Piazza Taksim, andata e ritorno

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Piazza Taksim, andata e ritorno

Dopo una settimana di relativa calma, sabato in migliaia sono tornati a manifestare. E, ovviamente, la polizia ha ricominciato ad attaccare.

Dopo una settimana di relativa calma, sabato sono ricominciati gli scontri a Istanbul. A quanto pare, il governo turco continua a credere che l’oppressione e la repressione possano lenire il malcontento civile.

La piattaforma di solidarietà di Taksim—un’organizzazione che rappresenta coloro che hanno preso parte alle proteste cominciate il 28 maggio a Gezi Park—ha organizzato un corteo per ricordare i tre manifestanti e il poliziotto che hanno perso la vita nei tumulti. Decine di migliaia di persone sono scese in strada sotto l’occhio vigile della polizia, marciando lungo la strada principale, Istiklal, fino a piazza Taksim. Man mano che il numero dei dimostranti aumentava, gli altoparlanti hanno cominciato a intimare alla folla di disperdersi. La polizia ha indossato le divise anti-sommossa e i giornalisti sono corsi a fornirsi di elmetti e maschere antigas.

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Poco dopo l’annuncio, la polizia ha cominciato ad avanzare. Scendendo dal loro luogo di appostamento, di fronte a Gezi Park, i poliziotti hanno iniziato a inondare le file di manifestanti con gli idranti nel tentativo di farli arretrare. Sono seguite ore di battaglie e scontri lungo Istiklal e le strade circostanti. Il primo tentativo della polizia di sgombrare la piazza è fallito miseramente, mentre gruppetti di giovani uomini e donne continuavano a rispuntare dalle vie secondarie. A quel punto la polizia ha ritenuto di non avere altra scelta che farsi strada combattendo, con l’aiuto di manganelli e proiettili di gomma.

Non appena la polizia si è allontanata da Istiklal, i manifestanti hanno costruito una grande barricata facendo irruzione in un palazzo vicino per rubare compensato, sbarre metalliche e reti. Hanno persino acceso un falò e cominciato a ballarci intorno, cantando e sbattendo le sbarre tra loro. C’è voluta quasi un’ora per costruire la barricata. Alla polizia è bastato un minuto per demolirla.

Una volta eliminata la barricata, la polizia ha iniziato a usare gas lacrimogeni. I turisti che sedevano nelle terrazze dei numerosi ristoranti della zona sono stati costretti a fuggire per ripararsi, e in breve il gas ha cominciato a riempire l’aria notturna.

Una volta liberata la strada principale, diversi gruppi di poliziotti, inclusi quelli in borghese, hanno iniziato a dividersi nelle strade secondarie, lanciando ancora più lacrimogeni e affrontando chiunque sospettassero fosse un manifestante (ovvero: tutti). Ho seguito uno di questi gruppi di polizia credendo che il luogo più sicuro in cui rimanere fosse dietro di loro. Quando incontravano qualcuno di “sospetto” lo spingevano contro il muro, tirando calci e manganellate finché non riusciva a scappare. Inutile dirlo, la trovata, ha funzionato alla perfezione.

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Verso le prime ore del mattino la polizia ha cominciato a ritirarsi, lasciandosi dietro solo pochi irriducibili protestanti e gruppi di giovani che uscivano dalle discoteche.

Ciò che accadrà ora rimane un punto interrogativo. La resistenza passiva vista dello “Standing Man”—in cui i protestanti arrivano da soli e se ne stanno in piedi fermi per ore, guardando dritto davanti a sé—si è ripresentata a piazza Taksim il giorno successivo. Le assemblee di massa nei parchi della città sono riprese. Per ora, nessuna delle due parti dà segno di voler arretrare e, mentre nel centro di Istanbul è ritornata la calma, piazza Taksim è ancora occupata dalla polizia. E in tutto questo, la violenza sembra aver soltanto rafforzato le posizioni sia di chi si oppone allo status quo sia di chi combatte per preservarlo.

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