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A10N2: L'ottavo numero di VICE dedicato alla moda

Moda e/o sesso

Il sesso non c’entra con la moda. E la moda non c’entra col sesso. Se la moda e il sesso avessero qualcosa a che fare l’una con l’altro, le modelle in passerella agiterebbero il culo davanti alle facce dei giornalisti e ballerebbero sul palo per i...

Tutte le foto sono di proprietà di Weegee—International Center of Photography/Getty Images.

Indossa una parrucca e abbina le tonalità
Ha scarpe con i tacchi alti e un cappello di alligatore
Indossa le sue perle e i suoi anelli di diamanti
Ha braccialetti ai polsi e tutto quanto
È il diavolo con il vestito blu, il vestito blu
Il diavolo con il vestito blu.
—“Devil with the Blue Dress On,” Shorty Long, 1964 La maggior parte delle donne negheranno indignate che il piacere che ricavano dai loro vestiti abbia qualcosa a che spartire con l’attrarre il sesso opposto. Loro dicono di vestirsi per piacersi o (con più sincerità) per competere con altre donne. Ma competere con altre donne per cosa?
Clothes, James Laver, 1952

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Il sesso non c’entra con la moda. E la moda non c’entra col sesso. Se la moda e il sesso avessero qualcosa a che fare l’una con l’altro, le modelle in passerella agiterebbero il culo davanti alle facce dei giornalisti e ballerebbero sul palo per i fotografi. I redattori di Vogue riceverebbero lap dance. E le modelle non sembrerebbero tutte in età prepuberale. Le tette tornerebbero di moda. Le spogliarelliste si coprirebbero invece di spogliarsi. Sasha Grey farebbe la testimonial per qualche profumo di lusso. Victoria’s Secret crede di fare una sfilata e di partecipare al mondo della moda, ma il segreto della sfilata di Victoria’s Secret è che non è una sfilata—è uno spettacolo di burlesque repubblicano. Non parla di moda più di quanto lo “Swimsuit Issue” di Sports Illustrated parli di sport. Proprio così! Quello della moda è un mondo e quello del sesso è un altro. Questi due mondi possono forse incontrarsi una volta ogni tanto, e, nel mentre, noi possiamo far tesoro di quanto ci è offerto da questi momenti di sovrapposizione. Ma ci sono due diversi sistemi e iconografie: c’è una moda che richiama il sesso e un sesso che richiama la moda. Non siamo del tutto privati della loro collaborazione. Il sesso e la moda, in origine, condividono un legame molto profondo e ancora oggi, ogni tanto, procedono fianco a fianco. Ma se la moda non parla soltanto dell’attrazione sessuale, di che cos’altro parla?

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In origine, la moda era collegata alla classe sociale. Chi indossava questo tipo di abiti apparteneva a una determinata classe sociale e ciò che indossava lo identificava in quel modo. Può anche differenziare il tuo status all’interno della tua classe sociale. In origine, la moda era appannaggio esclusivo di un’élite—gli aristocratici, la classe dirigente. I proprietari terrieri indossavano capi alla moda, e poi anche i grandi esponenti della borghesia mercantile iniziarono a farlo, mentre tutti gli altri indossavano semplici vestiti. Qualsiasi episodio di Downtown Abbey illustra chiaramente questa distinzione. Tutte le classi sociali erano vestite in codice: chi occupava i gradini inferiori portava abiti che erano uniformi tanto distintive quanto quelle dei militari, che ne definivano a colpo d’occhio il grado, mentre i vestiti degli abitanti dei gradini superiori enfatizzavano la narrativa, la storia, se non la creatività, la capacità artistica e il gusto della loro classe sociale. Sia per gli uomini che per le donne della classe dominante, la moda promuoveva l’individualità e raccontava la libertà dal lavoro fisico, mentre l’attività fisica degli sport, come l’equitazione e la caccia, serviva a rendere la vita un po’ più movimentata.

In Clothes, James Laver ha scritto: “In tempi antichi, prima che uomini e donne iniziassero a competere nel gioco dei ruoli sociali, il principio gerarchico era praticamente l’unica cosa che contava. Ogni cosa che innalzasse l’uomo rispetto ai suoi compagni era benvenuta, in senso letterale. Da qui l’usanza di infilarsi piume fra i capelli, la decisione quasi istantanea di regole molto strette che impedissero a persone non importanti di indossare lo stesso numero di piume delle persone migliori di loro.”

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Il testo seminale che illustra la lotta di classe dietro la moda è La teoria della classe agiata di Thorsten Veblen, che offre due spiegazioni chiave per il modo codificato e competitivo in cui ci vestiamo: il molto tempo libero e il grande consumismo. In una società divisa in classi, i membri della classe più alta cercano di ostentare il fatto che non lavorano, o, se lo fanno, che non sudano e non si sporcano le mani. Il lavoro delle classi superiori, secondo Veblen, è “utilizzo”, mentre quello delle classi inferiori è “fatica”. L’ideale che sta alla base di una società divisa in classi è semplicemente che le persone migliori non debbano lavorare. Oggi va bene lavorare solo se per farlo usi un iPhone e non metti piede in ufficio.

La storia della moda è piena di esempi estremi e dimostrazioni di pigrizia, indolenza e grande tempo libero, dal bendaggio dei piedi cinese, le lunghe unghie laccate, i sottogonna, i sellini e le crinoline, alle zeppe e alle scarpe con i tacchi alti che spesso rendono problematico il semplice atto di camminare autonomamente.

Impedire alle donne di camminare è uno degli stratagemmi più antichi elaborati dal mondo della moda. Per secoli, le scarpe da donna di alto livello sono state disegnate per essere indossate in portantina (o, più avanti, in limousine). Se devi andare da qualche parte a piedi, quanto puoi essere importante? Anche i papponi maschi non hanno mai tenuto in grande considerazione il camminare e hanno adottato scarpe con la zeppa già negli anni Settanta, come estensioni della propria posa gangsta, e si sono fatti crescere le unghie per mostrare di non fare alcun lavoro manuale. I vestiti da lavoro non sono moda. La moda è composta da vestiti che dicono “Io non lavoro.” Con l’arrivo del consumismo, la questione è cambiata. I vestiti appariscenti non sono più quello che erano una volta. Hermès oggi vende una maglietta da 91.000 dollari, e ci sono dei jeans della APO con i rivetti in oro che costano 4.000 dollari. Oggi tutto è codificato in un matrix di nomi di marche, in modo tale che soltanto i ricchi possano riconoscersi tra loro.

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Oggi guardiamo i costumi di un secolo o due fa con occhi molto diversi. Possiamo trovare che non siano per nulla sexy, anche se basta fare una piccola ricerca storica per imparare che ciò che è sexy dipende, in un certo modo, dai corsi e ricorsi della moda. Nel Rinascimento, una donna avrebbe potuto mostrare il seno a corte e ricevere una certa ammirazione, ma mostrare i polpacci o le anche avrebbe potuto dare scandalo. I seni mostrabili erano, ovviamente, quelli che non erano mai stati succhiati dai bambini, quindi di una donna che non avesse figli o che, se ne aveva, avesse pagato una balia. Basterebbe vedere come era vestita e come portava i capelli Maria Antonietta per capire che una rivoluzione contro la moda, com’era conosciuta allora, era inevitabile. Le prime cose che sarebbero cadute dopo la testa di Maria Antonietta erano i corsetti, i tacchi, le gonne a balze e le torreggianti parrucche incipriate. All’improvviso, le donne potevano muoversi. Potevano persino correre. Era il primo assaggio di libertà.

Poi, nel 1851, Amelia Jenks Bloomer, una donna sposata coinvolta nel movimento di Temperance, fece pubblicità ai pantaloni con il suo giornale, Lily. Grazie a una strana coalizione di suffragette, padroni di fabbriche (in particolare nel settore delle materie tessili) che assumevano donne e rappresentanti sindacali, i “bloomer” si diffusero a macchia d’olio, e quando le donne iniziarono a usare la bicicletta, be’, non ci fu più modo di fermarli. La prima moda moderna che potremmo riconoscere come sexy fu creata da Madeleine Vionnet, che nel 1912 fondò la sua casa di moda, il tempio parigino della moda. Ispirata dalle ballerine, in particolare da Isadora Duncan, e appellandosi alla sensibilità neoclassica dei bohémien parigini che ammiravano i Greci e i Romani, i loro costumi e i loro riti, ha liberato il corpo femminile dai corsetti e dai busti, drappeggiando il corpo come una scultura classica e introducendo tagli asimmetrici che nascondevano e rivelavano insieme.

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Questo rinascimento artistico è coinciso con grandi cambiamenti sociali e politici. Ironicamente, quello che vediamo oggi come l’inizio della sensualità nella moda femminile ha avuto in realtà molto più a che fare con l’entrata ufficiale delle donne nel mercato del lavoro che con la rivoluzione sessuale. Le ragazze emancipate dell’era del jazz, con le loro gonne corte, le calze trasparenti, i capelli a caschetto e le labbra rosse, fumavano sigarette, bevevano cocktail e danzavano scatenate sui ritmi della “musica dei negri”. Erano molto libere, ma erano anche le custodi dei telefoni, delle macchine da scrivere e della contabilità del nuovo mondo. Edward Bernays, il nipote di Freud che ha inventato le pubbliche relazioni, disse a queste ragazze che le sigarette della Lucky Strike erano “torce di libertà”, e fumare divenne di moda tra le suffragette. Scusatemi se la metto giù in questo modo, ma l’era del jazz era l’era in cui le ragazze si scatenavano.

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Le donne trovarono nuovi modi di sfruttare il loro tempo libero dal lavoro, e la moda si sviluppò in una grande industria che, tra alti e bassi, giunse a creare stili e marche che avrebbero simboleggiato uno status sociale in un modo più letterale che mai. Questa rivoluzione continuò per tutto il ventesimo secolo.

In quella che era stata annunciata come l’età della democrazia le vecchie classi si mescolarono, finché quella in classi sociali non fu più una divisione rigida, ma divenne una sorta di spettro infinitamente vario con i pochi grandi privilegiati all’estremo lato dell’alta moda e i cosiddetti plebei che occupavano l’altro estremo. Nei fatti, la moda divenne una nuova forma di lotta di classe, molto meno rischiosa delle barricate.

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Oggi la moda è una macchina complessa. Ha molte sfumature, ognuna corrispondente a una specifica sensibilità di classe. C’è l’estremo affollato dell’alta moda tradizionale, che favorisce le creazioni originali fatte per proclamare il potere supremo del consumatore e l’estrema agiatezza. Poi c’è il mondo di mezzo della moda d’avanguardia, che rende obsoleti gli avanzamenti fatti negli anni precedenti. E poi ci sono vari tipi di moda, da quello intellettuale di Donna Tartt, fino ai modelli più bassi della escort e della ballerina. Funzionano tutti nello stesso modo, ma ognuno appare diverso. Le prostitute hanno la loro moda—abiti un po’ da dea un po’ da bambola. Ma, in un certo senso, ognuno di questi livelli funziona secondo le regole della moda. Ovviamente, la moda deve cambiare a tutti i livelli, altrimenti non si tratta più di moda ma semplicemente di stile.

La moda modifica il punto su cui si concentrano lo sguardo dell’osservatore, mostrando all’improvviso manifestazioni di una nuova bellezza. Una volta che abbiamo ricalibrato il nostro sguardo sulle nuove convenzioni, ci chiediamo come abbiano fatto i nostri genitori, o addirittura i noi stessi di un tempo precedente, a considerare attraenti quelle precedenti. O forse lo erano davvero? Dopo la seconda guerra mondiale ci fu il boom demografico, quando tutti i soldati tornarono a casa e alle occupazioni della camera da letto, e non è una coincidenza che la moda abbia improvvisamente posto l’accento sui seni prorompenti, con Marilyn Monroe, Jayne Mansfield, Sophia Loren e Diana Dors nel ruolo di veneri. Sì, anche il corpo umano ha le sue mode. Vi ricordate le supermodelle tutte curve? Se avete meno di 30 anni probabilmente non vi ricordate com’erano le cose prima che le modelle fossero intercambiabili. Comunque, sembra sempre che il sesso provi a tornare nel mondo della moda, spesso sotto nuove forme.

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Come scrisse Mary Eliza Joy Haweis nel suo libro del 1879, The Art of Dress: “La moda sta in perpetuo equilibrio tra il bisogno di mostrare e quello di nascondere. Ora, un po’ della bellezza del corpo è mostrata e il resto è sacrificato e coperto… Ora, un altro scorcio di braccia o di spalle ha il suo momento, e fa strada ai piedi, o alla vita, o a qualcos’altro.” Ogni uomo che ami le donne conosce lo sconcerto che generano in lui certi vestiti, vere e proprie follie del mondo della moda. Mi ricordo di aver pensato che fosse in atto una qualche cospirazione quando nel mondo della moda si tentò di imporre al pubblico le gonne lunghe, proprio quando le minigonne ci avevano mostrato più gamba (e qualche scorcio di ciò che c’era più su) di quanta ce ne avessero mai mostrata prima. Ci siamo sentiti traditi anche quando abbiamo iniziato a capire che la moda non vestiva le donne per noi, ma per le loro amiche.

Non gira solo tutto intorno ai soldi o alla classe sociale o al sesso. Principalmente, gira tutto intorno all’essere avanti. Al vedere oltre prima che lo faccia la massa, e quindi al far parte della schiera di coloro che per primi ci accompagnano incontro al futuro. Una schiera il cui desiderio è quello di essere imitati dalle donne che li vedono, essere i primi responsabili dell’introduzione di scioccanti novità. Anche se si tratta di riciclare, la moda è la religione dei tempi moderni. La maggior parte delle donne che partecipano davvero al mondo della moda si vestono per altre donne. Alcune donne si vestono per gli uomini. Ma quelle che si vestono per altre donne sembrano appartenere a una classe sociale superiore. Leandra Medine, una giovane fashion blogger volontariamente deliziosa e deliziosamente volontaria che si fa chiamare Man-repeller (la Scaccia-uomini), spiega che inseguire la moda, quella vera, spesso comprende “scacciare gli uomini.”

Leandra definisce una scaccia-uomini come “una che si veste in un modo offensivo che può allontanare i membri dell’altro sesso. Vestiti di questo genere includono i pantaloni da harem, i jeans da maschio, le tute da lavoro, le imbottiture sulle spalle, le tute da volo, i gioielli a forma di armi e gli zoccoli.” Non è che una donna molto appassionata di moda desideri consciamente spaventare gli uomini, ma ci sono ottime possibilità che l’uomo etero standard non conosca i codici della moda al punto da capire appieno cosa lei stia indossando e perché la renda insieme potente e attraente. La moda è sempre molto avanti, e il maschio alfa è spesso pericolosamente indietro.

Eppure c’è sempre, anche se è molto nascosta, una moda che è già esplicitamente attraente allo sguardo del maschio etero. Alcuni di noi possono leggere la moda in tutta la sua gloria codificata, e di tanto in tanto ci troviamo eccitati da qualche nuova tendenza emergente, o da alcuni stilisti particolari. Vediamo l’elemento primordiale nella sofisticatezza di Azzedine Alaïa. Lui fa apparire le donne sexy. Possiamo dire lo stesso di molti maestri italiani come Antonio Berardi, Dolce & Gabbana, Gianni e Donatella Versace, e questo nuovo stilista siciliano, Fausto Puglisi, che mi ha detto, “mi piace l’idea che i miei vestiti facciano fermare il traffico. In questo sono siciliano.”

“La verità sembra essere che… l’essere umano è, per natura, non un animale vestito ma un animale nudo, e torna sempre un po’ al suo stato originario. Nella zona temperata, non può mai rimanere in tale stato a causa di ragioni sociali, di salute o di morale. Dev’essere vestito; eppure è già vagamente incitato a essere insieme vestito e svestito.”
—Mary Eliza Joy Haweis, The Art of Dress, 1879

In questo complicato sistema di effimera e istantanea lotta di classe, analizziamo sempre i segnali che mandiamo attraverso i nostri vestiti, in modo tale da ottenere il corretto equilibrio tra attrazione e repulsione. Si tratta di alienazione volontaria. Con i giusti vestiti, una donna può attirare un certo tipo di uomini e nel frattempo respingerne un altro. È un modo nuovo e ristretto, e semplicemente non possiamo più permetterci di accogliere tutti. Non è sicuro. I miliardari non indossano il frac; indossano i jeans. Una persona veramente ricca non vuole apparire come tale. Oggi, la moda e il sesso sono entrambi codificati. Nell’Antico Testamento ci viene detto che, prima di aver mangiato il frutto che ha donato loro conoscenza del bene e del male, Adamo ed Eva era nudi e non se ne vergognavano. Apparentemente, i vestiti nacquero dopo questa scoperta ispirata dal Diavolo. Ma forse è andata proprio nel modo opposto.

In On Human Finery, Quentin Bell, scherzando, ha detto, “certe competizioni, come l’andare in giro nudi, mancano totalmente della capacità di sorprendere, e i primi abiti usati vennero forse indossati come mezzi di eccitazione nell’ambito di danze erotiche.” Sembra chiaro che, specie ai giorni nostri, lo scopo dei vestiti non è tanto evitare la nostra eccitazione quanto velocizzare il processo. Portare la moda e il sesso in un allineamento armonioso è soltanto questione di piccoli aggiustamenti. Una volta lì, iniziate dal perizoma. Se vibra correttamente vi porterà dritti al punto G.

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