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Abbiamo chiesto ai giovani iraniani cosa si aspettano dal futuro

I negoziati sul programma nucleare iraniano hanno riacceso una piccola scintilla di speranza nei giovani iraniani con cui ho parlato. Molti sperano in un cambiamento, e altri credono sia già in atto.

A sei anni dalle proteste del Movimento Verde che hanno bloccato Teheran, e nel momento in cui di Iran si parla soprattutto per il nucleare, ho deciso di intervistare alcuni giovani della capitale per capire come vedono se stessi, il Paese e il futuro.

Parastoo* è una ragazza di 23 anni. Ha un tono di voce basso, mentre parliamo su Viber, ma la connessione precaria fa cadere la chiamata di continuo. "All'epoca delle proteste avevo 18 anni, e dovevo passare un esame importante per entrare all'università," dice. "Ricordo che nella biblioteca dove stavo studiando c'erano un sacco di studenti che protestavano. Mi piaceva così tanto, allora. Vedevi la speranza negli occhi di tutti… Si ballava per le strade e la gente era felice e piena di speranza, e poi tutto è cambiato all'improvviso."

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Al tempo stesso, le discussioni sul programma nucleare iraniano riprese in questi giorni in Svizzera hanno riacceso un barlume di speranza in molti giovani. Soprattutto perché si sta parlando di rimuovere le sanzioni degli Stati Uniti, che produrrebbe una crescita economica senza precedenti. Ma il dialogo tra Iran e gli Stati Uniti ha aperto lo spazio anche per un nuovo capitolo nel traballante dialogo tra i giovani persiani e il governo. Alcuni pensano addirittura che le loro voci stiano iniziando a essere ascoltate di nuovo, anche se da urla sono state ridotte a sussurri.

La lettera che i senatori repubblicani hanno recentemente scritto ai leader iraniani, in cui li avvertivano che qualsiasi accordo sullo sviluppo di un programma nucleare in Iran sarebbe durato solo fino a che Obama rimarrà in carica, ha quasi rovinato tutto. Anche se la Casa Bianca ha immediatamente condannato la lettera, l'ayatollah Ali Khamenei ha risposto con un discorso dai toni accesi, descrivendo l'accaduto come "un segno della decadenza dell'etica politica nel sistema americano." Durante il discorso al congresso americano del 3 marzo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha espresso il suo punto di vista su un possibile accordo sul nucleare, dicendo che "sarebbe quasi come garantire" all'Iran la possibilità di portare a termine il progetto di costruzione di armi nucleare. L'Iran ha sempre sostenuto di non avere alcuna intenzione di produrre armi, e a febbraio una fuga di notizie riservate ha rivelato che i servizi segreti israeliani li controllano da tempo. In ogni caso però, le voci di chi condanna l'accordo sul nucleare sembrano difficili da ignorare.

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Tutte le foto sono state scattate nel 2013 a Teheran da un fotografo che preferisce rimanere anonimo. Gli intervistati non sono ritratti.

"Non si può aprire una discussione sulle mire nucleari dell'Iran senza tenere in considerazione la natura del suo regime," dice David Ibsen, direttore esecutivo di United Against a Nuclear Iran, associazione conservatrice statunitense il cui nome parla da solo. "Se guardi a come trattano la loro gente, vedrai tu stesso cosa affligge i giovani del paese… credo che si sappia che non tutti gli iraniani trovano condivisibile lo slogan 'Morte all'America'. Ma, sfortunatamente, quando si parla di politica nucleare o supporto al terrorismo da parte di chi è al potere, sono solo la violenza e la brutalità che vanno prese in considerazione per decidere se ci si possa fidare dell'Iran."

Nel 2009 la violenta reazione dell'allora presidente Mahmoud Ahmadinejad alle proteste del Movimento Verde sembrò mettere la parola fine a qualsiasi aspirazione rivoluzionaria da parte dei giovani del Paese. Ma per alcuni giovani iraniani la discussione sul nucleare è un'opportunità per instaurare migliori rapporti con l'Occidente, con cui condividono alcuni valori—valori che hanno guidato il Movimento Verde, e per cui i più conservatori nel regime hanno tolleranza zero.

Questa vicinanza alla cultura occidentale è finita spesso al centro dell'attenzione dei media. Molti iraniani pensano che le feste in casa e il gironzolare tra i bar siano ormai il vero volto della gioventù, e si risentono che il loro paese sia percepito come un insieme di ayatollah incazzati e donne col burqa. Ma anche con il presidente Hassan Rouhani, relativamente moderato, ai giovani vengono continuamente ricordate le restrizioni imposte dal loro governo.

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Parastoo lo ha scoperto sulla sua pelle quando è stata arrestata per essersi espressa liberamente, dicendo cose che non possiamo riportare per paura di ulteriori ripercussioni su di lei. "Ho avuto molta paura quando sono venuti a casa mia," dice. "Non me lo aspettavo. I miei amici e io stavamo bevendo caffè e chiaccherando, erano le dieci di sera. All'improvviso, qualcuno ha bussato alla porta e ha detto, 'Ciao, sono il vicino. Devo parlarti. Puoi aprire?' Quando ho aperto la porta sono entrati con una telecamera, stavano registrando tutto, ed erano armati. È stato terribile… Mi hanno chiesto se sapevo perché erano venuti, e io dicevo 'No, non ne ho idea,' ma in realtà lo sapevo."

"Teheran è un bel posto," continua. "Ai giovani piace ballare, divertirsi e cose del genere. Ma loro mi hanno dimostrato che c'è anche quell'altra generazione; che è all'opposto. Mi ero dimenticata di quella parte. Ero così occupata a frequentare gente come me, a vivere la mia vita, che mi ero dimenticata di quante persone ce l'avessero con noi."

Molti giovani hanno adottato un nuovo metodo per ottenere maggiore libertà—una sorta di tranquilla disobbedienza civile che sembra aver colto di sorpresa i conservatori al governo. Un esempio: a novembre Morteza Pashaei, cantante persiano non molto famoso, è morto di cancro. La notizia ha cominciato a diffondersi sui social media, e i fan ritrovatisi per le strade per rendere omaggio al defunto sono presto diventati una folla. Teheran non vedeva una processione di quelle dimensioni dai tempi del Movimento Verde, e, a un certo punto, qualcuno ha deciso di intonare una canzone di Pashaei. Può sembrare cosa di poco conto per un occidentale, ma forme di espressione come questa sono spesso punite—eppure, le forze dell'ordine non sono intervenute

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Bahman*, 27 anni, dice che non c'era, ma che ha seguito l'accaduto su Facebook e su Twitter. "Quel cantante non era particolarmente famoso," dice. "È diventato famoso a poco a poco nel momento in cui ha iniziato a combattere il cancro. Alla sua morte la gente ha iniziato a parlare di lui sui social, e anche se molte persone non sapevano chi fosse, si sono unite. Lo ritengo un movimento sociale perché credo che gli iraniani, specialmente le generazioni più giovani, non vedono l'ora di trovare un'opportunità per dire 'siamo qui'; non possono soffocarci se siamo uniti. È stata un'opportunità, per loro, di darsi sentire."

Bahman vive l'Iran in modo ancora più difficile, perché è gay. Però, dice che anche in materia di omosessualità la situazione è cambiata: "Essere gay è una bella sfida per tutti, qui," spiega. "È difficile perché non si può parlarne liberamente, ma credo che la nostra società abbia fatto dei passi avanti per cambiare la mentalità della gente. I social media hanno giocato un ruolo fondamentale. Ci sono anche canali satellitari persiani e programmi televisivi che affrontano la questione, e sono molto seguiti. Una famosa cantante persiana, Googoosh, ha fatto questo singolo, 'Behesht', su una coppia lesbo. Quella canzone è stata come una specie di bomba nella nostra società… Internet ha in qualche modo rimesso l'Iran in mano alla gente."

Hoomam Majd, giornalista iraniano e autore di The Ayatollah Begs to Differ: The Paradox of Modern Iran, sostiene che tutto questo sia indicativo di maggiori sforzi per cambiare lo status quo. "Le persone, generalmente parlando, non vogliono la rivoluzione né l'incertezza; ma vogliono il cambiamento," spiega Majd. "Questo è il motivo per cui alle elezioni votano per candidati come Rouhani che promettono un cambiamento, una vita migliore… durante i primi giorni della rivoluzione le persone avevano paura; ma la rivoluzione è maturata in una certa misura, e continuerà a farlo."

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Alcuni giovani vogliono vedere un'evoluzione anche nella lunga e aspra inimicizia tra il loro paese e gli Stati Uniti. Altri temono che le trattative sul nucleare e le opposizioni da Washington—come la lettera dei senatori—possano portare a un inasprimento ulteriore da parte del governo americano, nonostante l'apparente desiderio del presidente Obama di arrivare a un'intesa con l'Iran.

"Non so perché il governo insista su questo tema," continua Bahman. "Alcuni di noi sono davvero stufi, perché potrebbe ritorcercisi contro. Per loro è una mossa strategica per ottenere più potere. Inoltre, [Rouhani] dovrebbe concentrarsi sul rendere le nostre vite meno difficile in termini di restrizioni sociali."

Ma altri giovani iraniani guardano all'eventualità di un accordo sul nucleare come all'inizio di un nuovo rapporto col resto del mondo, e forse un giorno tra il governo iraniano e la sua gente. "Mi auguro di assistere a un progresso verso la pace tra l'Iran e l'Occidente," mi scrive Parihan, 27 anni, via email. "Non perché ritengo che gli Stati Uniti abbiano ragione, ma perché non c'è altro modo, se non la trattativa sul nucleare, per uscire da questo vicolo cieco. Credo che l'accordo verrà raggiunto. Mi auguro che sarà per il bene del mio paese, tanto politicamente quanto economicamente. Ma credo che il cambiamento più importante riguarderà la speranza che le persone potranno riporre in un futuro migliore."

Anche Parastoo è fiduciosa. Descrive il raduno dopo la morte di Pashaei con stupore. "La folla era oceanica," dice. "Non vedevo una cosa simile da anni. Ma mentre assistevo a tutto ciò, mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto se a morire fosse stato qualcuno di più famoso. E pensavo, cosa potrebbe accadere a Teheran? Scenderebbero tutti in piazza."

Questo articolo è stato scritto con l'aiuto di Omid Memarian.
* Nomi di fantasia per proteggere l'identità degli intervistati.

Sulome Anderson è una giornalista che lavora tra Beirut e New York. Seguila su Twitter.