una freschezza mentale e un fervore giovanile che non ho avuto modo di riscontrare in Italia. Inoltre è più vivibile in termini di trasporti, sanità, e qualsiasi altro tipo di servizio pubblico. Potrei fare il mio lavoro anche in Italia dato che lavoro da casa, ma a tornare non ci penso nemmeno.

GIOVANNI, 27 ANNI, PRODUTTORE CULTURALE/CURATORE
BRASILE

Nel 2013 mi sono preso due mesi di vacanza, e il volo più economico per il posto più lontano da Milano era San Paolo, dove da bambino avevo vissuto nove anni. Da allora sono passati tre anni, nel corso dei quali ho aperto un centro culturale e lavorato in diversi progetti legati ad arte e musica.

Prima di tutto va chiarito che San Paolo non è il Brasile: è una delle cinque città più grosse al mondo e ha poco da spartire con alcune zone del paese. Il Brasile ha alcune differenze con l'Italia alle quali bisogna abituarsi: prima di tutto qua sono costantemente in ritardo, e poi hanno difficoltà a gestire le critiche. Tutto quello che fai è fantastico, sei sempre bravissimo e si aspettano di ricevere lo stesso trattamento da te—cosa che quando non avviene li offende. Ad esempio, se ti fanno ascoltare il loro disco, e quello non ti piace e glielo dici, non vogliono stare a sentire il perché, ci rimangono male e basta. Ovviamente sto esagerando. Ma non troppo. Anzi, secondo me questo è un problema serio.

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Per il resto San Paolo è piena di contraddizioni, ma ha una scena culturale interessantissima. È una città giovane, in cui l'età media è 28 anni, ed è un polo economico di importanza internazionale—tutti fattori che stimolano la produzione culturale e gli investimenti. Questo crea tutta una serie di problematiche legate alla distribuzione delle risorse, al fatto che una buona parte della società è esclusa dal circuito, ma è importante dire che le cose stanno cambiando, anche se la situazione politica degli ultimi mesi è drammatica.

Potrei fare questo lavoro ovunque, ma in Italia le politiche pubbliche e la cultura sono molto più lente, e per adesso non so se tornerei a viverci. A chi invece ha l'idea di trasferirsi qui direi di pensarci due volte e di studiare la burocrazia brasiliana—in efficienza compete con quella italiana.

ANDREA, 29 ANNI, BAR-SUPERVISOR, FREELANCE EVENT MANAGER
SCOZIA

Mi sono laureato in Sicilia, e una volta ottenuta la laurea volevo proseguire gli studi e specializzarmi nel settore del turismo e degli eventi. L'idea era quella di spostarmi dall'Italia e imparare l'inglese, e facendo un calcolo del rapporto offerta della città/costo del master, Edimburgo era la scelta migliore nel Regno Unito. Ho finito la specializzazione mentre per mantenermi lavoravo come bartender e, passati due anni e mezzo tra Scozia, Barcellona, e Sicilia, alla fine sono tornato a Edimburgo con l'idea di fermarmici per un po'.

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La prima caratteristica a cui penso riguardo alla Scozia, freddo a parte, è che si tratta di un paese molto inclusivo e rispettoso—in cui uno come Salvini non verrebbe mai nemmeno preso in considerazione.

Anche qua, come in ogni parte del mondo, si ragiona per stereotipi, ma a differenza di quanto avviene da noi spesso sono positivi. Per quanto riguarda invece l'ambiente lavorativo, questo paese mi offre una flessibilità che fa sì che svolgere lo stesso mestiere in Italia risulterebbe possibile, ma molto più difficile. Ricordo ancora quando chiesi al mio datore di lavoro dei tempi in Sicilia (col quale ovviamente avevo un contratto di lavoro falsissimo) se poteva ridurmi le ore per consentirmi di finire la tesi e lui rispose licenziandomi.

Quindi, anche se tornare non mi dispiacerebbe, per ora mi sento di dire che rifarei questa scelta tutta la vita, e a chi sta ponderando la stessa scelta dico: l'inglese che sapete qui non serve a un cazzo!

Bruxelles, Belgio. Foto di  Ulrike Biets.

ELISA, 27 ANNI, POLICY ASSISTANT
BELGIO

Nel 2012 mi sono trasferita a Bruxelles per seguire un master in Studi Europei, e una volta finito ho deciso di fermarmi per conoscere da vicino il mondo UE. È una scelta di cui sono molto contenta e che rifarei assolutamente. Con questo non intendo dire che il Belgio sia perfetto e l'Italia sia impossibile da vivere: sinceramente non mi sono mai sentita un cervello in fuga (o una straniera all'estero) né, considerata la mobilità che offre oggi l'Europa, credo al paragone con le ondate migratorie di altri tempi.

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Il Belgio, come tutti i paesi, ha pregi e difetti. Mi ha dato la possibilità di crescere e imparare in contesti vari e multi-culturali, di esplorare temi a cui sono molto legata. Lavorando nel campo dell'Unione Europea, Bruxelles offre possibilità enormi. Per il resto, qua il mercato del lavoro è mobile, e il networking può risultare molto utile—un aspetto che ha lati negativi e positivi. Networking a parte, contano il CV, le lettere di motivazione, i concorsi, con il vantaggio che finora ho incontrato sempre poca burocrazia. L'idea di tornare in Italia tra un po' di tempo non mi dispiace, anche se, che sia per motivi politici o pratici, qui la connessione con l'Italia è costante, nel lavoro come nella vita di tutti i giorni.

Se dovessi dare un consiglio alle persone che vogliono venire a Bruxelles, almeno nell'ambito che conosco, è quello di credere in ciò che si fa, studiare, avere le idee chiare e la testa aperta.

TOMMASO, 30 ANNI, ARCHITETTO
SVIZZERA

Mi sono trasferito a Ginevra per motivi quasi esclusivamente professionali: è un paese culturalmente incline all'opera architettonica. Quello che è unanimemente considerato il più grande architetto di tutti i tempi, Le Corbusier, era svizzero, alcuni dei migliori architetti contemporanei a livello mondiale sono svizzeri, e alcune fra le migliori scuole di architettura a livello europee sono svizzere.

La Svizzera offre molte cose, che non sono facilmente sintetizzabili ma immaginabili per chiunque. Mi riferisco soprattutto all'aspetto professionale, dove c'è la possibilità di fare carriera, un grande dinamismo e stipendi quattro-cinque volte superiori a quelli italiani. Se poi devo parlarne dal punto di vista pratico, anche la Svizzera ha i suoi problemi, come la difficoltà di trovare casa: gli alloggi sono pochi rispetto alla domanda.

Se devo dare un consiglio ai ragazzi italiani—parlando per quello che è il mio settore—direi di fare concorsi organizzati in Svizzera dall'Italia: ce ne sono almeno quattro al mese, mettete qualcosa di svizzero nel vostro portfolio. Per quanto riguarda me, sono molto orgoglioso della mia scelta, e tornerei in Italia soltanto se potessi sentirmi altrettanto soddisfatto di quello che devo fare per otto ore al giorno. Purtroppo, ora come ora, la vedo dura.

VITTORIA, 25 ANNI, DISEGNATRICE
FRANCIA

Avevo 18 anni quando mi sono trasferita in Francia, e non l'ho fatto spinta da una passione verso questo paese, ma per via delle possibilità che offriva a livello accademico, per imparare la lingua e per la voglia di fuggire dall'Italia. C'è stato un primo periodo in cui l'ho veramente odiata—anche se credo che non fosse odio per la Francia in sé ma la reazione al trovarmi in un posto che non conoscevo, con una cultura e una lingua diverse dalla mia. Oggi sono contenta della mia scelta, e quando i miei amici italiani prendono in giro la Francia mi ritrovo a difenderla.

Ero molto giovane quando mi sono trasferita, quindi è difficile indicare cosa offre rispetto all'Italia, ma posso dire con certezza che ogni volta che torno a casa percepisco una fortissima sfiducia verso il futuro e un senso di malessere tangibile—sentimenti a cui la Francia non è immune, ma che sono meno pronunciati. Per il resto, la barriera più grande all'inizio è ovviamente rappresentata dalla lingua e dalla cultura. Superate quelle, le scuole sono molto molto dure, il lavoro molto stressante, e i francesi spesso nervosi, ma si tratta di aspetti che non sono solo negativi, dato che rendono questo un paese vivo e stimolante. Quindi, nonostante in futuro mi veda in un posto molto più esotico della Francia, la consiglierei a tutti gli italiani, e ho tre consigli: sentitevi liberi di sfoggiare l'accento italiano, qui lo trovano sexy; liberativi dei pregiudizi; non fate battute sulla famosa pubblicità degli anni Novanta—l'ho fatto per un anno e posso assicurare che qua non la conosce nessuno.