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Gattini a olio

Intervista a Tokuhiro Kawai, l'artista preferito da chi ama i gattini e tumblr.

Amo Tumblr. Da quando l'ho scoperto, la mia vita è cambiata radicalmente: calo totale della produttività, scarso interesse per tutto ciò che è tridimensionale e una rinnovata passione per la condivisione di roba a caso con persone non comprese nel mio spazio vitale—il sentimento opposto a quello che mi ispira facebook. Tumblr però ha un enorme difetto. Mi riferisco al lassismo con cui vengono trattati certi autori di robe a caso, laikati (o come diamine si scrive) e rebloggati in maniera ossessiva, ma senza un'informazione o un link che faccia sapere qualcosa in più sul loro conto. Nell'80 percento dei casi quello che si trova è opera di anonimi, altre volte di ottimi sconosciuti senza biografia.

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Tempo fa, ad esempio, su questo Tumblr ho visto un reblog del quadro che vedete qui sopra con indicato il nome dell'artista, Tokuhiro Kawai, e nient'altro. Non solo il quadro rappresenta un gatto e degli angioletti cicciotti, ma il nome dell'artista faceva evincere che fosse un'opera giapponese, e come tutto ciò che è giapponese, mi piaceva—è un problema mio, nella mia testa chi studia giapponese è come un archeologo o un astronauta, gente che ha realizzato i sogni dell'infanzia. Dopo un vagare cieco per blog russi e siti di fiere d'arte giapponesi e aver scoperto che le opere di Kawai sono esattamente ciò che avrei voluto per la mia cameretta a dieci anni e non disdegnerei neppure oggi, sono riuscita a recuperare un indirizzo mail e a organizzare un'intervista tradotta dall'italiano all'inglese al giapponese e poi dal giapponese, al japlish, all'italiano. Tokuhiro Kawai ci ha parlato di gatti, compromessi, mutualismo e angeli che succhiano il nettare da rose che sbocciano da un giovane cavalliere.

VICE: Buongiorno Tokuhiro. Ho conosciuto il tuo lavoro dopo aver visto su un blog Tame cat's optical illusion. Puoi dirmi qualcosa di quest'opera?
Tokuhiro Kawai: Si può dire che la "storia" raccontata dalla mia opera sia quella di un gatto viziato dal padrone che pensa di essere al centro del mondo e che infine viene incoronato dagli angeli e diventa re. La mentalità dei gatti è un alternarsi continuo di desiderio e appagamento, e la si può indovinare con facilità e sicurezza; ho dipinto una scena che mostra il perenne appagamento del gatto, fino alla manifestazione delle sue fantasticherie che si rafforzano nella realtà.

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Quindi conosci bene i gatti.
Finora ho avuto due gatti. Il primo ha vissuto 16 anni, l'abbiamo avuto da quattro anni prima che nascessi fino a quando ne avevo 12. Il secondo ha vissuto 19 anni, lo abbiamo avuto da quando avevo 17 anni fino all'anno dopo che me ne sono andato di casa una volta sposatomi, quando ne avevo 36. Per essere gatti, entrambi hanno avuto un'esistenza abbastanza lunga, erano membri della famiglia. Per questo conosco molto bene le abitudini dei gatti. Al momento non ne possiedo uno, da allora non ne ho più avuti. Ecco perché da un po’ ho smesso di usarli come soggetto unico delle mie opere.

Da cosa deriva il tuo approccio "occidentale" all'arte?
I miei genitori sono cristiani, ho fatto catechismo, quindi ho acquisito una certa familiarità con la cultura occidentale, e in seguito mi sono appassionato alla pittura rinascimentale e ho scelto di studiare pittura a olio dopo aver visto il Ritratto dei coniugi Arnolfini di van Eyck. La pittura occidentale mi interessava non tanto per i soggetti, quanto per il modo di raccontare una storia sulla superficie piana della tela. Le opere sembrano dei fermo-immagine tratti dalla Bibbia o da racconti mitologici, ma i protagonisti spesso non compiono movimenti attinenti alla narrazione, sono lì solo per dare risalto allo studio sul corpo fatto dall'artista. Inoltre, mi hanno influenzato molto tutti quegli espedienti usati dagli autori per bloccare sulla tela il flusso della narrazione.

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Cosa hai preso invece dall’arte giapponese?
I manga e gli anime mi hanno influenzato molto, anche perché li conosco dall'infanzia. Non mi ispiro alla grafica dei manga, mi piacciono i contenuti e certi vezzi espressivi. Per esempio, mi sono rimasti molto impressi gli Henshin, che ho usato in una serie recente in cui volevo esprimere la voglia di lottare degli esseri umani e la loro natura contrastata, disegnando degli eroi inventati da me che combattono contro il male. I shoujo manga mi hanno ispirato per gli sfondi, ad esempio le rose dietro i protagonisti. Mi piacciono anche le favole giapponesi, come quella di Momotaro, a cui mi sono ispirato per Automatic Ogre Exterminator.

Quindi una sorta di “fusione” di generi?
Forse la parola più corretta è "compromesso", ogni opera è l'adattamento di varie culture. In realtà questo è un processo che si applica a tutta la nostra cultura, spesso ciò che è definito "cultura tradizione giapponese" in realtà deriva dalle culture dei Paesi vicini. Dopo l'arrivo della cultura occidentale in Giappone, l'arte ha integrato aspetti che non avevano nulla a che fare con la cultura giapponese. Per questo credo che l'integrazione sia la base della nostra cultura.

Quali sono nel concreto gli artisti che ti hanno influenzato di più?
Van Eyck, Dominique Ingres, Makoto Takahashi, e vari mangaka giapponesi: Osamu TezukaShoutaro IshinomoriGo Nagai… Uno che continua ad attirare la mia attenzione è Yamaguchi Akira. È presuntuoso dirlo, ma sebbene ci siano differenze nell'espressione dei nostri lavori, ci sono molti punti in cui c'è dell'empatia.

Gli animali sembrano avere un ruolo centrale nelle tue opere.  
Gli animali sono interessanti perché convivono con gli esseri umani nella vita reale, ma nei miei dipinti cerco di farli comportare come gli stessi esseri umani, perché le considero creature simili. I loro comportamenti sono sempre individuali. Solitamente il mio processo creativo prevede una selezione degli animali (e degli esseri umani) che seguiranno il tema dell'opera, poi decido un ruolo in cui possano esprimere al meglio la propria individualità, e alla fine li lascio recitare la loro parte, non li faccio portatori di valori specifici.

Spesso nei tuoi quadri animali e umani convivono in armonia, quasi come fossero dei pari. È un’utopia che vorresti vedere realizzata?
Non esattamente. Sono sempre stato affascinato dal rapporto che si crea tra alcune specie, dove l'una ottiene dei benefici dall'altra, come accade tra afidi e formiche, o tra anemoni marine e paguri. Gli animali si dividono in "predatori" e "predabili", ma quando capita che due specie abbiano bisogno delle caratteristiche dell'altra per sopravvivere, possono costruire una relazione di collaborazione. In un certo senso questo è anche il caso dell'uomo con molti animali. Credo che sia difficile cooperare senza che una delle due parti riceva qualcosa in cambio, perciò mi piace rappresentare un mondo in cui uomini e animali cooperano, soprattutto quando vengono coinvolti animali che generalmente non hanno a che fare con l'uomo.