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C'è chi si sta offrendo di sposare questo rifugiato siriano bloccato in un aeroporto

Hassan Al-Kontar vive nell'aeroporto di Kuala Lumpur da marzo, in attesa di ottenere un visto per un paese disposto ad accoglierlo.
Foto dal profilo Instagram di Hassan Al-Kontar.

Il terminal 2 dell'aeroporto di Kuala Lumpur, in Malesia, è lo scalo delle compagnie low-cost che arrivano in città, con tutti i fronzoli offerti da ogni compagnia low-cost che si rispetti: nessuno. I lunghissimi corridoi, costeggiati da panchine fredde e scomode portano a una buia sala immigrazione. All'interno del terminal l'aria è gelida per via dell'aria condizionata costante, e l'acustica terribile fa rimbombare senza tregua i messaggi e i jingle diffusi dall'altoparlante.

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Un uomo siede da solo e composto, in attesa che il suo lunghissimo e imprevisto scalo finalmente si concluda.

Ho trovato il siriano Hassan Al-Kontar seduto accanto al banco del transfer, concentrato sul suo telefono. Sebbene fisicamente stia scomparendo—ha perso parecchi chili in questi mesi intrappolato in aeroporto, vittima della burocrazia internazionale—la sua presenza di spirito non fa che rinvigorirsi, grazie anche ai social network e ai media che hanno raccontato la sua storia, facendogli giungere diverse offerte di aiuto da tutto il mondo, compresa qualche proposta di matrimonio.

Passa la maggior parte delle sue giornate nascosto sotto una scala del terminal, dove ha accumulato i suoi pochi averi e un materasso da campeggio donatogli da alcuni sostenitori dopo 50 giorni passati a dormire sulle sedie. Al-Kontar, mi dice, è stanco di raccontare sempre la stessa storia, e non ha intenzione di diventare una social media star. Parliamo per circa un'ora e mezza, e a metà della conversazione si deve fermare un momento per il dolore alla mandibola; nel frenetico e rumoroso terminal malese, Al-Kontar conduce una vita solitaria.

Il problema, mi spiega, è iniziato con lo scoppio della guerra civile in Siria, nel 2011. Lui era emigrato negli Emirati Arabi nel 2006 e lavorava nel settore assicurativo, fino a quando non è stato richiamato in Siria per il servizio militare. "Ho rifiutato, perché non c'era nessun nemico definito," dice Al-Kontar. "Questa non è la mia missione nella vita. Non voglio vivere un'esistenza dl genere. Mi sono rifiutato di entrare a far parte di questa macchina criminale, di distruggere la mia stessa casa. Mi sono rifiutato, come migliaia di altri cittadini siriani."

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Al-Kontar sostiene che il suo passaporto sia scaduto nel gennaio 2012. Non avendo completato il servizio militare, non è riuscito a richiederne uno nuovo e così l'azienda per cui lavorava ha messo fine al suo contratto. Da allora fino a gennaio 2017 ha vissuto da apolide, intrappolato negli Emirati Arabi, e senza possibilità di trovare lavoro perché clandestino. Ha vissuto in strada, dormendo in auto abbandonate, giardini pubblici o dovunque potesse trovare un po' di riparo dal caldo torrido del paese. Alla fine, mi racconta, è stato arrestato, ma uno dei suoi ex colleghi è riuscito a rinnovargli il passaporto per due anni e glielo ha portato in carcere. Le autorità volevano rimandarlo in Siria, ma Al-Kontar è riuscito a convincere gli ufficiali in aeroporto a mandarlo in Malesia.

La Malesia è uno dei pochi paesi al mondo a garantire il visto in ingresso ai cittadini siriani, così Hassan ci è rimasto per tre mesi. Trovare lavoro era però complicato, e le due settimane del visto sono passate. Grazie a un aiuto economico da parte della famiglia è riuscito a pagare la multa per violazione del visto, estendendolo per altri 14 giorni. In queste due settimane, ha cercato di lasciare il paese due volte.

La prima volta con un volo Turkish Airlines per Istanbul, per poi raggiungere l'Ecuador, un altro dei paesi dove i siriani possono ottenere un visto in ingresso. Dal racconto di Al-Kontar, dopo aver raggiunto il gate delle partenze, è stato fermato al momento dell'imbarco senza mai ottenere rimborso (Turkish Airlines non ha rilasciato dichiarazioni a riguardo). La seconda volta ci ha provato con un volo AirAsia per la Cambogia. In questo caso è riuscito a raggiungere la sua destinazione, ma una volta atterrato gli ufficiali locali gli hanno negato il visto, rispedendolo all'aeroporto di partenza.

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Il 7 marzo del 2018 Al-Kontar è atterrato nuovamente al KLIA2. Andare all'ufficio immigrazione, racconta, avrebbe voluto dire rischiare di farsi spedire in un centro di detenzione e poi deportare in Siria. Questo perché la Malesia non è tra i paesi firmatari della Convenzione relativa allo statuto dei Rifugiati del 1951, che tutela i diritti dei rifugiati e stabilisce gli obblighi del paese d'accoglienza a proteggerli. Così, Hassan Al-Kontar non ha mai lasciato l'area arrivi dell'aeroporto ed è ancora sotto le cure di AirAsia, che gli fornisce gli stessi tre pasti giornalieri a base di riso e pollo, ogni giorno da sei mesi.

Accorto e intelligente, nel corso del suo lungo esilio forzato Al-Kontar ha studiato. A suo parere, tutte le autorità che dovrebbero offrire supporto agli sfollati gli hanno voltato le spalle, in particolare l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Al-Kontar sostiene infatti che dopo il clamore mediatico iniziale, l'agenzia gli avrebbe offerto soltanto un mese di visto speciale per la Malesia, anche dopo che era stato bandito dal paese per aver superato il periodo di permanenza concesso dal visto. Tuttavia, agli occhi di Al-Kontar, questa opzione non è percorribile, perché la Malesia non aderisce alla Convenzione sui rifugiati del 1951. "Non ho loro notizie da 12 settimane, eppure dicono di avermi offerto tantissime soluzioni. Non è vero," ha detto Al-Kontar.

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In un commento via email, un portavoce di UNHCR a Kuala Lumpur ha affermato: "UNHCR e il governo malese si sono messi in contatto più volte con l'individuo. Gli è stato offerto supporto e assistenza per entrare in Malesia, perché l'UNHCR e gli altri enti coinvolti potessero poi valutare la situazione nel dettaglio e analizzare insieme a lui le opzioni a disposizione. Sono state comunicate al soggetto chiare offerte di supporto e assistenza in Malesia, ma fino ad ora nessuna di queste è stata accettata. Apparentemente la Malesia sarebbe solo un paese di transito per lui e non il posto dove desidera rimanere. A quanto sappiamo, sta attualmente valutando le sue opzioni."

Al-Kontar spera che un gruppo di volontari canadesi riesca a racimolare abbastanza fondi per accoglierlo nel paese come rifugiato e sponsorizzare il suo visto. Per ora, dopo la petizione al governo hanno raccolto oltre 17mila dollari. Tuttavia non ci sono garanzie, e l'intero processo di richiesta potrebbe durare fino a 26 mesi. La trafila potrebbe essere velocizzata, ma Al-Kontar è consapevole del privilegio di cui gode in questa gabbia dorata rispetto alle condizioni di tantissimi altri rifugiati.

Molti temono che Al-Kontar stia perdendo il lume della ragione, ma lui rimane vigile e determinato. Nonostante la situazione, è positivo e non perde il senso dell'umorismo, che sfoggia nei suoi rari post sui social media. Quando l'ho incontrato, ad esempio, mi ha colto alla sprovvista con una battuta sarcastica, facendomi credere di aver perso la chiave per l'uscita d'emergenza. La verità è che in sei mesi di "reclusione" nel terminal, Al-Kontar ha respirato aria fresca solo una volta—il giorno 122. Sempre ottimista, però, rimane appostato davanti all'uscita d'emergenza nella vana speranza che questa venga nuovamente aperta.

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"Ho molti sostenitori e persone che si preoccupano per me. Mi mandano tantissimi messaggi," dice. "Quando mi sento positivo posto qualcosa sui social, perché penso che sia meglio essere una fonte di felicità. Se hai speranza, puoi continuare a fare tutto. E io ho tantissima speranza. Nelson Mandela è stato rinchiuso in una prigione buia per 27 anni e ne è uscito pieno di amore, e nient'altro."

Nella piccola area arrivi del KLIA2 non ci sono ristoranti, bar e nemmeno macchinette automatiche. Al-Kontar è costretto a pagare i fattorini per farsi portare qualche snack sfizioso da Starbucks o McDonald's, quando proprio non ne può più dei pasti confezionati di AirAsia. "Sono amici con gli interessi," così li chiama, perché si prendono una piccola percentuale sui prodotti che portano. Non ci sono amici senza interessi qui in aeroporto. Ironia della sorte, l'unico negozio che c'è, è un negozio di telefoni cellulari e accessori, dove Al-Kontar ha dovuto ricomprare il caricabatterie più volte, dopo esserselo fatto rubare ripetutamente. "Spero che chi l'ha rubato ne avesse davvero bisogno," dice.

Ossessionato dall'idea di tornare a essere un cittadino legale, Al-Kontar mi ha detto di aver rifiutato diverse proposte di matrimonio, provenienti da tutto il mondo. "L'ultima l'ho ricevuta da Miami. Ma anche dall'Australia, dall'America, dal Canada, da diversi paesi in Europa, Tahiti, Hawaii e le Maldive…! Ma è illegale combinare un matrimonio per ragioni di visto. Io voglio tornare a essere un cittadino legale. Il matrimonio non lo è! Ma capisco che sia l'unico modo per aiutarmi, e queste persone mi vogliono aiutare, è molto bello."

Da quando è a Kuala Lumpur ha ricevuto anche offerte per parlare in pubblico, scrivere libri e girare documentari; tuttavia, ora si concentra sulle piccole cose. "Sogno di potermi fare un caffè, fare una doccia, andare al lavoro. Farmi nuovi amici, magari incontrare una ragazza, invitarla a cena, insomma vorrei semplicemente vivere ed essere al sicuro," dice.

Prima di andare via, gli chiedo come possono aiutarlo le persone da casa. "Le persone che si preoccupano per me non hanno potere. E le persone che hanno il potere, non si preoccupano per me," dice. Pienamente consapevole della sua situazione, è un uomo fatto di contraddizioni: ottimista ma demoralizzato, paziente ma ansioso, incoraggiato dai sostenitori in tutto il mondo, ma al tempo stesso completamente isolato.

Mentre lascio Hassan al banco del transfer e congelo nell'attraversare la sala immigrazione, non mi sono mai sentita così irriconoscente del privilegio di essere una cittadina britannica.

Segui Nyima Pratten su Twitter @nyimapratten.