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Giuliano si è sacrificato per la causa

Intervista al presidente dei Giovani Musulmani d’Italia sulla morte in Siria di Giuliano Ibrahim Delnevo.

Giuliano Ibrahim Delnevo 

La rivoluzione in Siria, iniziata nel 2011, si è ormai trasformata in una guerra totale. Le stime parlano almeno di 90.000 morti e di più di un milione e mezzo di rifugiati costretti a fuggire dalle loro case. Finora la comunità internazionale ha solo abbaiato minacce al regime di Bashar al-Assad, ma dopo la conferma dell'uso di armi chimiche contro civili e ribelli, si è generata subito la “pronta reazione americana” = bastimenti carichi, carichi di armi leggere per l’ESL.

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In Italia abbiamo smesso di mettere la questione siriana in prima pagina da un po’ di tempo, ma questa settimana è riuscita a scansare l’ennesimo annuncio di Letta  quando si è saputo che Giuliano Ibrahim Delnevo, 28 anni, di Genova, è stato ucciso in uno scontro tra ribelli ed esercito di Assad. Convertitosi all’Islam nel 2008, Giuliano ha passato il confine siriano a marzo di quest’anno per unirsi alle centinaia di partigiani stranieri che ingrossano le fila dei ribelli. È il primo italiano morto nella guerra siriana.

Ottant’anni fa, durante la guerra civile spagnola, unirsi ai partigiani per dare filo da torcere a Francisco Franco non era motivo di scandalo, anzi. Al contrario, la stampa italiana ha aperto i cancelli della fiera della forca, riesumando i titoli da post-11 settembre e ponendo subito l’accento sul possibile ruolo di reclutatore e terrorista di Delnevo.

Abbiamo incontrato Abderrahmane Mouhaddab, 24 anni, studente di giurisprudenza e presidente dei Giovani Musulmani d’Italia, per chiedergli cosa ne pensano gli appartenenti all’associazione del gesto di Giuliano, della situazione in Siria e dei miliziani stranieri che si uniscono ai ribelli per combattere l’esercito di Bashar al-Assad.

VICE: Mi puoi parlare dell'attività del GMI?

Abderrahmane Mouhaddab: Il GMI è l'acronimo di Giovani Musulmani d'Italia. È un’associazione fondata nel 2001, con sedi secondarie in tutta Italia. Abbiamo l'obiettivo primario di inserire i giovani nella società e di ottenere, più che integrazione, un concetto di inclusione. Teniamo molto al fatto che i nostri giovani mantengano la consapevolezza di poter preservare sia la loro religione sia il loro ruolo di cittadini italiani, attuali o futuri. Stiamo lavorando per sconfiggere l’idea di essere ancora immigrati la cui permanenza in Italia è transitoria. Inserimento, integrazione, inclusione, cittadinanza e consapevolezza dell'essere giovani musulmani, è di questo che ci occupiamo.

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Da dove nasce il bisogno di creare un'associazione del genere?

Il bisogno nasce dal fatto che i giovani della seconda generazione si trovano innanzitutto davanti a tante difficoltà in termini di identità. Vivono due realtà parallele: la cultura e la religione di un altro Paese mentre sono con la famiglia, e la cultura italiana mentre sono a scuola, con gli amici. C'è un conflitto di identità. Diamo loro la possibilità di sfogarsi, di poter crescere.

Cosa ne pensi della vicenda di Giuliano, il ragazzo morto in Siria? 

In quanto dirigente responsabile del GMI, la prima cosa che ho fatto quando ho sentito la notizia è stata indagare. Ho scoperto che Giuliano ha avuto contatti con i Giovani Musulmani Italiani di Genova. Ho subito provveduto a chiamare suo padre, Carlo Delnevo, a cui ho fatto le nostre più sincere condoglianze. Riteniamo che la sua perdita sia anche una perdita del GMI. Sinceramente non mi spiego la reazione della stampa italiana. Nel caso di questo ragazzo non si tratta né di atti violenti né di ideologie pericolose. Era un giovane che non sopportava di vedere bambini uccisi quotidianamente in Siria, mentre la comunità internazionale rimaneva indifferente. Ha agito. Ha fatto una scelta personale. Ha deciso di andare a difendere i bambini con il suo corpo, sacrificandosi. Il comportamento della stampa è assolutamente scorretto. È morto da eroe, non da terrorista.

Alcuni membri dell’ESL si prendono una pausa dai combattimenti per una foto di gruppo. (Foto di Andrew Standbridge)

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Però la parola terrorismo riemerge sempre, in questi casi. Se ne fa accenno anche nelle indagini.

Il fratello che abbiamo perso non ha fatto altro che andare a difendere uno dei suoi principi, che è quello di non poter stare a guardare. Siamo addolorati e ci dispiace per il comportamento della stampa perché Giuliano poteva tornare in Italia e dare molto ai Giovani Musulmani d'Italia, al suo Paese e alla sua comunità. Anche se qualcuno può tirare fuori la storia dei post riguardo alla Cecenia pubblicati sul suo profilo Facebook, si tratta di episodi che non possono essere sufficienti per marchiarlo come terrorista. Se poi la stampa vuole strumentalizzare questa cosa contro la comunità islamica, è tutta un'altra cosa. In ogni caso, se fosse stato un terrorista, non sarebbe andato in Siria. Sarebbe rimasto in Italia a fare come i terroristi, i veri vigliacchi, responsabili per gli attacchi a Londra di qualche anno fa.

Parlando della Siria e della guerra civile, cosa ne pensate al GMI?

Dopo che il conflitto in Siria ha preso una piega ambigua, dopo che vari interessi internazionali sono entrati in gioco, dopo che alcuni movimenti che hanno sempre sostenuto la resistenza palestinese hanno appoggiato il regime siriano, abbiamo fondamentalmente compreso che è una lotta del popolo contro un dittatore. Le persone non ne possono più. Dopo cinquant'anni di dittatura e di passaggi di potere da padre in figlio, vogliono vedere un cambiamento. Cambiamento che purtroppo sta avendo un prezzo altissimo. Non sappiamo fino a quando andrà avanti. Non sappiamo quali sono le fazioni che lottano, quali sono gli interessi, qual è la posizione della comunità internazionale. Non è escluso che la situazione possa peggiorare ulteriormente. Dopo due anni di repressione, il numero di morti non accenna a diminuire. E adesso entrano in gioco anche i miliziani di Hezbollah, provenienti dal Libano.

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Giuliano è stato ucciso durante la difesa di Qusayr, una città importante per la resistenza, proprio sul confine libanese. 

Infatti, Giuliano non era lì per una missione di guerra o di attacco. Come racconta suo padre, Giuliano diceva che l'esercito di Assad era vicino a Qusayr. Quindi non è lui che è andato a cercarsela. Era lì in città ad aiutare e i suoi compagni sono stati attaccati. È morto da eroe, cercando di salvare un amico rimasto vittima del fuoco di un cecchino. Questo episodio spiega in maniera più chiara il suo intento.

Foto di Robert King

Andare in Siria a combattere è un atto radicale. Quali sono, secondo te, le ragioni dietro un’azione del genere?

Innanzitutto, c'è da dire che noi del GMI non invitiamo i giovani a prendere le armi e andare in Siria. Noi invitiamo all'impegno, all'organizzazione dell'associazione. Io penso che se Giuliano avesse avuto la possibilità di dire la sua e di praticare la sua religione a Genova, non avrebbe preso questa decisione di andare in Siria. Ma per lui si trattava di una scelta maturata. La rispettiamo ma allo stesso tempo crediamo che l'impegno principale non sia tanto quello di andare e combattere, ma sensibilizzare, raccogliere fondi e aiuti per i profughi. L'impegno del GMI attualmente è di tipo umanitario.

Facendo un passo indietro, mi dicevi che Giuliano ha avuto dei problemi a professare la sua religione a Genova. Una situazione del genere può spingere le persone a posizioni radicali?

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Occorre dire che molti dei centri islamici non sono altro che garage senza aria condizionata o spazi in cui non è possibile ospitare tante persone. Da parte c'è la volontà di tenere la comunità islamica isolata, soprattutto in alcune città. Questo ha fatto sì che alcuni giovani o meno giovani commettessero errori di questo tipo, come quello di un ragazzo musulmano arrestato a Brescia, su cui pendevano dei sospetti di terrorismo. Secondo me ci sono delle politiche in atto che tendono a isolare, a emarginare le persone di origine straniera, e le conseguenze sono queste. Giuliano non è stato spinto solo da questo, però. Lui si è sacrificato per la causa, principalmente.

Hai mai sentito parlare di altri ragazzi musulmani italiani che sono partiti per la Siria?

Personalmente conosco tanta gente che parte per motivi umanitari. Le persone che ci vanno con l'intento di combattere la guerra sono casi isolati, nella mia cerchia. C'è qualche caso di cui mi hanno parlato. Molti provengono da famiglie siriane—i cui genitori sono scappati dal regime di Hafez al-Assad—e tornano in Siria perchè hanno perso dei familiari in questa guerra. Conosco un ragazzo musulmano di Modena che è partito per combattere. Questi casi ci sono. Si parla di 50 miliziani provenienti dall’Italia, ma secondo me sono di più.

Guardando al contesto generale, ci sono tanti combattenti stranieri in Siria. Quale può essere la ragione, su una scala più vasta?

Chiaramente le ragioni sono varie. Qualche settimana fa il presidente del Consiglio Internazionale Islamico ha indicato la lotta e la resistenza interna contro l'esercito di Bashar al-Assad come un dovere per i musulmani. Ha fatto un vero e proprio appello, soprattutto perché non c'è alternativa di soccorso, come abbiamo appena detto. La comunità internazionale continua a condannare, senza però fare passi concreti. Di conseguenza i motivi cambiano, certamente. Molti ribelli vengono dalle zone dell'Africa: Egitto, Tunisia, Marocco, Africa centrale, dove c'è ancora un attaccamento all'ideologie della resistenza, della Jihad. Gli ultimi dati parlano di centinaia di musulmani che vogliono fare fronte a questa situazione di grave emergenza.

Puoi comunque riconoscere che ci siano delle fazioni fondamentaliste all’opera nel Paese, come il fronte Al-Nusra.

Assolutamente. Non neghiamo che ci siano sempre, in situazioni così ambigue, persone con delle ideologie radicali, estremiste. C’è sempre da tenere presente, però, che tutti i musulmani, non solo noi del GMI, prendono distanza da queste persone che hanno finalità diverse da quelli che hanno iniziato la rivoluzione e combattono per la libertà.

Segui Matteo su Twitter: @MattCngr