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Un ragazzo di Edimburgo ha girato il nuovo Trainspotting dopo averlo vissuto sulla sua pelle

Garry Anthony Fraser è cresciuto nelle case popolari alla periferia di Edimburgo, circondato da eroina, crimine e sieropositivi. Alla fine, però, ne è uscito e ha girato questo documentario.

Garry Anthony Fraser ha incontrato più morte e dolore sul suo cammino di quanto le persone normali facciano in dieci vite. È cresciuto a Muirhouse, un quartiere di case popolari a nord di Edimburgo, negli anni rampanti dell'eroina e dell'AIDS, quando il 51 percento della popolazione locale risultava positiva all'HIV.

I genitori non riuscivano a prendersi cura di lui, e Gary è stato dato in affidamento a una famiglia dopo l'altra, cambiandone 36 in otto anni. In molte di queste famiglie è stato vittima di abusi fisici e sessuali. Non riesce nemmeno a tenere il contro di quanti amici ha perso a causa della droga e della violenza, e lui stesso per un po' è stato dipendente dal crack.

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Ora Garry, lontano dalla droga e dal crimine, è un regista che ha ricevuto premi ai BAFTA e da MTV. Il suo Everybody's Child è stato soprannominato "Trainspotting sotto forma di documentario", ed è uno strumento tramite cui Garry accetta il suo passato facendo i conti con il dolore, la miseria, il male di vivere. È Garry stesso—determinato ed entusiasta, fervente sostenitore del potere dell'arte di cambiare le cose—che dà al documentario l'impronta e il mordente. L'ho incontrato per conoscerlo meglio.

VICE: Garry, quali sono le tue prime memorie di Muirhouse?
Garry Anthony Fraser
:
Cazzo, non saprei. Essendoci cresciuto sembrava tutto normalissimo—spacciare era normale, la brutalità della polizia era normale, finire pestato dalla polizia ogni settimana… Pensavo fosse tutto normale. Poi quando sono andato al liceo ho cominciato a rendermi conto che non tutti avevano amici che erano stati accoltellati, non tutti avevano perso persone care. Sono cresciuto circondato dalla morte—ero abituato alla morte. E quando sei abituato alla morte hai tutto un altro modo di guardare alla vita, no?

Quando hai capito cosa era l'AIDS e l'impatto che aveva sulla tua comunità?
Ne sentivo parlare in continuazione, soprattutto quando finivo dentro o al riformatorio… c'era sempre qualcuno che ne parlava—lo chiamavano sempre con termini peggiorativi, quindi avevo capito che era una specie di stigma. Ma solo quando sono andato al college ho capito che bisognava fare qualcosa. Quando Steph, l'assistente sociale che si occupava della mia dipendenza, mi ha detto quanti morti causava.

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Il numero di persone risultate positive all'HIV in quel periodo a Muirhouse è assurdo.
Era una roba fuori controllo. Farti beccare con un ago era praticamente come farti beccare in possesso di eroina, quindi nessuno voleva averne uno proprio. Venivano condivisi, e finiva che in una casa c'erano 30 persone che usavano lo stesso ago. È così che è iniziata l'epidemia.

Sono rimasto molto colpito dalla scena in cui incontri un tuo vecchio amico sieropositivo che racconta della volta in cui uno gli ha chiesto di potersi iniettare il suo sangue infetto, perché da sieropositivo avrebbe goduto della pensione di disabilità. È triste e sconvolgente, ma ti fa capire anche la rassegnazione in cui vivono le persone.
Era l'assoluta disperazione. E non era solo a Muirhouse. Non riesco nemmeno a credere di aver sofferto di disturbo post traumatico da stress, e sono sicuro che molti altri ragazzi sono nella mia stessa condizione, solo che non gli è stato diagnosticato. La violenza diventa l'unico scopo della tua vita… lo spaccio… In quei casi pensi solo ai soldi, non alle conseguenze. È un sistema progettato per incastrare la gente come me: la prigione, le leggi, gli assistenti sociali. Nessuno vuole aiutarti, vogliono solo tenerci nel nostro inferno.

Le droghe quando sono entrate nella tua vita?
Avevo 11 anni. Ho cominciato a vendere acidi, speed, fumo—qualsiasi cosa trovassi. A 14, 15 anni sono finito in un istituto di sicurezza insieme a ergastolani, stupratori… è da persone così che sono stato circondato fin da quando avevo dieci anni. Quando avevo 16 anni e mi hanno rilasciato pensavo di essere destinato a vivere da gangster e morire da gangster. Ma poi è nato mio figlio e ho capito che dovevo cambiare davvero, o sarei marcito in galera.

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Sei finito a spacciare per la mafia turca. Come è successo?
Vendevo eroina, ma era una merda, era tagliatissima. Un tipo—che adesso è morto—mi ha portato a Londra per introdurmi nel giro. Ho cominciato a bazzicarli, a mettermi in mostra, pensavo fosse il mio destino andare in giro in BMW a spacciare. Era tutta una facciata, era una vita instabile, ma allora non lo sapevo.

E poi sei diventato tu stesso tossicodipendente, giusto?
Se fossi tornato a Londra e avessero visto quanto ero drogato, o se lo avessero saputo, mi avrebbero cacciato all'istante. Con questa gente non puoi essere un tossico, non devi toccare nulla. Quando ero a Londra nascondevo la mia dipendenza.

E come è finita la tua vita da spacciatore?
L'11 settembre. Ero a casa a contare mazzette, poi ho acceso il telegiornale e ho visto gli aerei schiantarsi nelle Torri Gemelle. Da allora, l'eroina è diventata introvabile. Il prezzo è salito alle stelle perché hanno interrotto la fornitura. Così ho bloccato i miei affari con i turchi a Londra. Poi quando avevo 25 anni hanno cominciato a succedermi cose che non so spiegare, avevo l'impressione che mi avrebbero ucciso da un momento all'altro. Quando è nato mio figlio Garry J avevo smesso in toto di spacciare perché non volevo problemi con la polizia. È successo un paio di volte, che venissero a perquisire la casa, ma a quel punto non spacciavo più, ero preso dalla sceneggiatura. È stato allora che ho iniziato coi farmaci.

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È un circolo molto difficile da interrompere.
Le case farmaceutiche sono gli spacciatori più grandi del mondo. Mi facevo di valium, diidrocodeina, metadone—anche se poi ti stufi di andare tutti i giorni in farmacia e non fare soldi. Sotto l'effetto di questi farmaci però riuscivo a scrivere, ho passato anche gli esami a scuola. Delle superiori non ricordo neanche un giorno. Ho passato l'esame senza aver mai fatto un giorno in classe, e questo mi ha dato una sorta di sicurezza in me stesso. Il mio primo film, In for Life, ha vinto un MTV Award. Andavo a Londra e mi concentravo sulle mie cose, e ho pensato, "Mi piace questo stile di vita. Questo sono io." Studiare mi ha salvato la vita.

Quando hai deciso di girare Everybody's Child?
Avevo un video che si chiamava Heroin, un documentario in tre puntate del 1986, che era uscito nel 1986. Con i ragazzi del film ci ero cresciuto, e al tempo non sapevo che la maggior parte di loro avesse l'AIDS. Alla fine del documentario ho pensato, "Cazzo—questi avevano l'AIDS e nel documentario nessuno lo sa, parlano solo della loro dipendenza dall'eroina."

La mia idea iniziale era di girare il sequel. Sento di avere un dovere morale quando faccio film, e questo era un tema che mi stava a cuore. Inizialmente volevo fare un film sul perché Muirhouse fosse la capitale europea dell'AIDS, ma non volevo metterci di mezzo la mia vita privata perché, da regista, pensavo, "Non buttare fuori tutto insieme, Garry. Poco per volta." Poi però l'ho fatto lo stesso.

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Paradossalmente sembra che le difficoltà che hai affrontato quando eri piccolo ti abbiano quasi aiutato, dal punto di vista creativo.
Certo, è così. Viviamo in una società di stereotipi, quindi quando c'è qualcuno come me, intelligente e creativo, tutti pensano, "Cavoli, non pensavo che uno così potesse uscire da Muirhouse." Sopravvivo grazie alla mia creatività da quando ho 14 anni, e spero che traspaia da ciò che faccio. Non sono più schiavo del machismo. Molti dei miei amici sono ancora incastrati in questo mondo da machi, e non riusciranno mai a uscirne, perché non riescono a parlare dei propri sentimenti. Io invece scrivo tutti i giorni poesie, e così do sfogo alla rabbia, alla frustrazione.

Come hai conosciuto Irvine Welsh e come avete iniziato a collaborare?
Ero su Twitter e cercavo materiale per un documentario, poi ho detto "Vabe', se scrivo a Irvine Welsh che è di Muirhouse forse capisce." Gli ho mandato un messaggio chiedendogli di poter usare un suo racconto e lui mi ha detto di sì. E farà da executive producer ai miei prossimi documentari. L'ho incontrato a Edimburgo e mi ha dato una pila di libri autografati da regalare ai ragazzi della mia associazione. Di fronte a materiale come quello di Welsh i vari Danny Boile devono perdere tempo a fare ricerche, ma io non ne ho bisogno: è la mia vita. Non vedo l'ora di iniziare.

Per chi volesse conoscere da vicino l'attività di Gary, questo è il suo sito: www.wideomedia.org.

Everybody's Child è disponibile su iTunes.

@danieldylanwray