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Demented parla da solo

Facebook mi ha costretto a usare il mio vero nome, e ora non so più chi sono

Da quando Facebook mi ha bloccato l'account perché avevo un nome "finto" ho capito che il mio nickname era diventato il mio nome vero e viceversa, e ho iniziato a riflettere sul significato dell'identità.

Illustrazione di Simone Tso.

Ho un rapporto molto amichevole con Facebook: per me è uno strumento essenziale, al pari del telefono. Ci lavoro, ci discuto, ci scrivo le cazzate—come tutti, insomma. Il mio nome di battaglia su questo social è nato per caso: nel fu blog Do the mongoloid (che qualcuno si ricorderà per grandi inchieste quali "Kill Drum'n'bass") tutti avevano nomignoli da manicomio criminale. Io mi facevo chiamare Demented, quindi quando mi hanno chiesto il nome su Facebook è stato facile; il cognome invece l'ho tirato fuori dalla prima cosa che mi è venuta in testa, che in quel momento era il ricordo di quando facevamo i cazzetti col burrocacao per spaventare le nostre compagne alle medie. Ed ecco qui Demented Burrocacao, che è anche l'autore di questa rubrichetta. Per circa sette anni me la sono spassata senza problemi di sorta.

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Finché, verso la fine dell'anno scorso, succede che mi chiudono il profilo. Quando succede io sono al supermercato: arriva la telefonata di un amico che mi annuncia la nascita di un gruppo Facebook pronto a vendicare la mia "morte virtuale" (la cosa buffa è che raramente mi chiama al cellulare, perché ci sentiamo sempre online). Lì per lì mi metto a ridere, anche perché bene o male me l'aspettavo. Erano giorni in cui i cosiddetti nomi fasulli o di fantasia venivano regolarmente seccati dai vertici di Facebook. Messo di fronte all'evidenza decido di cambiare nome, e mentre penso al da farsi scatta un inesorabile countdown nella pagina: preso dal terrore di perdere tutti i miei dati, faccio la cazzata di scrivere il mio nome "vero", Stefano Di Trapani. Prevedibile.

La cosa che non mi aspettavo, invece, è che la mia realtà si è ribaltata: da quel giorno la gente ha iniziato a chiamarmi con il nuovo nome, come se fossi davvero un'altra persona. In pratica il nickname che usavo prima è diventato il mio vero nome, e il mio vero nome è diventato un nickname. Allora mi sono domandato chi fossi, visto che appunto Demented Burrocacao veniva rimpianto, neanche fosse defunto, in ben due gruppi Facebook di memorabilia.

Se il mio vero nome è diventato un nickname, ha senso oggi pensare di avere un'identità? Forse no. Più che altro, per sopravvivere è necessario averne molte. Quando metto su i miei progetti, che siano musicali, fumettistici o quel che vi pare, cambio sempre nick: mi piace sgusciare via e dare l'impressione che non sia io—addirittura mi travesto. Certo, tutto questo ha degli effetti collaterali: grande dispersività di energie, visibilità limitata, grandissima confusione. E c'è anche chi, come il buon Mai Mai Mai, ha cercato di risolvere il problema dell'identità mettendosi un cappuccio in testa, salvo poi presentarsi alla stampa come Toni Cutrone. Anche in questo caso, però, il suo vero nome non è quello.

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Infine, c'è chi nei nomi di battesimo si chiama come i morti (tipo il nonno deceduto nella Seconda Guerra Mondiale) oppure come altri (come l'ostetrica che t'ha dato alla luce). Io ad esempio a Natale ho avuto questa rivelazione: il mio nome deriva da un caro amico di mio padre che lui ha perso di vista. Quindi in realtà io non sono quello che credo, ma sono lui, o almeno una sua proiezione.

Le X-Ray Spex sono d'accordo con me sul fatto che guardarsi allo specchio più che darti un'identità ti induca a tagliarti le vene.

Meglio averne più di una allora, almeno non si muore.

Nel mondo moderno, la fissazione per il concetto di identità è talmente radicata che entra in gioco anche quando cerchi di far perdere le tue tracce—e la Facebookmania lo dimostra. C'è un mio amico che non ha Facebook, non ha Twitter, non ha nemmeno il cellulare e neppure il telefono fisso. In questo modo pensa di non essere rintracciabile. Però ha un computer, e su Facebook parlano sempre di lui. Esiste anche senza esserci materialmente—insomma, è spacciato.

Richard Wright dei Pink Floyd e il cantante dei Fashion misero su questo duo: il disco si chiamava Identity e fu un flop colossale. Paradossalmente, i loro fan rimasero spiazzati dall'assenza di riferimenti alle loro identità musicali precedenti. Ma anche la foto di copertina in effetti non diceva molto.

Avete presente Superman? Ecco, agli occhi di molte persone la mia nuova identità su Facebook è Clark Kent: c'è gente delusa che quando mi guarda in faccia piange, perché pensa che io non abbia più i poteri. Che io sia io a prescindere dai nomi non gliene fotte—sono affezionati alla ragione sociale. Purtroppo per loro anche Superman viene fottuto dalla kriptonite. In questo caso, è bastato il "central scrutinizer" di Facebook: quindi forse è meglio agire d'astuzia ed essere aperti alla polidentità.

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La cosa molto strana è che per un periodo stavo cedendo al complottismo: sono spariti a raffica un sacco di nomi della cosiddetta "scena", improvvisamente tutti si sono ritrovati letteralmente in mutande—alcuni più nudi di altri—a coprirsi le pudenda virtuali e a subire la derisione dovuta a certi cognomi poco ortodossi. Al che ho pensato ci fosse qualche delatore autore di segnalazioni compulsive, qualcuno desideroso di ostacolare il progresso della scienza. Non lo sapremo mai, perché anche se ogni giorno si contano nuove vittime c'è chi resiste indisturbato—probabilmente aiutato da un uso più sobrio del mezzo rispetto a una mia certa tendenza alla bestemmia virtuale.

L'unica canzone decente del Liga,

in cui si dà una descrizione precisa del suo concetto di identità. Un preservativo bucato.

Quindi, da oggi in poi, solo identità "legali" su Facebook. Solo nomi veri. Ma, a essere sinceri, perché un nome finto dovrebbe essere un problema? Mettiamo pure che l'identità abbia un senso (cosa di cui dubito): anche se ho un nome finto rimango sempre io. E poi, voglio dire, c'è un precedente che gioca a mio favore: nel settembre dello scorso anno Facebook ha chiuso diversi profili di drag queen americane, subito insorte costringendo Facebook a chiedere scusa. Ovviamente, nessuna di loro aveva un nome vero, sia per difendersi da minacce, persecuzioni e via dicendo, sia perché si parla di gente che si è letteralmente reinventata—e in quel caso l'identità ha un altro significato.

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Ma a prescindere dalle drag queen c'è tantissima gente che si muove nell'ombra, anche perché in quel modo è più facile trovare il coraggio per comunicare con dei completi estranei. Non so se vi ricordate il periodo in cui nel mondo spopolavano i radioamatori: ognuno aveva il suo nickname e comunicava tramite "baracchino," immaginandosi le identità reali solo dal suono della voce. Poi magari si davano appuntamento al bar e facevano conoscenza, ma nel mondo dei CB si chiamavano, che ne so, "cavallo pazzo," "rosa gialla" e via discorrendo. Vi immaginate quindi il disastro, le migliaia di doppie vite sputtanate alla luce del sole? È evidente che Facebook (il baracchino del Duemila) dovrà cambiare i suoi parametri. Chi ci tiene a fare la morale quando si tratta di identità lo fa perché è interessato al culto della personalità—della sua, ovviamente. Ma, come diceva Yoko Ono, spoglia un dittatore e vedrai che tornerà ad essere un uomo come tutti—be', non diceva proprio così, ma più o meno il concetto era quello.

Allora ho scritto a Facebook una lettera di protesta:

Carissimo Facebook

Ho visto che oggi mi avete cancellato il profilo: mi rendo conto che la vostra policy prevede solo nomi veri—ma "Demented Burrocacao" è il mio nome vero. La gente mi conosce così: con questo nome ci lavoro, ci faccio colazione al bar, fra un po' mi ci chiama anche mio padre. Di conseguenza cancellarlo implica per me un danno notevole a livello di immagine e anche di relazioni sociali: immaginate uno che deve contattarmi per qualsiasi cosa e mi conosce come Demented, che fa? Gira per la rete come un pazzo? Contatta i Demented Are Go? Per la maggior parte delle persone il mio nome vero non esiste. Anche mio padre è conosciuto come Roberto, ma mica si chiama così: il suo nome è Girolamo, e indovinate perché l'ha cambiato. Quindi, per favore, se poteste farmi tornare al mio finto nome vero, che oggi come oggi i nomi di battesimo non servono a un cazzo. O mi vorreste dire che Renato Zero e Loredana Bertè sono nomi veri? Sono sicuro che anche Zuckenberg è un nome d'arte.

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Grazie mille, attendo una risposta.

Ovviamente non mi hanno cagato, ma credo si siano confusi col nome vero e il nome finto. Non mi avranno trovato.

In questo misconosciuto pezzo dei Beatles, George Harrison afferma che la sua band in realtà non esiste, che anche se continuava a fare dischi era in effetti già morta da un pezzo. La loro identità era ridotta a un marchio, ed ecco perché poi i Residents li hanno presi per il culo.

Tornando ai social: riguardo a Facebook, l'unica cosa simpatica è che molti dei miei amici hanno nomi assurdi che sono veramente i loro nomi di battesimo—Facebook li ha segati comunque, perché non ci poteva assolutamente credere, pensava facessero i furbi. Per far loro riaprire il profilo gli è stata chiesta la carta d'identità, manco dovessero espatriare o fare un acquisto telematico.

Come vedete dunque, se la nostra esistenza su questo pianeta si basa su un pezzo di carta o su una bacheca elettronica, significa che praticamente non esistiamo. Sarebbe tanto bello vivere in un'ampolla, come materia informe e molla come dice Pippo Franco. Magari non faremmo la rivoluzione, ma finalmente la saremmo. Comunque sia, sappiate che ogni 60 giorni si può cambiare il proprio nome su Facebook. Quindi, state pronti per il prossimo identikit. Demented vive!

Segui Demented su Twitter: @DementedThement