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La lunga storia dietro gli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma

E di come alcune porzioni di tifoserie, non solo della Lazio, continuano a manifestare antisemitismo in curva.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Un adesivo di Anna Frank con la maglia della Roma. Foto via Twitter

La scorsa domenica, dopo la chiusura per due giornate della Curva Nord a causa di cori razzisti, i tifosi della Lazio hanno seguito la partita contro il Cagliari dal settore storicamente riservato ai romanisti, decidendo al loro passaggio di tappezzare la Sud di adesivi.

Non si tratta di adesivi qualunque, ma di quelli con Anna Frank con la maglia della Roma e con frasi come "Romanista ebreo", "Romanista Aronne Piperno", "Romanista coleroso", "Romanista frocio." Molti altri adesivi erano degli Irriducibili, il gruppo ultras laziale che—dopo un periodo di flessione dovuto a vari motivi, soprattutto per le inchieste penali sui leader—è tornato a esercitare qualche forma di egemonia in curva.

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Come prevedibile, le reazioni sono state moltissime—dallo sdegno delle autorità sportive e istituzionali, alla solidarietà sui social, passando per iniziative di sensibilizzazione e proposte di mettere la Stella di David sulle maglie. Ieri, infine, le forze dell'ordine hanno identificato più di 15 tifosi della Lazio (due sono minorenni) e la procura di Roma sta indagando per istigazione all'odio razziale. Ma la questione ingiustificabile degli adesivi—perché non ci possono essere giustificazioni o minimizzazioni per un tale gesto—ha una storia ben più lunga alle spalle, che va al di là di quest'ultimo episodio.

Anzitutto, gli adesivi con Anna Frank e la maglia della Roma erano già comparsi in passato. Nel 2013, infatti, erano stati notati per le strade del rione Monti: all'epoca si sollevarono le proteste di alcuni abitanti e commercianti della zona, ci fu un discreto clamore e poi finì tutto lì. La vicenda era infatti stata derubricata come l'ennesima provocazione tra tifoserie contrapposte per determinare chi fosse più "ebreo"—aggettivo che, nel lessico di una parte ben connotata della tifoseria organizzata, è uno sfottò tragicamente "normale."

In questo senso, il comunicato diffuso questo lunedì dagli Irriducibili è esemplare: si esprime stupore per l'attenzione mediatica, si deflette la responsabilità ("non ci dissociamo da ciò che non abbiamo fatto"), e si circoscrive la faccenda a "scherno e sfottò da parte di qualche ragazzo." Le dichiarazioni del capo del gruppo ultras laziale—Fabrizio "Diabolik" Piscitelli—vanno nella stessa direzione: "In tutti gli stadi ci stanno gli insulti da una curva all'altra," afferma, "e poi i romanisti fanno le stesse cose."

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In effetti, la questione dell'antisemitismo nelle curve (che usa l'immagine e il nome di Anna Frank come "sfottò") non riguarda solo una frangia del tifo laziale e va avanti, pressoché indisturbata, almeno dalla fine degli anni Novanta. Nel 1998, ad esempio, nella Curva Nord comparve uno striscione su cui c'era scritto: "Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case." Tre anni dopo, sempre alla Nord, un altro striscione rivolto contro i romanisti: "Squadra di negri, curva di ebrei."

Nel 2006 le parti si invertono: mentre giocano Roma e Livorno, i romanisti espongono un enorme striscione che recita: "Lazio-Livorno: stessa iniziale, stesso forno." Nel 2014, durante la finale di Coppa Italia tra Roma e Lazio, i laziali scrivono: "La storia è sempre quella, sul petto vuoi una stella." Qualche mese più tardi i romanisti rispondono, e lasciano sui muri di Testaccio le scritte "SS Lazio Juden," "Anna Frank tifa Lazio" e "Laziali sionisti" (con tanto di svastica a lato). Nel giorno della memoria del 2015, sul muro di un liceo di Monteverde appare la scritta "27/1: 6 milioni di romanisti," con svastica e sigla "UL."

A volte, poi, è successo che laziali e romanisti abbiano accantonato la rivalità calcistica—com'è successo nel novembre del 2012, con l'aggressione congiunta ai tifosi del Tottenham Hotspur, considerati tradizionalmente la squadra "ebraica" di Londra. Il raid si concluse con 13 feriti e un locale a Campo de' Fiori devastato, e venne compiuto (come ha stabilito la magistratura) da ultras laziali e romanisti a volto coperto.

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Un quadro del genere, scrive Carlo Maria Miele su Mondocalcio, evidenzia come "le vecchie collocazioni politiche (a destra gli ultras della Lazio e a sinistra quelli della Roma) sono superate da almeno un ventennio." Già una decina di anni fa un rapporto del Viminale sottolineava lo "stretto legame" di parte delle tifoserie di Roma e Lazio "con il movimento di estrema destra romano"; e un altro rapporto del 2013, sempre del ministero dell'interno, parlava di questo ruolo maggioritario ormai assunto in diverse curve italiane. Sul sito DinamoPress, inoltre, si legge in un articolo del 2014 che

nel mondo romanista si è assistito a una sostanziale sottovalutazione dei mutamenti politici e culturali del tifo ultras. In molti casi si è creduto, in buona fede, che la storica collocazione "a sinistra" di gran parte del tifo giallorosso bastasse di per sé a difendersi dalla deriva neofascista della curva.

Una situazione di questo tipo non è per forza di cose immutabile; e anzi, è estremamente fluida. Per restare sulla stretta attualità, esistono moltissimi tifosi laziali che rigettano queste esternazioni così becere di antisemitismo. Il gruppo "We Love Lazio," ad esempio, ha pubblicato un comunicato in cui si afferma: "Non c'è giustificazione possibile per lo svilimento reiterato di ferite profonde e ancora aperte a battute di tifosi annoiati del terzo reich. […] Non è goliardia, è miseria umana."

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Se da un lato l'equazione "laziale = fascista" non è per forza di cose così granitica, dall'altro la vicenda degli adesivi di Anna Frank—come dice oggi sull'edizione romana di Repubblica Guido Caldiron, uno dei massimi esperti di estrema destra in Italia—è solamente "l'albero che cela la foresta".

Secondo il giornalista, infatti, "esiste una sottocultura giovanile di estrema destra che mescola riferimenti alla razza, al passato fascista e genera emulazione." Ed è proprio da questo "brodo di coltura" che alcune formazioni politiche—ultimamente impegnate ad "acquisire una visibilità più normalizzata"—attingono a piene mani. Così facendo, cioè manovrando e incanalando questa "sottocultura" che attraversa gli stadi e le strade, l'estrema destra romana (ma non solo) sta vivendo una stagione di forte protagonismo, dalle proteste anti-migranti in periferie ai picchetti "solo per italiani" nelle case popolari.

Per questo motivo, insomma, è sempre utile allargare il campo e ricostruire i sommovimenti che stanno dietro a fatti di questo genere. Perché, alla fine, questa estemporanea fiammata di indignazione rischia di confinare il tutto a un semplice affare di curva, e dunque di far perdere di vista il contesto generale.

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