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Traffico di sperma nelle prigioni israeliane

I prigionieri palestinesi in Israele sono riusciti ad aggirare il divieto di contatti coniugali trovando il modo di diventare genitori. La pratica è in uso da almeno due anni, e l'ultima nascita risalirebbe a fine aprile.

Un bambino palestinese per le strade della città vecchia di Gerusalemme. Agosto 2012; foto di Glenn Cloarec.

Nella maggior parte delle prigioni per un detenuto è relativamente difficile mettere incinta la moglie. In Israele, dove le visite coniugali e i contatti sono vietati per la quasi totalità delle coppie, avere un bambino è impossibile a priori. Eppure alcuni prigionieri palestinesi sono riusciti ad aggirare il divieto trovando il modo di diventare genitori. Per molti, la nascita di questi bambini “clandestini” conferisce ai palestinesi una piccola vittoria morale contro lo Stato israeliano, nelle cui prigioni al momento sono detenuti almeno 5.000 palestinesi.

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Hassan Al-Zaanin è nato a gennaio. È il primo bambino di Gaza ad essere venuto al mondo secondo queste modalità. Il padre 29enne, Tamer Al-Zaanin, è originario di Beit Hanoun, nel nord della Striscia. In seguito all'accusa di legami con il Movimento per il Jihad Islamico, nel 2006, qualche mese dopo il matrimonio, è stato arrestato e condannato a 12 anni di prigione dallo Stato d’Israele. Il figlio è stato concepito per mezzo di fecondazione in vitro, con lo sperma trasportato clandestinamente al di fuori della prigione. Se quello di Hassan è stato il primo caso della Striscia di Gaza—sempre sotto il doppio blocco israeliano e a intermittenza egiziano—la pratica è in uso da almeno due anni e ha già permesso a molte coppie della Cisgiordania di avere figli. Un anno fa è stata anche approvata dalle più alte autorità religiose di Ramallah.

All’inizio del 2013 il dottor Salem Abu Khaizaran, direttore del centro medico Razan a Nablus, ha affermato che "vari tentativi precedenti non erano andati a buon fine […]. Non sempre lo sperma sopravvive al trasporto dalla prigione alla clinica, anzi, i pazienti devono provarci più volte prima che la cosa funzioni,” ha spiegato. Nella testimonianza raccolta da France 24, il dottor Nizam Najib, direttore di un’altra clinica, affermava che “i prigionieri inventano i modi più disparati per far uscire lo sperma dalle carceri. Una volta lo fanno passare dentro l’imballaggio vuoto di una tavoletta di cioccolata, un’altra dentro un flaconcino.” È anche possibile che lo sperma passi per l’avvocato del detenuto o per i suoi figli—se hanno l’autorizzazione a entrare in contatto col padre—o per guardie carcerarie israeliane generosamente remunerate.

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La prigione di Ofer. Nel 2008, il complesso contava 1.100 detenuti palestinesi. Foto via Wikimedia Commons.

Una volta trasportato illegalmente fuori dalla prigione, lo sperma viene conservato all’interno degli incubatori di una di queste cliniche e infine utilizzato per la fecondazione. Khaizaran ha dichiarato che la sua clinica “offre il servizio alle donne dei prigionieri che hanno scarificato la loro libertà per la nazione, e lo fa  a titolo umanitario.” Ha aggiunto di ritenere fondamentale il diritto di essere genitore, soprattutto perché questi prigionieri “sono stati condannati a pene prolungate” e le loro donne “potrebbero non essere più in grado di avere dei figli una volta che i mariti saranno usciti di galera.” Attualmente, nella sua clinica sarebbero conservate decine di campioni di sperma congelato.

Bambini palestinesi e agente israeliano. Maggio 2013, porta di Damasco, Gerusalemme Est; foto di Glenn Cloarec.

Benché il numero preciso di queste nascite sia sconosciuto, la pratica sta diventando sempre più popolare e sembra che già una ventina di donne sia rimasta incinta con questo metodo. Secondo i media palestinesi, negli ultimi mesi attraverso questo sistema sarebbero nati due gemelli a Betlemme, un bambino a Gerusalemme e un altro a Gaza. In un articolo della scorsa settimana, il Washington Post riporta la nascita di un'altra bambina, anch'essa concepita tramite fecondazione in vitro presso la clinica Razan.

Non tutti però vedono queste nascite di buon occhio. Le autorità carcerarie israeliane hanno dichiarato che “benché le interazioni e lo scambio di oggetti tra prigionieri siano attentamente sorvegliati e dettagliatamente regolamentati, è possibile che traffici di questo genere si siano potuti verificare” e che “il servizio penitenziario continuerà in tutti i modi a evitare traffici di qualsiasi natura.”