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Musica

Factory Floor: il DNA di un debutto

Abbiamo incotnrato la band londinese per parlare del loro primo, omonimo, LP

È passato tanto tempo–la band, con la formazione attuale, si è formata quattro anni fa–ma il debutto sulla lunga distanza dei Factory Floor è finalmente arrivato. Lo hanno interamente autoprodotto nel loro studio, ricavato da una vecchia officina, che non deve essere male. Mentre la maggior parte delle persone perde quando sta per far uscire il proprio disco di debutto perde completamente il sonno, la band ha detto di non aver ricevuto pressioni. Abbiamo discusso un po’ di quale sia il DNA della loro primo effettivo album.

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Le influenze

La band preferisce non allontanarsi da casa, traendo ispirazione “l’uno dall’altro”, cosa decisamente carina. Niente musica di altre band né playlist post-registrazioni perché qualsiasi elemento estraneo avrebbe contaminato il processo. Hanno invece guardato molto EastEnders, perché seguire le vicende di personaggi di fiction “ti fa staccare dalla quotidianità”.

A parte EastEnders, ci sono due canzoni che i ragazzi hanno da subito ammesso di rispettare. “'Go Bang' di Arthur Russel e 'Distant Dreams PT.2' dei Throbbing Gristle. Sono due tracce divertenti, dimostrano che certa musica non ha sempre bisogno di essere concettuale. Quella giocosità si adatta molto al nostro sound.”

Gli strumenti

A Nik piace registrare i sample col Roland SB 55. “Appoggiavamo le chitarre lasciandole in feedback, e poi le campionavamo per creare suoni d'ambiente”. Gabe ha anche portato un bongo, “Lo uso abbastanza spesso, la ritimca di 'Turn It Up' è ridotte all’essenziale."

Lo studio

I Factory Floor hanno registrato l’intero album nello studio-ex-officina in cui vivono. “È piuttosto polveroso, è stato buttato giù tutto”. E comunque questo non è servito loro solo a risparmiare sulle tessere della metro, perché, “avevamo bisogno di usare quello spazio, altrimenti, visto il modo in cui lavoriamo, saremmo finiti con lo spendere milioni per tutte le ore che ci erano necessarie. Dobbiamo essere sempre circondati dal nostro stesso casino, in più di un senso. Una volta lì, abbiamo attaccato a registrare e non ci siamo più fermati.

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E se hanno fatto questa scelta non è solo perché non sono ancora milionari. “Uno studio normale non si adatterebbe ai nostri setup, con davanti un ingegnere a guardarci. Lì possiamo registrare tranquillamente anche sul soffitto o nei corridoi”.

Le influenze improbabili

Il disco è anche pieno di influenze del tutto improbabili, ad esempio, “abbiamo un sacco di chiese gospel vicino, e il suono rimbomba in tutta l’area. È bello celebrativo. Le funzioni religiose cominciano verso le 10 abbondanti, e poi partono le grida”. E, com se le campane della chiesa non fossero già abbastanza, la band ha avuto a che fare anche con suoni più industriali, “di fianco abbiamo una fabbrica da cui viene sempre un gran casino di macchine da cucire. Ci accadevano intorno un sacco di cose, e questo ha sicuramente influenzato i nostri vecchi lvori in collaborazione con l’Institute of Contemporary Arts”. Eppure, l’influenza più inimmaginabile è stata Off the Walll di Micheal Jackson. “Quando abbiamo cominciato 'Here Again' il tempo in levare mi ricordava molto quel disco. Sperimentare un suono del genere senza prendersi troppo male per i tecnicismi è stato abbastanza coraggioso da parte nostra”.

Il processo di scrittura

Non essendo inclini a riproporre la stessa cosa due volte, la band ama essere sul pezzo “improvvisiamo un sacco, ci accorgiamo tutti di quando le cose funzionano”. Alla fine tutto torna ad essere ciò che era, “può essere un tour di due settimane negli Stati Uniti o un momento di pausa in studio. 'Here Again' l’abbiamo finita in un giorno. 'Fall Back”'faceva parte di una sessione di registrazione di sei ore sullo stesso pezzo. Per 'How You Say' c’è voluta una settimana solo per fare il suono del cowbell. Ci sbattiamo un bel po’ quando andiamo in studio.”

L'immaginario

La band si ispira ai propri momenti di vita quotidiana, “si può trattare di una galleria d’arte o di un viaggio in autobus. Ho visto la mostra di Yayoi Kusama alla Tate, ai tempi, c’era una stanza piena di specchi e microfoni e sembrava un unico spazio infinito. L’arte visiva mi coinvolge sempre. Mi ha fatto pensare che il modo in cui lei ha usato gli specchi è simile a quello con cui noi usiamo i feedback. I colori vividi di quella mostra mi hanno davvero colpito”.

Il carburante

Trovare posti in cui andare a mangiare non era una priorità per la band, “abbiamo mangiato un sacco di halloumi e cibo turco, non perché ci piaccia particolarmente ma perché in zona si trovava solo quello”. Ma oltre a cibi esotici e unti, la band ha anche fatto uso di "montagne di Haribo, per mantenere alto il livello di zuccheri”.