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Addio 'Girls', una serie che praticamente nessuno aveva capito

È strano dirlo, trattandosi di una serie che ha dato vita a migliaia e migliaia di articoli online, ma è così.

Attenzione: se non avete ancora visto l'ultima stagione di Girls, potete leggere fino alla foto. Dopodiché, andate avanti a vostro rischio e pericolo.

Questa settimana negli Stati Uniti è andato in onda l'ultimo episodio di Girls, la serie tv che amavi odiare o che più probabilmente non hai proprio mai visto. E che, in un certo senso, ha risentito più di ogni altra cosa del suo nome. Sì, Girls. È un titolo a dir poco fuorviante.

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Quel nome ci aveva portati tutti alla stessa fallace supposizione: la supposizione per cui Girls volesse consegnare al pubblico un ritratto delle varie esperienze dell'essere una ragazza oggi. Volendo partire da questi presupposti Girls non poteva che fallire—perché, come molte persone ben più qualificate di me hanno evidenziato, c'è ben poco di vario e realistico in una serie ambientata a New York e incentrata sulla vita di quattro tra le persone più bianche sulla faccia della terra.

La cosa scocciante del nome, e ora che la serie è fiinta lo sappiamo, è che l'accuratezza non è mai stata nelle intenzioni di Girls. Il dramma realistico sull'essere donna a New York o in una grande città non funzionava perché non era quel tipo di serie. Girls era e si definiva una commedia—un approccio satirico alla vita e alle vicende di una ragazza della classe media privilegiata americana. E sotto questo punto di vista era perfetto. È strano e triste non essersene accorti per così tanto.

Giusto per, io sono il pubblico di riferimento di Girls—una ragazza bianca, laureata e con amiche ragazze. Probabilmente Lena Dunham nel suo ufficio ha un moodboard con sopra la foto di una che mi somiglia molto, insieme a qualche verso di Taylor Swift e un po' di cristalli scaccia-problemi. Quindi sì, sono una fan di Girls. Non perché sono convinta che l'esistenza della serie abbia significato una schiacciante vittoria femminista sulla televisione—perché non è così. O perché mi infastidisce che Lena Dunham sia stata giudicata, esaminata e analizzata più di ogni showrunner uomo nel corso della storia—anche se è stato così. Pur stabilendo che all'inizio fossi attratta da Girls perché sembrava mettere in scena la mia esperienza del mondo, col tempo ho iniziato ad amare la sua profonda consapevolezza di quanto minuscola fosse quell'esperienza.

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Girls è esattamente questo: una serie che, in maniera spietata e divertente, smonta pezzo per pezzo la ragazza bianca. Il tono ironico era chiaro fin dalla prima puntata—un momento televisivo capace di farsi riguardare più e più volte senza mai stancare. Non c'è una battuta fuori posto. Facciamo subito la conoscenza di Hannah "voce della sua generazione" Horvath, e poco dopo delle sue tre e altrettanto immature amiche e di un fidanzato, Adam, che è una caricatura volutamente esagerata dell'artistoide così losco e terribile da non poter scappare al desiderio di volersi autodistruggere al suo fianco e nel frattempo farci anche sesso.

Se ti ritrovavi anche solo vagamente in una delle donne sullo schermo, allora non potevi che riderne perché i personaggi rappresentavano i lati peggiori del tuo carattere. E se anche per te le possibilità di immedesimazione in Hannah e le altre erano meno di zero, quel caos ti spingeva a continuare a guardare—nonostante tutto. La serie tratta brutalmente i suoi giovani protagonisti, che peraltro si meritano quasi sempre tutto quello che accade di volta in volta. Ovvero sostanzialmente niente, anche dopo sei anni in giro per Brooklyn a parlare di insicurezze e infezioni delle vie urinarie.

Voler considerare un'opera problematica di questo tipo come satira porta su un territorio rischioso. È vero che Girls ambiva a essere qualcosa di più di una commedia. Si è avventurata nel territorio del dramma a successi alterni, con quegli episodi a basso costo e dolorosamente viziati che nei momenti peggiori sembravano usciti dritti dal corso di scrittura creativa di un liceale. Avevamo davvero bisogno di vedere Hannah andare a letto con quel dottore? No.

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Ma poche serie tv sono così disposte a prendersi dei rischi e sperimentare come è successo in Girls. Nella penultima stagione questo intento ha dato i suoi frutti attraverso gli episodi-film sulle esperienze dei singoli personaggi—un po' come una versione americana di Skin con i venticinquenni al posto degli adolescenti. Girls aveva già capito che c'era un limite alla versione parodiata di Sex and the City. Ma invece di fermarsi, si è spinta oltre e ha cercato qualcosa di nuovo e interessante.

L'aspetto negativo di tutto ciò è che Girls non ha veramente mai imparato a tenere in piedi la sua stessa trama, e a fare i conti con New York—non per niente la maggior parte degli episodi migliori è ambientata altrove. Non che sia importantissimo, dato che ogni scena era studiata con un'attenzione sufficiente a far funzionare comunque la serie. Perché è sempre stata tutta una questione di dialoghi: la storia avanzava, si fermava, cambiava, ma le battute restavano.

Ehi! Ricordatevi che da sotto la foto in poi ci sono degli spoiler sul finale di stagione.

È stato tanto strano quanto affascinante osservare le persone che hanno scritto Girls, forse stufe di leggere l'infinita serie di articoli sull'adipe e l'account Twitter di Lena Dunham, smettere piano piano di fregarsene di tutto ciò che c'era fuori. Man mano che le critiche si facevano più forti e più personali, Dunham ha mantenuto la calma e ha continuato a calcare la mano, sempre di più. Nell'ultima stagione, che personalmente ho trovato la migliore e che potremmo definire un riflesso sapientemente contorto della prima, i personaggi danno il peggio.

Tanto che nell'ultima puntata Girls viene ridotta ai due personaggi oggettivamente più deprecabili. È lo show di Marnie e Hannah. Marnie, che in sei stagioni non è riuscita ad appianare nemmeno uno dei suoi difetti, vive con Hannah, che sta pian piano capendo come la scelta impulsiva di crescere un bambino da sola non sia affatto priva di conseguenze. Coi suoi selfie e le canzoni di Tracy Chapman cantate in macchina, Marnie riesce quasi a superare la star della serie portando il concetto di personaggio sgradevole a nuovi livelli.

La gente che critica Girls per la sua mancanza di realismo non ha capito. A chi importa se una freelance come Hannah non potrebbe permettersi il suo bell'appartamento di Bushwick? Perché concentrarsi sul fatto che è impossibile ottenere un incarico di docenza senza una specializzazione? Non era Carrie Bradshaw, e noi non dovevamo prenderla sul serio o essere invidiosi della sua vita. L'abilità del personaggio di sopravvivere con quel suo dubbio fascino rappresentava da sé il motivo per cui era divertente guardarla.

È strano dirlo, trattandosi di una serie che ha dato vita a migliaia e migliaia di articoli online, ma non sono convinta che avessimo davvero capito Girls. Oggi, sei anni dopo, pare quasi troppo tardi riconoscere la verità: Lena Dunham ci ha fregati. I personaggi di Girls mancavano totalmente di consapevolezza di sé. Ma gli autori che li hanno portati in vita ne erano provvisti eccome.

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