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Serrabyte - Farsi di videogiochi

Da Tetris alla meccanica del massacro di Warriors Orochi, i videogame da ebbrezza.

Tetris serviva per giocare al cesso—o sotto il banco, senza sonoro—quando i trentenni di oggi erano piccoli. A parte le letture storiche e sociologiche (inventato da un ricercatore russo a metà anni Ottanta, fondato sulla costruzione/distruzione di un muro etc.) era un gioco stupido, e una droga. Oggi per ogni piattaforma immaginabile esistono giochi stupidi, non nel senso che siano poco intelligenti (non è importante, e comunque i giochi definiti intelligenti di solito fanno cagare), ma nel senso che tu, che ci giochi, ti instupidisci. Non è mica negativo: significa che ti rendono ebbro, fatto. Magari meno di Tetris: Angry Birds, Tiny Wings, quella roba che giochiamo sui telefonini non è paragonabile al capostipite. Però si insinua subdolamente, e da alla fermata del tram (versione trent'anni di "al cesso") a sotto la scrivania, senza sonoro (versione trent'anni di "sotto il banco, senza sonoro") il passo non è lungo. Io ultimamente sono preso bene con Jetpack Joyride, che è fondamentalmente una variazione tabbozza sul tema di Tiny Wings.

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Dicevamo. Ci illudiamo che il gioco stupido risieda per definizione su dispositivi portatili. (Tra l'altro, perché continuano a tentare di lanciare nuove console portatili che nessuno—relativamente parlando: un milione e mezzo di console vendute sul mercato mondiale, in fondo non è granché—compra? I grandi boss di Sony credono forse che chi gioca preferisca portarsi in tasca una Vita piuttosto che un cellulare? A proposito, complimenti per il nome: deve averlo scelto lo stesso copy della Kia Picanto). Non è così: esistono giochi più complessi, assolutamente da console, che però hanno lo scopo di portare l'uomo a uno stato di ebbrezza da ripetizione, fornendogli un compito semplice e potenzialmente senza fine. A tutti piace l'idea di essere fatto, in qualche modo.

Mi faccio con i videogame della serie Warriors, roba giapponese, da dieci anni. Prima c'era Dynasty Warriors, ambientato nell'antica Cina; poi è arrivato Samurai Warriors, ambientato nel Giappone del periodo Sengoku (qualsiasi cosa significhi); e poi ancora un sacco di spin-off dei quali il mio s-preferito è Dynasty Warriors: Gundam, solo perché era più noioso di quelli dedicati a Ken il Guerriero, all'Iliade, a One Piece o alla Guerra dei cent'anni. Tutti questi che ho citato sono, in effetti, sempre lo stesso gioco che si limita a cambiare pelle. Il cuore rimane: hack'n'slash, dicono gli americani, in pratica significa ammazzare tutti i nemici che ti arrivano addosso a ondate di centinaia. Nemici straordinariamente passivi (anche se ne conti a decine sullo schermo, non ti attaccano mai in più di quattro-cinque alla volta), forse malnutriti, sicuramente male equipaggiati, in definitiva deboli rispetto a te. Che invece. Sei. Dio. Spada fiammeggiante in mano, ne spazzi via 30 con un fendente, finché non arriva il momento di usare qualche mossa speciale che spacca in due il mondo. Tutto qua: ci sono obbiettivi da raggiungere, una pseudo-strategia da seguire… ma il grosso del divertimento, lo scopo del gioco, è la meccanica del massacro. Premere in continuazione uno, massimo due pulsanti, vedere i corpi che volano via. Dieci minuti così, e sei nel pieno di una vera Esperienza Ottimale. Che corrisponde al gioco stupido, e a qualcosa di diverso dal giocare a Skyrim, o Dead Space, o Mass Effect. Qualcosa, se volete, di molto più puro.

Warriors Orochi 3 è il quarto (…) episodio della serie-crossover tra le già citate serie di Dynasty e Samurai Warriors. Come i precedenti, fa sentire bene. Perché: 1) sui campi di battaglia ci sono vasi di coccio a caso che contengono cibo fresco 2) i soldi, alla fine, servono a diventare più forte 3) le tipe sono forti, ma meno dei tipi. Eccetera. Tutte cose che c'erano già nei precedenti; di più e di meglio, in questo, c'è la storia assolutamente folle e tabbozza: Idra di Lernia, viaggi nel tempo, Giovanna D'Arco e Ryu Hayabusa di Ninja Gaiden, tutto nello stesso gioco. E pensare che inizialmente la serie Dynasty Warriors era nota per la volontà di rimanere aderente alla realtà storica. Peccato che la realtà storica nei videogame sia noiosa come Corrado Augias. Meglio divertirsi.
L'altra cosa interessante di Warriors Orochi 3 è l'assenza di doppiaggio: i dialoghi sono tutti in giapponese. Qualche mese fa, gli sviluppatori del gioco avevano dichiarato che i giochi giapponesi non dovevano cercare di scimmiottare i prodotti occidentali, ma puntare sulla propria unicità. Che in questo caso significa "decidere di non farsi capire", se non attraverso sottotitoli che comunque nessuno legge (dai, oh). Risultato: i dialoghi diventano rumore di fondo, meno importante delle spade che fanno clang, delle grida di guerra e morte violenta.

Com'è giusto che sia. Quindi, Warriors Orochi 3 è l'incarnazione più spettacolare della saga Warriors, che in generale merita molta più considerazione di quella che ha. Spero che facciano presto un episodio con i personaggi di Berserk, Game of Thrones o (naturalmente) Prison Pit.