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DUE INTERVISTE CON DUE STRAMBI STILISTI GIAPPONESI A TRIESTE

In occasione dell'ITS, abbiamo parlato con Kei Kagami e Takashi Nishiyama.

Prima dell'estate ci hanno chiamato dei nostri cari amici di un ufficio stampa di un marchio di cui non possiamo parlare perché poi sembra che facciamo le marchette e ci hanno detto, "Ehi ragazzi! Per caso qualcuno di voi vorrebbe venire a Trieste per un weekend? Paghiamo noi. È per ITS, quel concorso internazionale dei giovani creativi nell'ambito moda, accessori, gioiello e fotografia. Vi mettiamo in albergo, vi diamo da mangiare, dovete solo partecipare a tutti gli eventi e assistere alla sfilata e non bere troppi spritz e poi scriverne un report sul vostro sito." Noi, ovviamente, abbiamo detto, "Sì, grazie!" E poi, ovviamente, abbiamo bevuto troppi spritz e ci siamo scordati di mettere online il report per due mesi, dato che eravamo occupatissimi a parlare con i pesci da uno scoglio per tutto il mese d'agosto. Poi settimana scorsa ci hanno richiamato quelli dell'ufficio stampa, a cui noi vogliamo benissimo, e ci hanno detto, "Oh ma quel post lo mettete su o no?" E noi abbiamo detto, "Scusate scusate provvediamo subito". Ed eccoci qui.

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Arrivati all'ITS abbiamo avuto la possibilità di intervistare due persone tra i membri della giuria, che andava da Renzo Rosso a Viktor&Rolf a Barbara Franchin, l'organizzatrice del tutto, e da Antonio Berardi a Hilary Alexander a Kei Kagami, Sara Maino e Takashi Nishiyama. Dato che siamo sempre stati affascinati dalle persone coi nomi strani, abbiamo chiesto di parlare con Kei Kagami e Takashi Nishiyama, anche perché Viktor&Rolf sono mezzi crucchi e i crucchi ci mettono ansia. E quindi abbiamo parlato con Takashi, che sembra un personaggio di Final Fantasy e disegna i vestiti più buffi e videogiocosi che abbiamo mai visto, e con Kei, architetto e stilista visionario che è stato, in una vita passata, l'assistente di Kenzo Tange, mica ciccia. Iniziamo con Takashi.

VICE: Ciao Takashi. Che sensazione si prova a essere giurati di un concorso dopo aver fatto parte dei "giudicati"?
Takashi Nishiyama: È strano essere qui a Trieste come giurato, dopo essere stati dall'altra parte. Mi spiace non poter comunicare con i partecipanti di quest'anno, perché non essendo in grado di parlare inglese mi sento insicuro a parlare con loro, sento un po' questo problema, che l'anno scorso invece non avevo.

Ho visto la collezione con la quale sei stato premiato, ispirata al videogioco Monster Hunter, davvero molto bella, e volevo sapere in che modo la cultura dei videogiochi ha influenzato la tua estetica e il tuo modo di lavorare. Credo ci sia un'estetica molto precisa nel videogioco, e nello styling dei videogiochi, difficile da trovare in altri ambiti.
Io non gioco ai videogiochi, più che altro mi piaceva Godzilla quando ero bambino e i mostri in generale, quelli creati dalla cultura pop giapponese. In questi anni in Giappone andava di moda questo Monster Hunter, mi sono informato e l'ho guardato. Ed è normale vedere i salaryman, gli impiegati giapponesi, giocarci in treno con la PSP o cose simili. Ho voluto creare un collegamento tra le due cose, tra i mostri che mi piacevano e la vita dell'impiegato giapponese che lavora tutti i giorni, tra il lavoro 12 ore al giorno e i mostri che il Giappone ha creato e che mi sono sempre piaciuti.

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Quindi il riferimento per una prossima collezione potrebbe essere qualcosa di completamente diverso.
Sì, anche se sicuramente ci avrò di nuovo a che fare, magari non coi mostri, ma con gli eroi creati dalla cultura pop giapponese, per esempio Gundam, oppure l'astronave Yamato. Vorrei creare una collezione partendo da tutti questi eroi giapponesi, che considero "eroi" nel senso più pop del termine. Il significato principale che vorrei dare a questa collezione è che, dopo la recente catastrofe in Giappone, dobbiamo continuare ad avere speranza. Un nuovo motivo di andare avanti, con più energia, con una speranza nel futuro, guardando verso quelli che sono stati per tutti noi degli eroi fin da quando eravamo bambini.

Volevo parlare un po' di più dell'intreccio tra cultura pop giapponese contemporanea e moda. È raro, almeno in Italia, che ci si riferisca alla cultura pop nella moda. Uno stilista tende a pensare in modo concettuale e raramente guarda a cosa succede nel mondo, e ancor più raramente cerca di portare questi elementi nella sua collezione. Invece è una delle cose più fighe delle tue.
Be', prima dell'anno scorso non ero mai uscito dal Giappone, e uscivo poco pure dal mio vicinato, letteralmente, e quindi quando ho dovuto creare la collezione per il concorso dell'anno scorso, il mio pensiero è stato: voglio mostrare agli altri che cos'è la cultura moderna giapponese per un ragazzo di vent'anni-ne avevo 22 quando ho fatto la collezione. Cos'è che il Giappone ha esportato molto e tutt'ora esporta molto anche in Italia? Gli anime e i manga. Così li ho usati come ispirazione, e volevo dimostrare che, anche basandosi su quel tipo di cultura, si poteva raggiungere un livello estetico degno.

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Bravo!
Grazie.

VICE: Ciao Kei. Hai studiato architettura prima di passare alla moda, e volevo sapere in che modo l'approccio dell'architettura influenza la creazione di un capo per te e anche il tuo modo di giudicare quello che hanno prodotto gli studenti oggi. Ho intervistato Takashi poco fa, e il suo approccio è totalmente diverso dal tuo.
Kei Kagami: Prima lascia che ti racconti un legame segreto tra me e Takashi. In qualche modo c'entra con il discorso. Io l'ho conosciuto quattro anni fa in Giappone quando sono andato al suo college per una lezione speciale, mi ha anche fatto un po' di domande. In quel momento, uno dei suoi insegnati arrivava dalla Coconogacco, una scuola di moda giapponese. Il fondatore della scuola, il signor Yamagata, era mio assistente a Londra. Aveva frequentato la Saint Martin. Anche io ho frequentato la Saint Martin, circa vent'anni fa. Poi, nove o otto anni fa, è arrivato al mio studio come assistente, ci è rimasto circa un anno, ed era molto interessato alla creazione e al design. Poi è tornato in Giappone, dove ha deciso di fondare un istituto il cui fulcro fosse la creatività e l'originalità. Quindi quattro anni fa ho incontrato Takashi, che poi ho rivisto qui l'anno scorso insieme a Yamagata che mi diceva di quanto fosse talentuoso questo ragazzo. Takashi ha uno stile strutturato, ma allo stesso creativo. È una sorta di artigiano. Anche io sono così, mi piace creare il cartamodello. Mi piace la scultura, così come l'architettura.

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Parlavo prima con Takashi del suo modo di utilizzare la cultura pop giapponese nella creatività. La sua ricerca parte spesso da questo ambito. Mi è sembrata la principale differenza tra i vostri stili, sembra che tu sia interessato più allo spazio, ai materiali e alle forme, hai un approccio più architettonico e materico.
Direi che fin da piccolo ero interessato allo spazio e alle strutture. Sono due elementi che mi affascinano da sempre e mi affascinano le conseguenze che questi elementi hanno sulla forma. Il mio background è l'architettura, l'ho studiata all'università e per un po' ho anche fatto l'architetto. Poi sono passato alla moda, anche se per me non ci sono, come dire, delle barriere tra architettura e vestiti. Quello che conta è sempre esprimere quello che voglio, non importa da dove parta. Per me, in un certo senso, si tratta sempre di dare forma a uno spazio attraverso una struttura.

In fondo hanno elementi in comune: creazioni tridimensionali con degli enormi limiti legati ai materiali. E tu usi materiali molto particolari.
Nelle collezioni metto sempre abiti molto concettuali accanto a vestiti più portabili. Su alcuni do più sfogo alla mia creatività, poi li accosto al lavoro commerciale. Molti mi conoscono più per la parte concettuale, mente i buyer o i negozianti mi conoscono più per l'altra. Questo è un consiglio che ho dato a Takashi: la creatività è importante, ma in un qualche modo devi riuscire a sopravvivere. Se riesci a creare il giusto equilibrio tra creatività e commercio, puoi diventare il boss di te stesso. Non mi piace pensare a un singolo vestito. Il potenziale si percepisce nello spazio-tempo, magari un giorno noi stilisti ci ritroveremo a disegnare abiti per andare in orbita, quindi voglio guardare verso il futuro. Credo che moti si chiedano: qual è il punto di creare qualcosa di così folle? Capisco che non sia comprensibile al primo momento, perché comunque non è un capo da indossare nella vita di tutti i giorni, ma senza queste creazioni la cultura non si evolverebbe. Ok, ho fatto qualcosa di estremo, ma un giorno qualcuno lo vedrà e lo userà come ispirazione per creare qualcosa di più portabile. La creatività è importante anche a livello culturale. Per questo voglio sostenere un ragazzo come Takashi. Molti non fanno questo ragionamento, si fermano solo a quello che è simile a loro, che possono capire subito.

È come nel mondo del design, ad esempio con le auto: una compagnia automobilistica crea un prototipo di quella che potrebbe potenzialmente essere una nuova auto, poi si riprende lo studio fatto sul prototipo e si crea la macchina che poi andrà effettivamente in commercio.
Alla NASA spendono miliardi di dollari pensando cento-duecento anni più avanti. È importante svegliarsi e investire su qualcosa di sperimentale, per questo credo che sopravviveremo grazie all'arte. Non puoi sapere come sarà la vita tra cento, duecento anni, magari non ci sarà più l'ossigeno sulla terra e dovremo trasferirci da qualche altra parte. Il mese scorso ero a Parigi per preparare un'installazione. C'è una rivista che si chiama Something, molti dicono che sia la migliore rivista di moda mai fatta perché la qualità delle fotografie è molto alta. Costa circa 80 euro, è praticamente un libro, ed esce una volta l'anno. Comunque, hanno organizzato una mostra in una galleria a Parigi e mi hanno chiesto di fare un'installazione speciale. Ho fatto un lavoro particolarmente architettonico. Abbastanza grande. Ma le sculture che fanno parte dell'installazione si possono indossare, ci si può andare in giro. Arte indossabile, si potrebbe dire. Sculture. Hai uno scultore preferito?

Giacometti. O Serra. Ti piace Richard Serra? È uno scultore di New York, avrà 75 anni. Lavoro con lo spazio, le curve, ci cammini in mezzo e non riesci a vedere la fine… Si basa tutto sulla struttura.
No, ma lo studierò. Conosci Panamarenko? È uno dei miei artisti preferiti. Costruisce questi aerei che però non possono volare. È molto sognante.

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