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La storia dimenticata dello Schindler giapponese

Sugihara è un diplomatico giapponese che durante la Seconda Guerra Mondiale ha salvato migliaia di ebrei, ma la sua storia rimane sconosciuta ai più. Ne abbiamo parlato con il regista Celin Gluck, che a Sugihara ha dedicato un film.

Foto via Wikimedia Commons.

Accanto a uno Starbucks nel centro di Little Tokyo, a Los Angeles, c'è la statua di un uomo in giacca e cravatta con in mano un pezzo di carta. Sulla base è incisa una frase del Talmud: "Chi salva una vita, salva il mondo intero." L'uomo immortalato è Chiune "Sempo" Sugihara, noto anche come "lo Schindler giapponese". È stato un diplomatico giapponese incaricato di aprire un consolato a Kaunas, in Lituania, nel 1939. Sugihara è andato contro al suo governo emettendo 2139 visti per alcuni dei circa 6000 ebrei che erano migrati in Lituania dopo che la Germania aveva invaso la Polonia, e che si trovavano di nuovo a dover fuggire. A Los Angeles migliaia di persone passano davanti alla statua ogni giorno senza sapere nulla sull'uomo che circa 70 anni fa ha salvato migliaia di vite.

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La storia di Sugihara è stata oggetto di un documentario diretto dal regista giapponese-americano Cellin Gluck e presentato ieri all'Atlanta Jewish Film Festival. Persona non grata racconta la presa di coscienza di Sugihara e le sue gesta eroiche nel corso della Seconda Guerra Mondiale. A differenza di Oskar Schindler, l'industriale tedesco che all'inizio vedeva il proprio tornaconto economico nel salvare gli ebrei o dello svedese Raoul Wallenberg che era stato mandato in Ungheria con quel preciso scopo, Sugihara non aveva nessun mandato o nessun ritorno per fare ciò che ha fatto, a parte la propria libera volontà.

I discendenti degli ebrei salvati da Sugihara sarebbero oggi 40mila. Dopo aver terminato il suo compito all'ambasciata, Sugihara visse una vita tranquilla nell'anonimato. Solo quando uno degli ebrei che aveva salvato riuscì a rintracciarlo venne portato in Israele e celebrato come un eroe. Ad oggi è l'unico giapponese che il governo israeliano abbia onorato col titolo di Giusto tra le Nazioni, di cui fu insignito nel 1984, due anni prima della morte.

Gluck, che ha lavorato come assistente alla regia in Contact, Transformers e Il sapore della vittoria oltre ad aver diretto la versione giapponese di Sideways nel 2009, dirige un cast internazionale composto tra gli altri dal premio Oscar Toshiaki Karasawa, da Koyuki, Borys Szyc e Agnieszka Grochowska. VICE ha parlato con il regista di empatia, di com'è dirigere un cast internazionale, e di come Sugihara reagirebbe a un film sulla sua vita.

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Cellin Gluck sul set di

Persona Non Grata.

VICE: Quando hai sentito parlare la prima volta della storia di Sugihara?
Cellin Gluck: Dopo l'uscita di Schindler's List, in tutti il mondo hanno iniziato a spuntare storie su altri Schindler che avrebbero aiutato gli ebrei a fuggire dai territori occupati dai tedeschi. Avevo sentito parlare dello "Schindler giapponese", ma è stato solo quando un amico mi ha dato una copia di The fugu plan, un libro sul rapporto tra giapponesi ed ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, che ho realizzato veramente il valore di Sugihara.

Qual è stata la parte della sua storia che ti ha toccato di più?
Ho trovato commovente il fatto che Sugihara abbia deciso di fare tutto di sua spontanea volontà, senza nessun compenso. Non voleva passare per eroe—ha fatto semplicemente tutto ciò che poteva e credeva fosse giusto per il prossimo.

Cosa credi avrebbe pensato del fatto che la sua vita venga proiettata sul grande schermo?
Credo che se fosse stato qui avrebbe cordialmente accettato eventuali riconoscimenti e allo stesso tempo avrebbe rifiutato qualsiasi tentativo celebratorio.

*Prima di incontrare sua moglie giapponese veva una relazione con una donna russa, Klaudia. Oltre a essere inusuale per il tempo, credi che abbia contribuito alla sua visione del mondo?*
Credo che il periodo passato in Manciuria a studiare all'Harbin Istitute e la relazione con Klaudia lo abbiano aiutato a sviluppare l'idea che, anche se le nostre culture sono diverse, in fondo siamo tutti uguali.

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Sugihara ha emesso tutti i visti che poteva, fino al momento prima di essere costretto ad abbandonare il paese. Ma non c'era certezza che questi visti garantissero il passaggio. Dove andavano gli ebrei che fuggivano dalla Lituania?
Con l'aiuto dell'ambasciatore polacco a Tokyo e di molte associazioni, i fuggitivi hanno potuto raggiungere gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda e la Palestina, allora sotto mandato britannico. Molti ebrei erano stati deportati dal Giappone a Shanghai, che aveva già una vasta popolazione ebrea e allora era sotto il controllo del Giappone. Qualcun altro è rimasto in Giappone.

La storia di Sugihara è nota in Giappone?
Molti giapponesi non sanno chi sia, né cos'abbia fatto. Alcuni studenti mi hanno detto di aver letto di lui a lezione, ma al di fuori della prefettura di Gifu, dove Sugihara è nato, non se ne sa molto.

Prima di spedirlo in Lituania, il governo russo ha dichiarato che Sugihara era persona non grata a causa di presunte attività di spionaggio, rendendogli così impossibile assumere l'incarico all'ambasciata giapponese di Mosca—che era il suo sogno. Perché questa parte della vicenda è così importante da essere diventata il titolo del film?
Il producer del film ha proposto questo titolo all'inizio della lavorazione: gli sembrava appropriato per un uomo che era stato ostracizzato per ragioni che erano più grandi di lui e che alla fine empatizzava con altre persone intrappolate in una situazione che esulava dal loro controllo.

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Com'è stato dirigere un cast internazionale e poliglotta?
Sono felice che il mio producer, Kazutoshi Wadakura, ci abbia concesso di girare in Polonia, dove siamo riusciti a unire i due mondi europeo e giapponese. Ho portato alcuni attori dal Giappone e ho potuto scegliere tra i migliori attori polacchi. Anche se la maggior parte della trama si svolge in Lituania, girare con attori polacchi era sensato perché quasi tutti i profughi a cui Sugihara ha fornito un visto erano polacchi.

In che modo il fatto che tu abbia origini giapponesi ma anche ebree ha influenzato la narrazione?
Durante la realizzazione mi sentivo di poter empatizzare con entrambi i mondi. Ma la cosa più importante è che avevo un motivo personale per raccontare la storia.

Il film è stato presentato ieri negli Stati Uniti, in un momento in cui molti si sentono non graditi anche a casa propria. Cosa può insegnarci la storia di Sugihara sul passato, il presente e il futuro?
Penso che tutti debbano sempre cercare di fare la cosa migliore, invece che stare ad aspettare che qualcun altro faccia il lavoro sporco. Dobbiamo sbarazzarci del pensiero che sia giusto ostracizzare un gruppo di persone solo per quello in cui credono o per il luogo da cui vengono.

Guardando il film non ho potuto fare a meno di pensare alla crisi attuale dei rifugiati e al fatto che molte persone così come molte nazioni se ne fregano. Il film può aiutarli a cambiare visione?
Spero che se non altro i film abbiano il potere di aiutare le persone a riconsiderare le cose in cui credono, e quindi, le loro azioni. Se Persona Non Grata riuscisse a far riflettere qualcuno sul proprio atteggiamento, sarei molto soddisfatto.

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