Tommaso Ausili ha fotografato quello che succede nei macelli italiani

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Contrasto

Tommaso Ausili ha fotografato quello che succede nei macelli italiani

Per il suo progetto "The Hidden Death", il fotografo romano è entrato in diversi mattatoi cercando di rappresentare la "catena di smontaggio" che ha luogo al loro interno.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Una mucca viene scaricata dal camion per essere condotta alla stalla di transito, dove attenderà di essere macellata. Tutte le foto di Tommaso Ausili/Contrasto.

Contrasto è il punto di riferimento per il fotogiornalismo in Italia. Da 30 anni rappresenta alcuni dei migliori fotografi e fotoreporter italiani ed esteri, oltre a diverse agenzie internazionali come la Magnum. Quella che state leggendo è la seconda stagione della rubrica in collaborazione tra Contrasto e VICE Italia, in cui intervisteremo alcuni dei nostri fotogiornalisti italiani preferiti per farci raccontare le storie e le scelte dietro il loro lavoro. In questa prima puntata parliamo con Tommaso Ausili del reportage sul consumo alimentare e i macelli che gli è valso un World Press Photo.

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Attenzione: il post contiene immagini crude.

In Italia, la legislazione che regola il trattamento degli animali riferisce al Regolamento comunitario 1099 del 2009, in cui "la tutela del benessere degli animali" viene lasciata alla responsabilità dell'operatore, al di fuori di alcune norme di massima da rispettare (non picchiare l'animale, non farlo assistere al macello degli altri animali, etc).

E proprio nel 2009 è nato anche The Hidden Death, un progetto sviluppato dal fotografo romano Tommaso Ausili, 46 anni, sulla "catena di smontaggio" che ha luogo all'interno dei mattatoi italiani. Il progetto è durato all'incirca nove mesi, ma la maggior parte del lavoro è stato svolto nel periodo di Pasqua, "quando i mattatoi sono invasi da un carico enorme di agnelli."

Ausili, che ha cominciato come fotografo geografico e documentario a trent'anni, dopo aver abbandonato la carriera legale, è passato al reportage proprio con questo progetto—con il quale ha vinto il terzo premio nella categoria Contemporary Issues - Stories del World Press Photo e l'Iris d'Or - Sony World Photography Awards Photographer of the Year. L'ho chiamato per parlare di com'è stato ritrovarsi in uno di quei luoghi, e come ne è uscito.

Un maiale al quale è stata appena recisa la vena giugulare

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VICE: Come è nato il progetto?
Tommaso Ausili: Il progetto è nato quando è subentrata l'esigenza di inserire un filtro/visione personale nel mio lavoro. Provenivo dai dettami della fotografia geografica, una tipologia di fotografia acritica, dove l'obiettivo è più quello di illustrare che di raccontare. Quindi ho pensato a un tema universale immediatamente intellegibile che non fosse limitato da confini, né territoriali né linguistici, e quello dell'uccisione degli animali per il consumo alimentare mi è sembrato che sintetizzasse questi presupposti. Perché nonostante avvenga fin da quando l'uomo ha mosso i suoi primi passi, rimane un argomento così controverso che ancora non si è arrivati a un orientamento univoco sul tema.

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Dal punto di vista pratico, invece, cercavo un progetto che fosse, tra virgolette, di facile realizzazione e poco dispendioso. Così sono andato nella mia casa in campagna e ho iniziato a cercare mattatoi lì vicino.

Come sei riuscito ad accedere all'interno dei mattatoi?
Credo sia stata l'incoscienza dell'epoca. Forse riuscirei anche oggi, ma con i criteri di chi è più navigato. A quel tempo, invece, ho fatto tutto più istintivamente: mi sono trasferito, ho fatto delle ricerche, e alla fine sono riuscito a farmi introdurre da un veterinario della zona al primo mattatoio. Mi sono presentato senza macchina fotografica per esporre l'idea del mio progetto e mettere in chiaro che non voleva essere un progetto di "denuncia", e che né i luoghi né tantomeno i volti sarebbero stati riconoscibili. Per me la presenza umana è in effetti secondaria, e nelle foto è ridotta al minimo: non ci sono volti, solo ogni tanto mani e braccia a dare traccia dell'uomo.

Così, dopo qualche giorno ho iniziato a scattare, a mostrare le prime foto stampate e a instaurare un rapporto di fiducia.

Un operaio del mattatoio sorregge la testa di una mucca appena macellata.

Quindi non puoi dirmi dove si trovano i mattatoi in cui hai sviluppato il progetto?
No, non posso infrangere una vecchia promessa [fatta agli operatori]. D'altronde, non è fondamentale, dato che questi mattatoi—col tempo ne ho visti anche altri—hanno tutti le stesse caratteristiche: sono lontani dagli sguardi della gente, anonimi, e dall'esterno sembrano una fabbrica come un'altra.

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Puoi spiegarmi le varie fasi della macellazione, l'organizzazione del lavoro?
C'era un calendario settimanale, diviso per bestiame. Gli animali arrivavano sui camion, venivano scaricati e messi in una sala di transito. Se arrivavano dei bovini, si facevano passare in questo corridoio che conduceva alla "trappola", un piccolo spazio da dove l'animale non può più uscire. A quel punto, l'operatore dall'alto sparava il "proiettile captivo" nella testa dell'animale per stordirlo, la gabbia veniva aperta e l'animale rotolava giù. Quindi, con un cappio e una catena veniva issato, trascinato nel canale di scolo, dove gli veniva recisa la giugulare e l'animale moriva per dissanguamento. Nelle stazioni successive di questa "catena di smontaggio," la carcassa—senza testa e fissata con altre catene al terreno—veniva scuoiata da due operatori e divisa prima in due e poi quattro parti da portare nelle celle frigorifere, per essere preparate alla distribuzione.

Per quanto riguarda suini e ovini, invece, venivano storditi con pinze elettriche applicate alle tempie. I maiali, una volta dissanguati, non venivano scuoiati ma immersi nell'acqua bollente per ammorbidire la cotenna, e trattati per eliminare i peli.

Una mucca, all'interno della cosiddetta "trappola", viene stordita con l'apposita pistola prima del taglio della vena giugulare.

Mi dicevi che la macellazione più "forte" a cui assistere è quella islamica.
Sì, perché non prevede lo stordimento dell'animale. Nel caso dei bovini, una volta che l'animale era all'interno della trappola, si legava la corda che aveva intorno al collo in un punto molto alto per tagliargli la gola rimasta scoperta.

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Come ti sei sentito, da spettatore?
Sono immagini che rimangono nella memoria. Ricordo che il primo giorno è stato orribile e volevo scappare. Cosa che ho scoperto, una volta concluso il progetto, aveva davvero fatto anni prima Giacomelli nel realizzare un lavoro simile.

Ma il mio obiettivo era creare consapevolezza che sia un lusso avere un intermediario tra noi e il pezzo di carne sugli scaffali del supermercato, per cui mi sono fatto forza e ho resistito. Sembrerà brutto da dire, ma alla fine ci si abitua a tutto.

Un maiale durante una fase della lavorazione

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Hai detto che non volevi "denunciare" e ricordare senza ipocrisie cosa avviene prima del pezzo di carne, ma il tema è comunque forte. Dopo che hai esposto il progetto e vinto diversi premi, com'è stato accolto dal pubblico?
Diciamo che per la maggior parte i miei intenti sono stati colti. Il mio era un invito a riflettere, a tenere presente che le fettine non crescono sugli alberi, ma che hanno un'origine ben chiara. E volevo puntare, appunto, su questo velo di ipocrisia che tutti quanti, in fondo, indossiamo. Perché non è piacevole a tavola pensare alla morte, dato che nutrirsi è un atto vitale, e nutrire un atto vitale con un atto di morte è una contraddizione.

Non volevo indurre nessuno a smettere di consumare carne, piuttosto era un invito a un consumo più ragionevole e sostenibile. È capitato anche che alcuni si impadronissero delle immagini utilizzandole, senza autorizzazione, per uno scopo per cui non sono state prodotte—ma sono una piccola minoranza. Alla fine, il fatto di aver trattato questo tema nella maniera più delicata possibile, visivamente parlando, è stato compreso.

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Un carrello colmo di pelli di agnello, che verranno scartate.

Sì, le foto non sono sensazionalistiche. Come sei arrivato alla consapevolezza della prospettiva con cui volevi trasmettere questo progetto?
Come qualsiasi processo creativo che si snoda per un periodo di tempo lungo, è arrivata man mano. Ho elaborato tutto sul campo. Poi, in fase di editing, mi sono accorto di essere pieno di immagini scioccanti e fortissime, soprattutto del periodo iniziale, ma che non erano funzionali al progetto perché innescavano quel tipo di shock a cui ormai ci assuefacciamo e rigettiamo facilmente. Quindi ho deciso di filtrare tutto questo argomento terribile con severo rigore estetico, per creare una breccia nella sensibilità dello spettatore che facesse maturare e comprendere il messaggio che volevo veicolare.

Polli al termine della lavorazione pronti per essere sezionati e confezionati

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Prima accennavi al fatto che gli animali sono molto simili a noi. Secondo te capivano cosa stava per succedere loro?
Credo sia una delle grandi domande che sono rimaste senza una risposta certa. Ma mentre ero lì, un veterinario mi ha dato una spiegazione che trovo molto plausibile. Mi ha spiegato che l'animale non è mai consapevole di andare incontro alla morte, perché questa consapevolezza prevedrebbe la connessione di più fattori intrecciati. L'animale non ragiona, prova degli istinti di base­­—come la paura. Mentre la consapevolezza di andare a morire è mettere consapevolmente in serie e insieme più istinti di base.

Tre agnelli in attesa di essere macellati.

Prendiamo in considerazione la foto degli agnellini che guardano le carcasse appese, di primo acchito fa impressione perché sembra toccare una delle nostre più grandi paure: assistere alla propria morte. Ma la foto, in realtà, non rappresenta questo. Se uno avesse assistito alla scena, avrebbe capito che si trattava di tre agnelli curiosi, che si erano affacciati per vedere ciò che succedeva all'interno. Subito dopo che l'operatore ha chiuso la porta—perché una delle norme che regola la macellazione è che l'animale non deve vedere ciò che accade intorno a lui—il loro atteggiamento era tutt'altro che spaventato.

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Dopo questo progetto è cambiato il tuo rapporto col consumo di carne?
Il mio consumo di carne è migliorato­, se si può dire così—è diventato più consapevole. Nel senso che adesso so da dove proviene, ho imparato a non sprecarla, a non comprarne più di quanto serva a me e alla mia famiglia. E cerco di conoscere la provenienza della carne che acquisto, anche se dalle diciture non è sempre facile.

Un operaio del mattatoio e un maiale durante una fase della lavorazione della carne

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Ho notato che sul tuo sito c'è un altro progetto incentrato sugli animali, L'animale che, dunque, sono. Di che si tratta?
Si tratta di un progetto personale in corso, nato nel 2013, che non sarebbe potuto essere concepito senza la consapevolezza acquisita con Hidden Death. Sono una serie di foto scattate ad animali imbalsamati, realizzate attraverso una tecnica particolare. Tutto questo con lo scopo di carpire la zona in cui vita e morte si incrociano—scopo molto simile a quello di Hidden Death. Sto continuando a cercare altri modi per esplorare i rapporti tra l'uomo e l'animale; non ho ancora capito se si tratterà del progetto di tutta una vita.

Un maiale nella "trappola", prima di essere stordito con la corrente elettrica

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Per vedere altre foto di Tommaso, vai sul suo portfolio sul sito di Contrasto.

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