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reportage

Non è l'ora che Mugabe vada all'inferno?

Lo Zimbabwe è stanco di aspettare, e posticipare le elezioni non aiuterà il dittatore a scamparla anche stavolta.

Da 32 anni, in Zimbabwe, Sua Eccellenza il presidente Robert Mugabe è a capo di un regime di terrore e violenza. Il fatto che nessuno abbia votato per lui o lo voglia in quel ruolo è reso del tutto irrilevante dall'altissimo livello di corruzione politica del Paese: Mugabe continua a fare quello che gli pare—indice e pospone elezioni a suo piacimento, e rilascia risultati tardivi quando ha finito con i suoi brogli. Oggi, colui che si è paragonato a Hitler sembra addirittura riuscito a mandare a quel paese il cancro, deludendo così le previsioni dei Wikileaker che lo volevano morto entro il 2013.

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Nel settembre di 4 anni fa firmò, seppur con grande riluttanza, un accordo di ripartizione del potere con il leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai. Si trattò di un gesto indubbiamente ammirevole da parte di Morgan, i cui trascorsi con gli scagnozzi di Mugabe non erano dei più innocui (considerate le volte in cui era stato appeso fuori da finestre al decimo piano, arrestato, torturato e privato di metà della sua famiglia ancora prima di riuscire a sedersi al tavolo dei negoziati).

Da quel momento, le cose sono andate gradualmente ma costantemente migliorando. I negozi sono forniti e i beni di uso quotidiano non sono più un lusso. Ad eccezione di elettricità ed acqua, che non sono comunque strettamente necessarie, giusto?

Le code alle pompe di benzina sono passate da interminabili (nell’ordine di settimane) a inesistenti. Il dollaro locale è stato rimpiazzato da quello americano e ora banconote come quella qui sopra sono un esilarante ricordo. Malgrado, ai tempi, parlare di miliardi di quintilioni e portarsi in giro sacchi di contanti non fosse così divertente come può apparire. Era difficile stare al passo, e quando le cifre si facevano troppo grosse si toglievano semplicemente sei zeri, si stampava nuova moneta e il ciclo riprendeva.

Altro ricordo del passato è l’epidemia di colera del 2008, che Mugabe negò strenuamente nonostante le persone gli morissero intorno come mosche. Anche le invasioni dei possedimenti terrieri stanno lentamente diventando parte della tristemente nota storia nazionale (ma il motivo potrebbe essere la scarsità di fattorie rimaste). I “contadini africani” che secondo le promesse del Presidente avrebbero beneficiato dai sequestri terrieri altro non erano che le famiglie e gli amici degli avidi ministri, oggi rimpiazzati dai cinesi.

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La presenza cinese in Zimbabwe traspare chiaramente. Non si sa esattamente di cosa si occupino, ma i cinesi residenti nelle principali città sembrano sempre piuttosto impegnati—cosa molto probabilmente vera, considerando che Mugabe avrebbe messo gran parte dell’economia e delle risorse del Paese sotto il loro controllo. Il risultato è stato un moltiplicarsi degli scioperi dei lavoratori, che denunciano pessime condizioni d’impiego e abusi fisici, a cui si aggiunge la quasi estinzione della popolazione di rinoceronti della zona. E nonostante lo Zimbabwe non si possa definire una colonia, è sempre più difficile percepire la sua indipendenza.

Il condizionamento cinese si avverte anche nelle strategie d’intimidazione caratteristiche dei periodi elettorali. Contrariamente al resto dell’Africa, dove i massacri a colpi di machete e i bambini soldato sono tra i metodi più ricorrenti, la milizia di Mugabe predilige torture prolungate per massimizzare i risultati.

Un famigerato e giovane capo delle milizie, che risponde sagacemente al nome di “Gesù Nero”, ha spiegato che “bisogna impartire una lezione alla comunità. È necessaria una rieducazione. Vogliamo che gli oppositori si facciano avanti e confessino… Volete un cambiamento al governo? Dobbiamo ammazzarvi di botte.”

Questa non è un’esagerazione. Gli scagnozzi di Mugabe squarciano le natiche fino all’osso con spranghe di ferro, bruciano le piante dei piedi, forzano ad ingoiare attizzatoi incandescenti e attaccano fili sotto tensione agli attributi dei contestatori. Vanno nelle scuole delle zone rurali e versano olio bollente sulle mani chiuse dei bambini, in modo da suggellarli per sempre nel pugno simbolico del ZANU-PF, il partito di Mugabe—gesto che solo Dio sa che utilità abbia, dato che va stupidamente a compromettere i futuri strumenti di voto.

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In questi quattro anni di condivisione del potere, la “coalizione” tra ZANU-PF e MDC-T (il partito d’opposizione) ha redatto un abbozzo di costituzione. Nel giugno 2011 si sarebbe dovuto tenere un referendum costituzionale, ma Mugabe lo posticipò una prima volta ad ottobre. Poi, ancora una volta, per un anno. Ottobre 2012 avrebbe dovuto essere il momento tanto atteso dal popolo, ma il Presidente ha deciso che ancora una volta i tempi non sono maturi.

Ha rifiutato di riconoscere l’omosessualità come diritto legale, i matrimoni tra coppie dello stesso sesso e le doppie cittadinanze. Fatto ancor più rilevante, ha rifiutato di correre con un alleato, il che avrebbe significato delineare un successore, cosa inconcepibile per un uomo talmente bramoso di potere.

La popolazione dello Zimbabwe non desidera altro che la caduta del tiranno dal suo piedistallo, e attende impaziente la venuta delle sempre posticipate presidenziali. Ma con esse arrivano le ormai note campagne d’intimidazione condotte tramite violenze, mutilazioni e massacri. Non molto tempo fa, i membri dell’impietosa Quinta Brigata (addestrata nella Corea del Nord) potevano essere visti annoiarsi sul retro dei furgoni senza nulla da fare. Ora, le brutalità hanno subito un’impennata, e un ulteriore peggioramento è previsto per il rinvio. Abito nelle vicinanze di un campo “di rieducazione” dello ZANU-PF, e ogni sera mi addormento tra il risuonare delle grida. Ma per cosa, poi? Solo per vedere il sangue scorrere mentre Mugabe decide in quale proporzione vorrà vincere le elezioni questa volta.

Se, per un qualche strano miracolo, Mugabe non vincesse, nessuno sa cosa aspettarsi. Non sarà un sant’uomo, ma la sua sconfitta potrebbe aprire a uno scenario ancora peggiore. C'è chi sostiene che Mugabe non sia altro che un fantoccio nelle mani delle forze militari, e ipotesi diffuse dichiarano addirittura che sia già morto e che il popolo sia stato ingannato da controfigure per anni. C'è chi ha detto “Meglio il diavolo noto di quello che non conosci.” Magari dovremmo dargli credito e ascoltarlo.

In ogni caso, Mugabe non è mai stato così vicino al perdere il suo impero e tutto questo posporre altro non è che un disperato tentativo di rimanere aggrappato alla sedia del potere. Ha avuto protezione fin dall’inizio, ma le sue squadre di distruzione e la folle artiglieria non lo proteggeranno dal futuro. La sua abilità di prevaricazione è impareggiabile e anni di morte scampata hanno lasciato la sua gente e il suo Paese allo stremo. Ora è davvero il momento che Mugabe vada all’inferno.