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indipendentismo

Un gruppo di indipendentisti veneti rischia di essere processato per terrorismo

Si sono concluse le indagini che nel 2014 hanno portato all'arresto di 24 persone e alla scoperta di uno sgangherato progetto secessionista.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Foto di Alessandro Rampazzo/VICE Italia

Nonostante sia bollato come un qualcosa di folle e folcloristico, l'indipendentismo veneto è un fenomeno indubbiamente radicato nella regione—al punto tale che ha la capacità di rigenerarsi continuamente e di raggiungere spesso e volentieri le cronache nazionali.

Nel corso del 2014, ad esempio, una parte della composita e litigiosa galassia "venetista" – capeggiata dal comitato Plebiscito.eu – aveva promosso un "referendum" per l'indipendenza del Veneto. La consultazione naturalmente non ha mai avuto alcun valore legale; eppure, grazie anche all'interessamento della stampa internazionale, la vicenda era riuscita a imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica, fino a culminare nella proclamazione della "Repubblica Veneta" in piazza a Treviso.

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Anche il presidente della Regione, Luca Zaia, aveva approfittato del momento per dare una rispolverata alle istanze secessioniste della Lega Nord. Poco dopo il "plebiscito," infatti, il consiglio regionale del Veneto aveva approvato una legge istitutiva di un (vero) referendum consultivo sull'indipendenza. Il governo l'aveva subito impugnata, e nel giugno del 2015 la Corte Costituzionale l'ha infine dichiarata incostituzionale, dato che suggeriva "sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica."

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Oltre a questo aspetto prettamente politico, tuttavia, negli ultimi vent'anni l'Italia si è dovuta confrontare più volte con il volto "eversivo" – a detta degli inquirenti – del fenomeno, che ribolle tra i capannoni e le osterie della provincia veneta più profonda.

Proprio ieri, la procura di Brescia ha chiuso le indagini che nell'aprile del 2014 portarono all'arresto di 24 persone e alla scoperta di un progetto secessionista (denominato "Alleanza") che voleva replicare il clamoroso "assalto" al Campanile di San Marco, compiuto nel lontano 1997 dai cosiddetti "Serenissimi."

Tra gli arrestati figuravano nomi noti dell'indipendentismo veneto – come ad esempio Lucio Chiavegato, già leader della protesta dei Forconi nel dicembre del 2013 – e alcuni membri del primo commando dei "Serenissimi" come Luigi Faccia, che la procura considera il "Presidente" del gruppo. Quest'ultimo, secondo i resoconti dell'epoca, quando ha visto i carabinieri del Ros alla porta della sua abitazione si è dichiarato "prigioniero di guerra."

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I festeggiamenti a Treviso a marzo del 2014 dopo il risultato del "referendum." - Foto di Alessandro Rampazzo

A differenza di quanti all'epoca lo definirono un "golpe da mona" – cioè farsesco – i magistrati hanno mostrato di prendere sul serio la vicenda. E il capo d'imputazione che pende sulla cinquantina di indagati è davvero pesante: "associazione terroristica."

Per l'accusa, infatti, il gruppo aveva in proposito di compiere "atti di violenza quali l'occupazione militare di piazza San Marco a Venezia" per chiedere l'indipendenza del Veneto. Stando all'ordinanza di custodia cautelare, dopo la presa di Venezia era prevista "l'instaurazione provvisoria di un regime autoritario-militare di transizione ('interregno') sui territori 'liberati'."

Nell'intento di ricalcare l'exploit del 1997, anche questa volta gli indipendentisti volevano servirsi del famigerato "Tanko." Descritto in un'intercettazione come "il simbolo dell'indipendenza veneta," in realtà il "Tanko" è uno sgangherato carro armato ricavato da un escavatore e ritrovato in un capannone di Casale di Scodosia (Padova), che gli indagati chiamavano "Arsenale."

Proprio in questi giorni la procura ha notificato l'avviso di chiusura indagini. In attesa dei rinvii a giudizio e delle memorie difensive, interpellato dal Fatto Quotidiano l'avvocato difensore di tre indipendentisti ha dichiarato che "la decisione della procura di Brescia va contro quanto espresso dalla Corte di Cassazione. Dopo gli arresti di aprile, il tribunale del riesame aveva cancellato il capo di imputazione di associazione eversiva ai fini di terrorismo. La procura di Brescia aveva quindi interpellato la Cassazione, che ha poi dichiarato inammissibile il ricorso."

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Lucio Chiavegato, invece, ha scritto sul suo profilo Facebook di sentirsi "sereno" in vista del processo, aggiungendo anche che "qualcuno cerca una verità processuale lontana dai fatti." L'indipendentista ha poi chiosato con questa frase: "Avanti con la persecuzione dei Veneti. Avanti con le inchieste tricolorite. Avanti a schiacciare la voglia di libertà di un Popolo."

Per quanto l'intera questione possa sembrare assurda e improbabile – in un'intercettazione uno dei "cospiratori" dice che, in caso di fallimento del progetto, "male che vada ci troviamo a casa mia a tagliare su un salame" – gli osservatori più accorti hanno invitato sin da subito a non liquidare sbrigativamente le basi da cui germinano queste pulsioni indipendentiste.

Il sociologo Ilvo Diamanti, ad esempio, aveva scritto che "l'immagine pubblica proiettata dalle inchieste giudiziarie […] banalizza le tensioni e le rivendicazioni che covano nella società veneta," riducendola "all'alternativa, errata e pericolosa, fra la criminalizzazione e il ridicolo."

Basti pensare che, secondo un sondaggio Demos di qualche tempo fa, oltre la metà degli elettori veneti si è detto favorevole all'indipendenza. E al di là dell'esito processuale, sono casi come questi che dimostrano come il secessionismo continui ad esercitare il suo fascino in una regione che – in alcune sue parti – è convinta che lo Stato italiano sia una specie di invasore.

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Foto di Alessandro Rampazzo