Come l'olio di palma è diventato l'ossessione numero uno degli italiani

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Come l'olio di palma è diventato l'ossessione numero uno degli italiani

Tra spot pubblicitari, campagne di boicottaggio e tonnellate di meme, da qualche tempo a questa parte, l'olio di palma è diventato l'ossessione numero uno degli italiani. Ma come si è arrivati a tutto questo?

"Prima vennero a prendere la carne rossa, e io non dissi nulla. Poi vennero a prendere l'olio di palma, e io non dissi nulla. Poi vennero a prendere me, e non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa."

Parafrasare Bertolt Brecht sarà un po' esagerato, ma rappresenta una buona descrizione del clima che si è creato negli ultimi mesi intorno all'olio di palma. Di sicuro ve ne sarete accorti: nell'ultimo periodo questo ingrediente che tutti abbiamo assunto per anni mangiando biscotti o Nutella è diventato una specie di ossessione.

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Dopo le notizie sulla sua presunta pericolosità per la salute e il suo impatto ambientale è infatti partita una battaglia fatta di spot e passaparola che ha contagiato praticamente tutti gli italiani. Ma l'attenzione per il tema è uscita da tempo dalla sfera alimentare.

Un grab dal documentario di VICE on HBO sui danni ambientali legati alla produzione di olio di palma.

Su Facebook, per esempio, ci sono già un sacco di pagine dedicate al tema e gira ogni sorta di meme sull'argomento, i siti di satira come Lercio.it gli dedicano articoli tipo "Autodifesa: arriva lo spray all'olio di palma" e le menti migliori della mia generazione mettono "parteciperò" a eventi tipo "Sagra dell'olio di palma". La psicosi è ormai così generalizzata da produrre notizie assurde come questo articolo del Gazzettino su una strana sostanza gialla rivenuta su una spiaggia nei pressi di Ancona che "potrebbe essere olio di palma" e su cui "la capitaniera di porto sta facendo verifiche."

Sagra dell'olio di palma.

Ecco: come si è arrivati a questo punto?

Per quanto mi riguarda, fino a pochi mesi fa non avevo mai sentito parlare dell'olio di palma. E non averne mai sentito parlare era perfettamente normale, visto che si trattava semplicemente di un olio vegetale molto usato dall'industria alimentare perché rispetto agli altri ha due grossi vantaggi: è solido, e quindi può sostituire i grassi idrogenati e rendere gli alimenti cremosi senza modificarne il sapore, ed è molto economico perché la palma da olio, coltivata soprattutto in Malesia e Indonesia, ha una resa molto maggiore rispetto ad altre coltivazioni simili.

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Negli ultimi decenni l'olio di palma si è affermato come un ingrediente fondamentale per l'industria alimentare globale. In Italia, stando a dati della FAO riportati dall'Istituto Superiore di Sanità, dal 2004 ad oggi le importazioni di olio di palma sono aumentate progressivamente, raddoppiando ogni due-tre anni.

Negli ultimi anni, però, una serie di studi ha iniziato a cambiarne lo status. Tra i più recenti c'è quello pubblicato a maggio dall'EFSA (l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare), secondo cui l'olio di palma sarebbe pericoloso per la salute: la sua raffinazione ad alte temperature produrrebbe alcune sostanze nocive e cancerogene—tra cui soprattutto il 3-Mcpd o 3-cloro-1,2-propandiolo, un composto altamente genotossico per gli esseri umani.

Man mano che questi studi venivano rilanciati dalla stampa generalista italiana, l'indignazione sul tema montava sempre di più. Contro l'olio di palma ci sono state petizioni online da 170mila firme per chiedere alle aziende di non usarlo più e proposte di legge come quella del portavoce M5S al Senato per vietarlo del tutto.

Ora, io non sono un esperto né di alimentazione né di ambiente, per cui mi è difficile districarmi nella rete di pareri e obiezioni in cui si è evoluta la polemica sul tema. Da una parte ci sono le campagne contro lo sfruttamento del suolo causato dall'olio di palma e dall'altra c'è Chiara Campione di Greenpeace Italia, secondo cui il modo migliore per spezzare il legame tra produzione di olio di palma e deforestazione è sostenere la produzione etica di olio di palma portata avanti dai grandi gruppi del Palm Oil Innovations Group, di cui fa parte anche Ferrero.

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Da una parte c'è l'Istituto Superiore di Sanità che, sollecitato dal Ministero della Salute, ha affermato che l'olio di palma "non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata"; dall'altra ci sono pubblicazioni di settore come Il Fatto Alimentare che contestano questo argomento come ingannevole perché almeno un quarto degli italiani non segue una dieta bilanciata.

Da una parte ci sono le catene della grande distribuzione che cominciano a togliere i prodotti con olio di palma dai loro scaffali e la moda dei prodotti "senza olio di palma" ormai degenerata in una specie di meme, dall'altra c'è l'Unione italiana per l'olio di palma sostenibile, formata dalle principali aziende dell'industria alimentare, e un convegno sul tema organizzato da Ferrero in cui la campagna contro l'olio di palma è stata definita "terrorismo alimentare."

A colpo d'occhio, la presunta pericolosità dell'olio di palma per la salute sembra essere una moda solo italiana. All'estero infatti il dibattito si è concentrato piuttosto sul suo impatto ambientale e sociale: lo sfruttamento del lavoro anche minorile, il consumo di suolo e la deforestazione sono tutti aspetti ben documentati—c'è anche un documentario di VICE al riguardo.

Secondo Giulio Caroletti, un climatologo che ha lavorato per alcune istituzioni che si occupano di agricoltura, il problema però non è l'olio di palma in sé. "Il mio modesto parere sull'olio di palma è che la faccenda sia davvero fuori scala," ha scritto in un post su Facebook. "Non esistono alternative più sane e più ecosostenibili. La strada preferibile non è eliminarlo ma seguire una strategia sull'olio di palma ecosostenibile e certificato, che è meglio delle alternative vegetali le quali hanno gli stessi problemi ma una resa per ettaro molto peggiore."

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Una delle organizzazioni più attive da questo punto di vista è il WWF—che lungi dall'essere contro a prescindere da qualche anno a questa parte si preoccupa di stilare dei rapporti sul comportamento delle aziende del settore. Stando all'ultimo di questi rapporti, pubblicato quest'anno, a fronte di alcuni produttori come Nestlè che usa solo 24 percento di olio di palma certificato ecosostenibile ce ne sono alcuni virtuosi—come Ferrero, Kellog's, Lindt e Mars—che arrivano anche al 100 percento.

Arrivati a questo punto, però, la discussione sui pro e i contro dell'olio di palma si è ormai allontanata dalla realtà fattuale per spostarsi su un piano diverso.

Probabilmente è avvenuto per reazione—sia all'indignazione facilona montata in una parte dell'opinione pubblica e alla sicumera cui è stata portata avanti di fronte a un argomento tutt'altro che semplice, sia alla risposta furba di molte aziende che hanno sfruttato la polemiche per dare una rinfrescata alla loro immagine e mostrarsi attente alle richieste dei consumatori. Sia alle campagne di boicottaggio, sia ai bollini con scritto "non contiene olio di palma" che ora infestano praticamente qualsiasi prodotto, sia all'inevitabile risacca di opinioni controcorrente.

Per fare qualche esempio, di fronte al boicottaggio facilone di una parte politica/di opinione pubblica c'è stata altra faciloneria uguale e opposta: quotidiani come il Giornale e il Foglio hanno parlato di "odio di palma"—denunciando il fatto che fosse diventato in pochissimo tempo una specie di capro espiatorio su cui addossare la responsabilità di qualsiasi cosa.

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"Se c'è una cosa che fa paura quasi quanto il terrorismo, che sui consumatori ha lo stesso effetto della kryptonite su Superman, questa è l'olio di palma. L'olio di palma è stato accusato di ogni nefandezza: causa malattie cardiovascolari, il diabete, è pericoloso per i bambini, distrugge le foreste, uccide gli oranghi,"ha scritto il Foglio, parlando addirittura di un'ondata "di disinformazione terroristica" che ha "fomentato le ansie dei consumatori e creato una fobia ingiustificata."

Da un certo punto di vista, l'attuale ossessione per l'olio di palma somiglia molto alla moda del gluten free di qualche anno fa. Anche in quel caso all'improvviso si è creata una specie di bolla che partendo da considerazioni di tipo salutista si è gonfiata sempre di più a livello mediatico. Il risultato è stato che dal 2009 al 2014 il consumo di alimenti senza glutine negli Stati Uniti è aumentato in maniera esponenziale e negli ultimi due anni il settore è cresciuto del 136 percento.

E alle persone celiache questo ha creato problemi—perché l'espansione di quella che prima era una nicchia ha portato a una sensibile diminuzione della qualità degli alimenti. Dopotutto, adesso il consumatore tipico non è più una persona celiaca ma una persona sana che segue una dieta senza glutine perché ha sentito da qualche parte che è meglio così—senza che ci fossero ragioni mediche effettive per giustificare tale comportamento.

Credo che il motivo per cui la discussione al riguardo ha raggiunto picchi surreali sia questo: si tratta di un tentativo di esorcizzare l'imbarazzo che proviamo di fronte a una cosa che non possiamo davvero capire. Un sentimento che è montato pian piano finché oggi si è arrivati al punto più alto della curva: un meme di Mr. Robot.

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