Quando sono stato investito e mi sono dimenticato chi sono
Foto di Maria Jefferis.

FYI.

This story is over 5 years old.

salute

Quando sono stato investito e mi sono dimenticato chi sono

"Comincia a fare la retro, veloce, sempre più veloce. Guardo l'impenetrabile muro di macchine alla mia sinistra e penso, 'Cazzo'."

Non riuscirai a ricordarti che tipo di macchina ti ha investito.

Quasi tutto quello che è successo prima dell'incidente, te lo ricordi normalmente. Ovvero: molti ricordi sono "medi". Granulosi. Proni all'immediato slittamento temporale e spaziale. Un'enfasi sul clima. La tendenza all'evanescenza, alla perdita, agli e-se, e alla malinconia. Essenzialmente, la mia ricostruzione degli eventi è un mandala di sabbia tibetano lasciato al giogo degli elementi. Quello che all'inizio era definito in modo netto, ornato e colorato si fa in un baleno confuso, sbiadito, e mescolato dal vento e dalla pioggia. Ma di solito il pattern complessivo, lo schema delle cose, resta.

Pubblicità

Il venerdì mattina dell'incidente quasi non ci andavo, al lavoro in bici. La sera prima, mentre pedalo a casa nell'oscurità elettrica, attraversando le pozzanghere arancione-sodio e il rosso delle luci delle macchine, per quattro volte rischio l'incidente a Stamford Hill [quartiere londinese a maggioranza ebraica]. Perché pedoni poco ligi camminano nella ciclabile, perché le persone in macchina aprono le portiere senza guardare, perché le macchine svoltano senza segnalare. È lì che realizzo: "Se mi faccio male o finisco ucciso, non succederà nel traffico del centro all'ora di punta, ai grandi incroci. Succederà nel mio quartiere tranquillo. A pochi passi dalla mia porta di casa."

Quando eravamo in macchina, mio padre—nato nel 1933—diventava un intollerante, ed è per questo che non ci sono più salito, in macchina con lui. In generale, pur essendo un uomo di sinistra e liberale quando a piedi, non vedeva contraddizioni nel diventare del tutto illiberale una volta al volante. Dopo tutto, quale altra spiegazione ci può essere all'incapacità alla guida delle persone del mio quartiere, se non il fatto che non sanno leggere l'inglese? Oppure al fatto di avere un cromosoma y.

Invece, quando sono in bici, ho rischiato di finire male per colpa di una varietà estremamente varia di persone. Le mie esperienze dimostrano che l'età, l'etnia, il genere, la professione e la nazionalità non c'entrano niente con l'essere un pessimo guidatore.

Pubblicità

Dopo aver accompagnato mio figlio all'asilo, mi fermo un attimo, prima di dirigermi alla rastrelliera. Non mi preoccupa il tragitto fino al lavoro—il cielo è azzurro, l'aria fresca; una bella giornata secondo ogni standard—ma dentro di me qualcosa affonda, di nuovo, all'idea di tornare nell'oscurità. C'è però un pensiero che supera tutti gli altri: "Questo è il periodo di tempo più lungo della mia vita adulta che ho passato senza essere gravemente depresso. E il fatto che vado in bici cinque o sei volte la settimana è una delle ragioni più importanti del mio benessere."

Appena esco su Holmleigh Road, un veicolo mi sorpassa a tutta velocità. Le macchine stanno sempre parcheggiate da entrambi i lati della strada—tranne nei pochi metri proprio fuori dalla scuola—e c'è abbastanza spazio perché un veicolo possa passare con agio. Mini ingorghi si verificano spesso all'orario di punta, nonostante sia una strada poco trafficata, residenziale. Chi ci passa spesso lo sa e alcuni ne approfittano, quando è libera, per accelerare ed evitare problemi.

Ma che veicolo è? Lo fisso. A superarmi è stato un globo bianco quasi etereo. Per quanto lo guardi, questo disco di luce soffusa non si risolve nella forma di una macchina o una moto. Potrebbe essere il van di Ted Glen in Il postino Pat, a quanto ne so. Sparisce dietro un angolo a una velocità ben superiore ai 40 chilometri all'ora comandati.

"Guarda che coglione," mi dico senza pensarci mentre comincio a pedalare. Ma non sono arrabbiato. Cosa me ne verrebbe? Cose così succedono tutti i giorni, più volte al giorno.

Pubblicità

Giro anche io lo stesso angolo, su East Bank, dove un gruppo di uomini in cappelli neri fa capannello e un tizio porta il cane a passeggio. Vedo il disco pallido 200 metri davanti a me, davanti all'ingresso dell'ufficio postale di Stamford Hill. L'uomo alla guida è impegnato in un alterco con un veicolo che viene dalla direzione opposta—uno di loro deve fare la retro, altrimenti rimarranno bloccati tutto il giorno. Il treno da Liverpool Street a Shenfield passa sferragliando dietro una recinzione di maglia metallica.

Abbandono immediatamente l'idea di cercare di superare i due veicoli—lo spazio tra loro è molto stretto, ci sono le macchine parcheggiate per strada, e se uno dei due non mi vede potrei finire a terra, o peggio.

Rallento e mi fermo e tengo d'occhio le luci della retro sul dietro del van… di Ted Glen.

"Dopo tutto, non sarebbe divertente se mi stirasse facendo la retro!" penso.

E lui comincia a fare la retro, veloce, sempre più veloce. Ho meno di un secondo, a occhio. Guardo l'impenetrabile muro di macchine alla mia sinistra e penso, "Cazzo."

Mi colpisce a tutta velocità, io volo all'indietro, e poi qualcuno accende una luce stroboscopica.

Vedo frange bianche. Non nera assenza di tutto ma bianca presenza.

Poi, per un secondo, vedo una specie di bordo. Un bordo interiore che si increspa, si gonfia e si ritira. Attraverso di esso, lo vedo: Ajay alla guida del razzo Greendale. Mi saluta. Ciao, Ajay! E poi, vicino a me sull'asfalto, la mia bici—e proprio sulle mie gambe, il parafanghi posteriore del van di Ted Glen. Cattivo Ted Glen… hai fatto la retro senza guardare negli specchietti! E poi: la grossa mano nera che il postino Pat mi porge. "Merda! Stai bene amico? Non ti muovere." Il postino Pat è sempre stato un uomo di colore con l'accento cockney e un dente d'oro? E poi mi allontano di nuovo dal bordo, per tornare al bianco brillante. Dio benedica i postini di Greendale, ottime persone.

Pubblicità

Non c'è niente nel bianco della zona litoranea. Nemmeno io.

Torno nuovamente e guardo dritto in faccia un cane. Un cane di razza con un grosso sorriso a labbra chiuse. È grosso come la luna! Adorabile cagnolone.

Bianco, bianco, bianco elettrico.

Torno e un uomo dalla faccia gentile con uno staffordshire al guinzaglio, inginocchiato accanto a me, mi mette la mano sulla spalla e dice, "No, amico. Sta' giù. Non alzarti. Ho chiamato un'ambulanza." Non riesco a dire nulla. Non posso fare altro che ricadere nel bianco."

La zona sublitoranea è fosforescente, ma le sue dimensioni si stanno compromettendo. Riesco a sentire. Sento una superficie, e sento di esserci diretto contro. Sto fluttuando nella direzione di qualcosa che ha un colore, un tempo e una presenza. Sono ancora in mare, ma mi dirigo certo verso la riva.

Sono seduto su uno sgabello al bancone del bar del Royal Alfred Hotel, di fronte alla stazione di St. Helens. È così vivido. Ci sono stato un sacco di volte.

"Posso darti qualcosa da bere? Un sorso di qualcosa?" dice il gestore, offrendomi una bottiglia tiepida che ha preso da uno scaffale di legno e un bicchiere da mezza pinta.

"Ma io non bevo," dico. "Ora sono astemio."

Il gestore mi sorride con bonarietà. "Sì, lo so, ma è Natale. Ti fai una bottiglia di birra ogni mattina di Natale. Non ti ricordi? Tutti ti dicono che va bene così."

Ha ragione. Come ho fatto a dimenticarlo? Bevo una bottiglia di Newcastle Brown Ale ogni mattina di Natale, e oggi è Natale. Faccio per prendere la bottiglia.

Pubblicità

Ma non sono in un pub. Mi stanno aiutando a salire su un veicolo. E io non bevo… Sono del tutto astemio. È di nuovo quel cazzo di sogno. Lo stesso cazzo di sogno che ho fatto per ogni singola notte degli ultimi otto anni. Ma perché sto sognando ora, sulla scaletta di un veicolo in mezzo alla strada? E io chi sono? Non riesco a ricordare.

Sto ringraziando un uomo con un cane, dico arrivederci. Ma perché?

Un lampo bianco. Quasi a riva, ora. Vedo il cielo attraverso l'acqua. Il dorso della mia mano disegna percorsi nella sabbia del fondale. La superficie si infrange sulla mia testa, rende tutto confuso, poi torna tutto chiaro.

Siedo in una stanza, assicurato su una sedia con una coperta sulle ginocchia. C'è una barella vuota davanti a me. Ryan Gosling alla mia sinistra e un poliziotto con i capelli arruffati e un taccuino alla mia destra.

"Quindi ha fatto retromarcia a tutta velocità e l'ha investita?" chiede il poliziotto.

Abbozzo. Non so cosa stia succedendo.

"Come va il turno?" urla la donna alla guida dell'ambulanza—sono in ambulanza!

"Non succede granché," dice il poliziotto. "Un altro incidente da poco a Clapton alle otto. Tutto qui."

"Anche noi," dice lei. È difficile capire se siano delusi o no.

Ryan Gosling mi chiede il mio nome. Muovo la mascella ma non ne esce alcun suono, perciò abbozzo. Conosco questa sensazione… Sono distaccato, non al caldo ma protetto, viaggio in un miele freddo e liquido, il mio volto ricoperto di strati di cellofan lisci e frizzanti come una bibita, come una tenda. Non sono sicuro di sapere chi sono.

Pubblicità

Ketamina. Sì! Mi piace la ketamina! Strano però in ambulanza. Forse è un'ambulanza per cavalli! Riderei ma non sento la bocca né la lingua.

Ti ricordi quando il tuo amico è caduto da una finestra al sesto piano ed è sopravvissuto? I paramedici che l'hanno trovato gli hanno detto, "Ha fatto un brutto volo, signore. Le darò della ketamina, che è un potente tranquillante che dissocia…" E lui l'ha guardato dall'asfalto e con voce roca ha detto, "So cos'è la ketamina, coglione… ti sbrighi a darmela?" Forse sono caduto da una finestra. Muovo le mani e le dita di fronte ai miei occhi. Contraggo il piede sotto la coperta. O forse no.

Ho i guanti antivento e una pettorina segnaletica. Mi tocco la testa in modo improvvisamente vivace. Ho il casco. È rotto in vari punti, sul retro. Stavo scalando un edificio? Quanto in alto sono arrivato? Poi all'improvviso il cellofan e il miele spariscono.

Sono stato investito da un van? Stavo andando in bici al… lavoro? C'era un treno? Un postino? Non appena riesco ad assemblare i miei pensieri in una sorta di catena, si trasformano in sabbia e spariscono al vento.

C'è un ultimo flash di luce bianca e poi qualcuno spegne la strobo.

No, aspetta, sono già stato qui. Ho avuto un incidente e so cos'è questa sensazione. Ho un trauma cranico. Ok, assecondalo. Non entrare nel panico. Le cose torneranno. Ricordo quei parafascisti che mi hanno preso a calci fino a farmi svenire fuori dal nightclub Spiders, a Hull. Poi ho passato una settimana in casa, da solo, mi dimenticavo il mio nome, mi dimenticavo dov'ero, mi dimenticavo cosa era successo. Incapace di vedere, perché i miei occhi erano gonfi e chiusi per le percosse. Cibo freddo che andava a male nelle padelle sui fornelli. Il ronzio delle mosche che sormontava la radio.

Pubblicità

Avevo 21 anni. Sono a Hull? Ho 21 anni?

"La prima cosa che fai quando arrivi al lavoro è mettere in ordine i documenti," dice qualcuno, ma non vedo chi. Che documenti?

"Quanti anni ha?" dice Ryan Gosling.

"21," dico.

Deve essere una persona allegra. Ride un sacco. Anche la donna al volante e il poliziotto. Che tipi!

"Qual è la sua data di nascita?" chiede Ryan Gosling.

"29 febbraio 1971," dico tutto attaccato.

"Be', allora ha 45 anni," dice.

"Non dire cazzate!" faccio.

L'episodio con i picchiatori non è stata l'ultima cosa che mi è successa, però; mi sono aperto la testa sullo spigolo di un antico armadietto nel negozio di Barry il barbiere, di recente, e con me c'era il piccolo John 2. Mi sono alzato goffamente e mi sono squarciato la testa nel legno duro. "Sto bene! Sto bene!" ho detto dondolando, ma sentivo un rivolo caldo che mi scendeva per la faccia e poi dense gocce di sangue hanno macchiato le piastrelle bianche e nere di Barry. È un buon posto in cui aprirti la testa. Hanno lavandini in cui appoggiarti. Doccette per ripulirti. Salviette bianche per asciugarti e placare il flusso. L'intero casino è stato ripulito in un minuto. Mentre Barry puliva gli ultimi resti di sangue dal lavandino, ho urlato a John: "Stai bene? Hai avuto paura? Sembra molto peggio di quello che è." Ha scosso la testa, senza alzare lo sguardo dal libro che fissava.

Più tardi, sull'autobus diretto verso casa, John mi ha ispezionato il cranio e mi ha dato due piccole pacche in testa. "Non preoccuparti," mi ha rassicurato. "Un po' avevo paura."

Pubblicità

Ho un figlio di cinque anni. Sono diventato padre a 40.

"Mi scusi. Ovviamente ho 45 anni," dico a Ryan Gosling, contrito.

Tranne che non è Ryan Gosling. È un paramedico con un orecchino di diamante, un taglio storto e un badge arcobaleno che dice: Associazione dei Paramedici LGBT. Uomo fortunato o uomo di East London.

45. Com'è successo?

Ora le cose sono più a fuoco. Ho avuto trauma cranici più volte di quante riesca a ricordare. Il mio primo weekend con Maria a Brighton, 13 anni fa, siamo andati a vedere il concerto di Arthur Lee e io mi sono alcolizzato. Sono caduto sul treno quando ha frenato di colpo, e ho colpito di testa qualcosa di vetro. Poi, sempre quella sera, sono andato a sbattere contro un cartello appeso al soffitto di un pub, che diceva: "Attenti alla testa". E ancora dopo, sporgendomi fuori da un taxi per urlare dietro a qualcuno che conoscevo, mi sono spaccato il naso sul finestrino mezzo alzato. Il giorno dopo quasi non mi ricordavo il mio nome.

Che imbecille. Ma come ho fatto ad arrivare a 45 anni?

"Posso chiamare la mia fidanzata, per favore?" chiedo.

Usare il telefono è quasi impossibile. È come essere in una discoteca alle quattro del mattino, fatto come una pera.

"Ho avuto un incidente, temo… Sono volato dalla bici. Sono in ambulanza… Homerton. No… No. No, sto bene. Ho qualcosa, ma niente. Ma puoi venire? Grazie."

Avrei bisogno di un drink. Il paramedico mi passa una piccolo bicchiere un po' gelato d'acqua.

Pubblicità

"La prima cosa che fai quando arrivi al lavoro è mettere in ordine i documenti," ripete una voce nella mia testa.

Devo telefonare a qualcuno. Abbiamo una collega che arriva oggi, e io devo farle sapere che non ci sarà nessuno in ufficio. Cerco i miei colleghi nella rubrica dell'iPhone ma non ricordo il nome di nessuno. Sono quasi certo che si chiamino Luke Skywalker, Karl Lagerfeld e Christian Bale, ma non li trovo tra i contatti.

"Che lavoro fa?" mi chiede il paramedico controllandomi il battito.

Ci penso un attimo. "Sono uno scrittore."

"Che genere di scrittore?" chiede, puntandomi una torcia negli occhi.

"Non tanto bravo," dico. "Troppe metafore a caso. Non ho capisaldi filosofici o politici. Mi distraggo molto facilmente quando edito. Uso troppo spesso la parola 'letteralmente'. Il fatto che non abbia avuto un'istruzione completa è evidente quasi in ogni mio pezzo. Mi manca la cattiveria, che è fondamentale, tutti dovrebbero averla. Il mio codice etico, se ne ho uno, è interamente basato sul riguardare ossessivamente The Walking Dead dalla seconda alla quinta serie. E non sono più così divertente, da quando ho smesso di drogarmi."

"No, intendo, di cosa scrive?" dice lui.

Devo fermarmi a pensare un bel po' prima che mi venga in mente. "Oh… Sono un critico musicale. Oh…"

Ci avviciniamo al pronto soccorso a passo di lumaca e, a un certo punto, lasciamo anche passare un'altra ambulanza che arriva a sirene spiegate.

Pubblicità

Maria arriva in pronto soccorso piena di preoccupazioni e domande. Prende il controllo, mentre io sono libero di lasciarmi andare nella mia barella e contare e ricontare le ammaccature sul casco da bici. Sono sempre cinque—non una di più, non una di meno. Ma non sono sicuro, così decido di rifare la conta e ricomincio da capo: uno, due, tre, quattro, cinque…

Il dottore testa i miei riflessi e poi si rivolge a Maria: "La prima cosa da fare quando arrivi in ufficio è mettere in ordine tutti i documenti. I suoi sono in disordine. Devono essere risistemati nelle loro cartelle e i rispettivi scaffali."

Ho la testa che va di qua e di là. Non mi sento molto a posto.

Il dottore continua: "Starà meglio, ma dato che ha perso conoscenza e che c'è stata una commozione cerebrale dobbiamo assicurarci che sia tutto a posto. Ha bisogno di un periodo di riposo cognitivo."

Scoppio a ridere come se avessero appena fatto una battuta divertentissima, ma nessuno ride con me, così smetto.

"Presto arriverà il mal di testa. Significa che sta rimettendo in ordine i documenti. Gli serve del riposo cognitivo completo. Altrimenti il mal di testa potrebbe durare anche sei settimane. Quindi, in pratica: due settimane, niente libri, niente tv, niente internet o email. Se dopo una settimana vuole provare a fare qualcuna di queste cose, deve farlo a intervalli: un'ora di sforzo, un'ora di riposo.

"Non dovrebbe nemmeno sostenere conversazioni. Se qualcuno gli parla, deve far capire che non è il caso, o ignorarlo. Non deve rispondere."

Pubblicità

Anche se la porta è lì, vuota, Maria si rifiuta eroicamente di calciare il pallone rispondendo al dottore che io reagisco così già in condizioni normali, quando qualcuno cerca di parlarmi.

Un'ora dopo cammino lentamente, mano nella mano con Maria, attraverso il cimitero della chiesa di St John's, ad Hackney. Prendiamo un autobus e mangiamo fish and chips da Suttons. Poi passiamo a prendere John 2 a scuola. So che devo ritenermi fortunato.

Il giorno dopo sono nel pieno del tormento mentale. Me ne sto sul divano e cerco di non fare niente. Maria e John 2 sono già vestiti, pronti per uscire. John piomba in salotto con un po' di giocattoli stretti al petto, e io lo guardo con aria patetica.

Mi viene addosso coi giocattoli. "Cosa vuoi? Ted Glen?" Bam! Si lascia cadere dalle braccia il camioncino e l'autista, e io mi ritrovo faccia a faccia col paraurti. Bam! La locomotiva va a fare compagnia al camioncino. "Ajay?" Bam! È il turno del camioncino del postino Pat. "O Pat?" Non aspetta una risposta, e scappa via lasciandomi solo con le macchinine.

Maria fa capolino con la testa. "Ricordati, eh! Niente internet, né libri o DVD! Puoi uscire a fare una passeggiata, vai in piscina. Puoi tirare giù tutti i CD e riordinarli, per vedere quali tenere e quali vendere…"

Un attimo. Il dottore non ha fatto alcun riferimento alla palestra o ai dischi.

Mi alzo e inizio ad andare da un capo all'altro della stanza. Prendo gli oggetti, li guardo, li rimetto a posto.

Pubblicità

Sul tavolo c'è un blocco per appunti—fogli di ricambio coi buchi, margine azzurro e righe grigie. Quando mio figlio si esercita a scrivere annoto le frasi che pronuncia ad alta voce e poi gliele faccio copiare parola per parola nella riga sotto.

"Cari nonno e nonna,

come state?

Noi abbiamo preso l'autobus.

Abbiamo mangiato la pizza.

Siamo andati in piscina.

Vi voglio bene, John."

Prendo il blocco e mi rimetto sul divano, ma più tempo passo in orizzontale a non fare niente più la testa mi si riempie di immagini, associazioni e idee; nessuna delle quali dovrebbe stare lì, almeno secondo il medico. Poliziotti in tuta da sub. L'eco notturna nella tromba delle scale di un vecchio edificio. Aprire una busta importante. Qualcuno che bussa alla porta. Voci disturbate di una comunicazione telefonica. La svastica alla fermata dell'autobus fuori dalla Stamford Hill Library.

Mi metto a sedere e strappo un foglio. In trasparenza ci sono ancora i segni delle parti in cui ha calcato. Strappo altri due fogli finché non c'è solo bianco. Il blocco somiglia a quello che mi indicava mio padre quando quarant'anni prima andavo da lui e gli dicevo di essere annoiato. "Come fai ad annoiarti, quando hai i fogli e le penne?" Aveva ragione. Ma ora voglio annoiarmi, e la scrittura è l'unico modo in cui posso pensare di riuscirci.

Oltre le tende, fuori dalla finestra e sopra i palazzi, c'è il cielo. Sopra il cielo, il sole. Lo fisso. La luce mi penetra attraverso i bulbi oculari e la retina. Fisso quel cerchio bianco e mi metto a contare. UNO: Non hanno detto che non posso prendere la matita e scrivere. DUE: Devo solo annotare due cose. TRE: E devo farlo, perché come puoi paragonare il mal di testa di un trauma… QUATTRO: … a quello di uno scrittore che non può scrivere? CINQUE: Quindi scrivo un po', perché per tutto il resto nella vita c'è il paracetamolo.

Un ringraziamento all'uomo che portava a spasso il cane, al postino, ai volontari dell'ambulanza, all'infermiera e al dottore che mi hanno aiutato. E a Maria. Chiedo inoltre scusa a Luke Skywalker, Karl Lagerfeld, Christian Bale e chiunque abbia risentito della mia assenza al lavoro.

John Doran è uno scrittore, e il suo ultimo libro Jolly Lad è disponibile qui.