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Il ristorante stellato più economico del mondo è anche uno dei migliori

Tim Ho Wan è una catena di ristoranti che fanno dim sum a prezzi popolari, in controtendenza rispetto alla cultura del cibo di Hong Kong, dove tutto è lusso, ostentazione e recensioni su internet. Siamo andati a provare come si mangia.

Chiunque conosce la Guida Michelin, ma molti danno per scontato che tutti i ristoranti stellati recensiti siano di alta cucina. Nella realtà, invece, non è così. Uno, in particolare, è una semplice catena di Hong Kong che fa dim sum. Sono stato da Tim Ho Wan, il ristorante stellato più economico al mondo, e ho scoperto che ai clienti abituali non importa che le loro colazioni siano considerate tra i piatti più prelibati del pianeta.

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Sham Shui Po, Hong Kong. Foto dell'autore

Tim Ho Wan è stato creato da un ex cuoco del Four Season di Hong Kong specializzato in dim sum, che ha deciso di abbandonare i grandi buffet per fare semplici e deliziosi piatti, unendo la tradizione a tecniche finissime. Ha cominciato con un ristorante, poi il suo business si è ampliato, e tre dei suoi cinque locali di Hong Kong sono entrati nella Guida Michelin.

Il mio preferito è nel quartiere operaio di Sham Shui Po, dove garage incasinati si alternano a vecchie stamperie. Un paio di mesi fa ero già stato qui per visitare il quartier generale di un culto cristiano un po' losco. Era ora di pranzo e le "mense" locali, i cha chaan teng, erano pienissime di lavoratori. Tim Ho Wan ["Un po' di buona fortuna" in cantonese] si mimetizza perfettamente nella zona, anche se l'insegna è nascosta da una scala. All'ingresso c'è un altare a Guanyin, di fianco a un boccione dell'acqua per le povere anime affamate che si mettono in coda per ore.

Anche questa volta, in 20 minuti di metropolitana ero lì e sono riuscito ad accaparrarmi una delle due ultime sedie, a tavola con un vecchio uomo sorridente che giocava con il suo bastone e una giovane donna con i capelli ingellati. Qualche famiglia di turisti cinesi aveva posti riservati, ma quasi tutti gli altri condividevano il tavolo. Le cameriere avevano il fascino di orchesse e la cassiera era davvero poco gentile.

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Le cameriere avevano il pilota automatico inserito; una mi ha picchiato in mano un menù, mi ha voltato le spalle ed è tornata con una teiera in cui avrei potuto sciacquare le bacchette—un costume locale. Il vecchio sorridente era un cliente abituale e non c'era bisogno che ordinasse, lo staff sapeva esattamente cosa avrebbe preso per colazione. Io ho puntato il dito su qualcosa a caso sul menù, incluse le specialità della casa, e un'altra cameriera me l'ha strappato di mano senza una parola.

I dim sum di questi chef sono così popolari che nei momenti di massima affluenza si formano code anche di tre ore, con le folle che si accalcano alla porta e una donna che le tiene indietro e grazie al suo microfono ne sovrasta le voci. Se le chiedi quanto c'è da aspettare, abbaierà una risposta che ti farà drizzare i capelli in testa.

È arrivato il mio riso con lap cheong, funghi shiitake e straccetti di pollo, avvolto in una foglia di loto e cotto al vapore. Un'altra cameriera mi ha quasi lanciato un piatto di rotoli di spaghetti ripieni di fegato di maiale—e con questo, non avevo più posto sul tavolo. Io e l'uomo anziano ci scambiavamo qualche battuta mentre mangiavamo, ma le sue risposte non c'entravano mai molto. A un certo punto ho sorpreso una cameriera ridere—si vede che era uscita dal personaggio. Poi mi ha portato una "torta" di petali di osmanto e bacche di goji in sospensione nella gelatina. Ho sorseggiato il mio tè tra un morso e l'altro, mentre l'uomo che mangiava con me si macchiava la camicia con il sugo del manzo che accompagnava il suo riso.

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Qualche minuto dopo, sono arrivate le specialità della casa: panini cotti al vapore e grossi come un pugno pieni di maiale brasato, croccanti in bocca. Non era un banale cha siu bao. Il tutto si scioglieva in bocca, e il dolce e l'agro si mescolavano—l'equilibrio perfetto della cucina cantonese. Eccone altre due. Volevo condividerli con il vecchio, ma lui si è dato due piccole pacche sulla pancia, e ha sorriso. Quando la cameriera è venuta a ritirare il piatto mi ha chiesto, "Si è reso conto che non ci sente, vero?"

"Dim sum" può significare due cose: un pezzetto di cuore, offerto dallo chef, e toccare il cuore del commensale. I migliori dim sum sono entrambe le cose. Anche se le ciotole e i bastoncini erano di plastica, e le cameriere comunicavano a grugniti, ogni morso era pura estasi. C'era una bottiglia di soia su ogni tavolo, più per abitudine che per necessità. Il legame tra cuoco e avventore si basa su un tacito accordo: noi lo serviamo così, e sappiamo che è perfetto così, non cambiare niente, non fare stronzate.

Tim Ho Wan è un'anomalia. Hong Kong è la capitale del consumismo rampante, e l'idea di tornare alla semplicità non è così popolare. La lotta tra i ristoranti è serrata, e tutti cercano di creare piatti elaborati, decadenti e lussuriosi, una specie di MasterChef sotto steroidi. Andare a cena in ristoranti nuovi e modaioli per poi scriverne recensioni su un sito locale è un hobby diffuso. L'unico ristorante italiano con tre stelle Michelin fuori dall'Italia è qui, e anche alcuni dei migliori maestri di sushi al di fuori dei confini del Giappone vivono sull'isola. Anche i cuochi superstar ne stanno approfittando, da Gordon Ramsay a Jamie Oliver.

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Il riso e la farina costano poco, così come le frattaglie, la lonza, il manzo, i funghi e gli altri ingredienti che stanno al cuore della cucina di Tim Ho Wan. La saggezza popolare dice che i conti del ristorante non dipendono tanto dagli ingredienti, ma dagli chef. Tim Ho Wan va contro il trend, perché serve cibi di prima qualità a prezzi popolari. Il fatto che i ristoranti della catena siano noti per essere i più economici stellati Michelin fa da pungolo per i clienti, che aspettano pazientemente per provare l'esperienza (anche se l'attesa è mortale).

Quando gli ho chiesto perché non alzano i prezzi, la cassiera mi ha detto, "Sono gai fong ga [letteralmente, in cantonese, 'prezzi per i vicini']. Piuttosto che alzare i prezzi ci trasferiamo o chiudiamo." Già in passato hanno dato prova di questa filosofia: il primo ristorante Tim Ho Wan è stato chiuso per un'impennata dell'affitto, anche se sarebbe stato facile rimanere aperti alzando un po' i prezzi. "Se alziamo i prezzi, ci sembra di tradire i nostri clienti abituali." Sembrerebbe una cosa da ufficio stampa, ma intorno a me c'erano solo pensionati.

Il tè pu'erh, fermentato in Yunnan per molti anni prima di essere servito ai tavoli, costa 25 centesimi di euro. Il resto mi è costato circa nove euro, ma ho ordinato abbastanza cibo per sfamare due o tre persone.

Uscendo, la cassiera mi ha concesso di dare un occhio in cucina. "Solo per qualche secondo." I contenitori erano impilati a decine, uno sull'altro. Ogni ordinazione veniva preparata al momento. I cuochi non mi hanno nemmeno notato, erano concentrati, presi nel loro flusso di lavoro. Niente li distraeva dalla preparazione del cibo.

Il lato negativo di un posto del genere è che non rischiano mai. Il menù non era per niente innovativo. Molte persone vengono qui attratte dal passaparola, ma non ne escono entusiaste. L'atteggiamento del personale non aiuta. Che senso hanno le lunghe attese, dall'ora di pranzo fino a chiusura? Secondo la maggior parte degli abitanti di Hong Kong, nessuno.

Due giorni dopo però ero di nuovo in fila in attesa dei panini con il ripieno di maiale brasato.

Le droghe sono una brutta bestia.

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