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Vergini all'asta e circoncisioni d'emergenza: la mia vita come giornalista sotto copertura

Antonio Salas, questo il suo pseudonimo, ha vissuto un sacco di vite. Dopo essersi infiltrato in un gruppo di ultras neonazisti spagnoli, avere indagato sulla tratta di esseri umani e militato in alcune cellule jihadiste ci ha raccontato la sua...

Il giornalista investigativo spagnolo Antonio Salas, questo il suo pseudonimo, ha vissuto un sacco di vite.

All'epoca di un'inchiesta sugli ultras neonazisti si è infiltrato in un gruppo di hammerskin del Real Madrid, e successivamente si è fatto passare per trafficante e ha partecipato alla tratta di prostitute appena 13enni—un'esperienza che ritiene tra le più dure della sua vita, tanto a livello emotivo che psicologico. Più di recente ha trascorso sei anni facendo dentro e fuori da cellule jihadiste per il suo libro sul terrorismo islamico, in preparazione al quale si è fatto circoncidere e ha studiato a fondo il Corano.

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Un po' di tempo fa l'ho chiamato per fargli qualche domanda sul suo lavoro.

VICE: Ciao Antonio, come va?
Antonio Salas: Ciao Rui, tutto bene. Sono ancora vivo. È una risposta divertente.
No, affatto. Non molto tempo fa il leader del Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, Chino Carias, ha annunciato la mia condanna a morte. La cosa peggiore di essere un giornalista sotto copertura è che non puoi mai godere del tuo successo. La parte migliore è che ti è concesso di rimanere in vita e continuare a indagare.

Hai scritto che quando ti eri infiltrato tra i tifosi hammerskin del Real Madrid a volte ti divertivi. Ma ci sono state anche volte in cui volevi dire la verità, dire che eri un "traditore."
Quando lavoro sotto copertura sono uno di loro. Vivo, dormo e mangio col solo obiettivo di indagare, 24 ore al giorno, per capire le loro motivazioni. E questo implica sviluppare legami emotivi anche con neo-nazi e terroristi. Tutti facciamo ciò che pensiamo sia giusto—per loro è lo stesso. Spesso è difficile ricordarti che in realtà sei un giornalista sotto copertura e non uno di loro.

È successo anche nelle ricerche sul traffico di esseri umani?
Anche se non è stata l’esperienza più pericolosa in cui mi sono trovato, è stata sicuramente la più traumatica e faticosa dal punto di vista psicologico. Prima di iniziare mi ero fatto un'idea di come sarebbe stato l'ambiente, ma mi sono scontrato con una realtà molto più dura.

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Quando hai deciso di guadagnarti da vivere con questo lavoro?
Ho sempre pensato che dottore e insegnante fossero le professioni più belle a cui aspirare. Non riesco a immaginare qualcosa di meglio. Però ho un animo troppo ribelle e indisciplinato per entrambe. Diventare giornalista era la mia terza opzione. Credo fortemente che andare alla ricerca della verità e mostrarla, e intendo la verità nuda e cruda, sia un modo nobile per guadagnarsi da vivere.

La tua credibilità viene minata dal fatto che le persone non sanno chi sei veramente? Come ti trattano i giornalisti spagnoli?
A parte qualche eccezione, i miei colleghi mi trattano con una gentilezza che non merito. Per quanto riguarda la credibilità, invece, comprendo lo scetticismo. Se uno dei miei colleghi mi dicesse che ha discusso la vendita di giovani vergini destinate al mercato della prostituzione dal tavolo di un ristorante di Madrid non ci crederei nemmeno io. Ma la bellezza delle telecamere nascoste sta proprio in questo—non devi credere. Basta guardare i video, è tutto là dentro.

Perché hai scelto il nome ‘Antonio Salas’? Ha un significato particolare?
No. Antonio, Toni, è un nome molto comune in Spagna. Si può scordare facilmente e quando fai quello che faccio io, è importante non attirare troppo l'attenzione. Il nome Toni è usato anche in altre lingue. Salas è un nome popolare, non spicca molto.

Rivelerai mai la tua identità?
Non lo so. Devo ammettere che a volte mi spiace non poter accettare premi e inviti alle conferenze. MI piacerebbe un sacco autografare i miei libri come ogni altro scrittore. Tutti abbiamo un briciolo di vanità. Il giorno in cui rivelerò la mia identità segnerà il mio ultimo giorno da giornalista investigativo. E credo che il tipo di giornalismo che faccio sia utile alla società, quindi continuerò il più a lungo possibile. Magari non sono coraggioso come Gunter Wallraff, Roberto Saviano o Hunter S. Thompson, ma sono più ambizioso.

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Nel caso dell'inchiesta sugli hammerskin scrivi che a denunciarti è stato un poliziotto.
È stato terribile. Se non fosse stato per David Madrid, che mi aveva avvertito che il suo superiore aveva rivelato tutto ai tifosi di Ultras Sur, quel pomeriggio sarei andato allo stadio e noi due non saremmo qui a parlare oggi.

Purtroppo la corruzione in polizia è peggio rispetto a quella che si vede nei film. La crisi economica e le restrizioni hanno spianato ancora di più la strada. In alcune indagini, come quelle sul crimine organizzato e il traffico di donne, ho scoperto che molti poliziotti, avvocati e giudici erano implicati in questi affari.

Cosa mi dici degli hammerskin?

È un discorso diverso. I miei compagni skin hanno un’ideologia strettamente legata alla destra. A loro piacciono la disciplina e le uniformi. Sono tradizionali, amano la gerarchia militare, e tutto ciò rientra nel profilo del poliziotto comune. Molti skin con cui ho avuto a che fare erano figli di poliziotti.

È interessante il fatto che ti riferisca a loro come compagni. Sono ancora tuoi compagni?
La verità è che è sempre molto difficile uscire da un movimento. Se non ti inserisci del tutto rischi di essere scoperto, ma se lo fai nel modo giusto rischi di diventare uno di loro. È per questo che spie e poliziotti lavorano in coppia, così che ci sia una figura di controllo che non permette all'altro di diventare il personaggio che interpreta. Io lavoro da solo. Quando ho pubblicato il libro sugli skin ho vissuto una specie di sindrome di Stoccolma. Mi è spiaciuto tradire i miei compagni. Ma un mio amico psicologo mi ha aiutato molto. Mi ha spiegato che in realtà non erano amici di Antonio. Erano gli amici di Tiger88, il personaggio che interpretavo. Tutte le "infiltrazioni" possono essere molto intense, c'è sempre una componente che ti ferisce.

Com'è la tua vita privata? Cosa dicono i tuoi genitori e la tua fidanzata?
Faccio il possibile per separare la mia vita privata dal lavoro. I miei genitori sono sotto scorta dall'inchiesta sulla tratta delle donne. Mia madre non la vive particolarmente bene; per quanto riguarda i miei amici, in pochi sono al corrente di ciò che faccio. I più non sospettano nulla. A volte parlano di Antonio Salas e dei film ispirati ai miei libri, e io mi trovo ad ascoltarli… è una situazione strana. Ma non ci sono alternative. Nella mia vita professionale la morte è un elemento sempre presente.

E come gestisci questo aspetto?
Non ho più paura. Indosso una collana con un proiettile da 9mm che mi ha quasi ucciso. Fino a quel giorno non avevo idea del rumore di un proiettile. Nel corso delle ricerche per L'infiltrato ho avuto modo di familiarizzare con le armi e l'idea della morte. Ho la coscienza pulita, e anche se mi prendessero avrei la certezza di aver vissuto appieno la mia vita. Ho imparato tutto ciò che potevo e ho cercato di rendermi utile. Ciò che mi spaventa, è che la morte sia dolorosa. Ma immagino che chiunque abbia quella paura.