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Menestrals: Budapest è stata un'occasione. Abbiamo conosciuto Andrea online, casualmente. Mirko, il fotografo, aveva un contatto Facebook in comune con lui, e questo contatto ha condiviso un articolo che parlava di quello che stava succedendo ad Andrea. Noi tutti iniziamo ad informarci sulla vicenda, e alla fine abbiamo chiesto ad Andrea se per lui poteva essere interessante un'esperienza di questo tipo. È stato gentilissimo: non solo ha accettato, ma ci ha ospitato a Budapest in casa sua per cinque notti.
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A noi interessava il silenzio delle istituzioni e dell'Unione Europea. Il fatto che un manifestante durante il gay pride avesse messo in atto una semplice protesta che poi si è trasformata in un incubo le cui dimensioni non immaginava nemmeno lui: abusi, minacce, addirittura una taglia sulla sua testa.Frequentando Andrea, che impressioni avete avuto della sua storia e della condizione in cui si è ritrovato?
Andrea è uno tosto. Più volte gli abbiamo chiesto il motivo di questa sua ostinazione. Lui riconosce come giusto quello che sta facendo e, nonostante la lentezza del processo e delle denunce che ha fatto, va avanti senza fermarsi. Attorno a lui, però, si è creata anche una bolla protettiva fatta di amici, attivisti, e associazioni che lo supportano.Avete cercato di relazionarvi anche con la parte opposta ad Andrea? Con i motociclisti, con Jobbik, o con qualche personaggio di Fidesz?
Eh, quello è un grosso rimpianto. Era una delle cose più importanti, per noi, riuscire a confrontarci anche con la parte opposta, ma non ci siamo riusciti.Il leader dei motociclisti, Jeszenszky, lo abbiamo incontrato il giorno del processo. Ci siamo avvicinati e abbiamo chiesto, tramite l'interprete, di poterlo intervistare, ma lui si è rifiutato di rilasciare ogni tipo di dichiarazione e sembrava parecchio infastidito dalla nostra presenza. Abbiamo tentato di metterci in contatto con Jobbik, ma non abbiamo avuto risposta. Se ci fosse stata data la possibilità di sentire l'altra campana avremmo avuto un lavoro molto più completo, che descrivesse meglio la vicenda.
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In realtà è venuto tutto da sé, in modo naturale. Noi avevamo fatto un lavoro di ricerca, in modo da avere un quadro esaustivo della storia. Poi, realizzando le prime interviste, ci siamo resi conto che sarebbe stato troppo limitante agire con un focus così stretto. Avevamo tantissimo materiale in mano, ed era una buona occasione per raccontare l'Ungheria di oggi tramite la voce di alcuni esponenti di primo piano dell'attivismo e della politica ungherese. Anche perché la storia di Andrea non ha senso se non ne viene raccontato il contesto. L'Ungheria ha un'atmosfera e un'attitudine che danno una ragione a quello che gli è successo. È frutto delle dinamiche del paese.
Allora: tutto nasce con la caduta dell'allora Primo Ministro socialdemocratico Gyurcsàny, nel 2006. In pratica il paese versava in una situazione economica disastrosa, molto peggiore di quella attuale, e il governo—interamente basato su dinamiche di corruzione e malapolitica—suscitava una profonda insoddisfazione nel popolo. L'evento scatenante delle dinamiche che hanno portato Orban e il suo partito al potere, è la pubblicazione di una registrazione in cui il Primo Ministro, durante una riunione del gabinetto, ammette di fronte ai fedelissimi tutte le menzogne che il governo ha raccontato ai cittadini per nascondere la reale situazione del paese.
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In verità l'opinione pubblica si è occupata poco o niente della cosa. La storia è circolata soprattutto negli ambienti di estrema destra e fra gli attivisti progressisti di sinistra. Tanti giornali ne hanno parlato, ma non hanno scosso molto l'interesse… anche perché il punto è questo: in questa Ungheria di Orban una vicenda come quella di Andrea non desta scalpore. Secondo un giornalista con cui abbiamo parlato, gli ungheresi hanno perso in questi anni, dal 2006, quel senso del pudore che ti impedisce di provare vergogna per i sentimenti razzisti. Per loro questa è diventata normale amministrazione––almeno per la maggior parte degli ungheresi. Le urne parlano chiaro.
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Quello che ci hanno comunicato Andrea e i suoi amici, è che per adesso è principalmente l'atmosfera ad essere cambiata. Ci sono leggi sui diritti civili più avanzate rispetto all'Italia, ad esempio, ma l'intolleranza la vivi nella società, fra le persone. Un cambiamento che si sta facendo sempre più forte.Secondo voi la situazione dell'Ungheria può essere un esempio di come si stanno evolvendo le dinamiche delle destre europee?
Secondo me sì. Più che altro Orban è un premier molto di destra, e l'Ungheria è sintomatica: perché chi gli fa opposizione è più a destra di lui.
L'Europa sente un po' lo spauracchio dell'emergere delle ultradestre. Lo si è visto in Inghilterra con Farage, lo si è visto con la Le Pen in Francia. Però nelle grandi nazioni europee queste tendenze possono essere controllate. Ciò che rimane, il minimo comun denominatore, sono alcune sensazioni, attitudini: in particolar modo penso alla strategia d'odio contro le comunità rom. Che in Ungheria sono viste come la principale motivazione della delinquenza e come il centro catalizzatore di molti problemi.Come vi è sembrata la situazione delle realtà politiche di sinistra in Ungheria?
Io da loro non ho mai avvertito la sensazione di pensarsi come minoranza, come ultima roccaforte o zoccolo duro di un sistema di pensiero che viene meno. Tendono a rimarcare il fatto che l'Ungheria non sia solo Orban, solo Jobbik, solo destra. Certo che poi, guardando i risultati elettorali, viene da riflettere.
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Secondo noi è una storia che può servire soprattutto in Italia. In Ungheria, nonostante la situazione, le leggi sui diritti civili sono leggermente più avanti. Ed è paradossale.
Va detto, ad esempio, che Orban non è mai stato parecchio omofobo: il suo è un discorso più improntato sul nazionalismo. Con l'ascesa di Jobbik, però, che invece porta avanti altre tematiche (e con loro una valanga di movimenti paranazisti come quello dei motociclisti) l'omofobia sta diventando un problema sempre più serio. Come quello dell'antisemitismo.
Condividiamo in pieno il modo in cui l'ha fatto. La sua è un protesta senza fronzoli: puoi condividere o meno le modalità, e personalmente io le condivido. Poi è comprensibile che alcuni possano trovare l'idea di vestirsi da prete e andarsene in giro con una bandiera con sopra un cazzo di cattivo gusto. Ma dietro a questo gesto c'è un ragionamento, un'analisi. Lui aveva pensato molto alla situazione del paese, e aveva deciso di alzare il tiro. E questo è fondamentale per ogni tipo di provocazione: il ragionamento forte. Altrimenti si cade nella sterilità.Ok, capisco. Quali sono i vostri prossimi progetti?
Be' il filo rosso che unisce le storie che ci interessano, come quella di Andrea, sono perlopiù le storie "contro". Le storie che parlano di riappropriazione: riappropriazione degli spazi, dei diritti ecc ecc.Per quanto riguarda il futuro di carne al fuoco ne abbiamo parecchia: a esempio stiamo monitorando l'emergenza rom a Torino, dove ci sono due baraccopoli gigantesche; e poi la questione dell'ex villaggio olimpico del 2006 che adesso è occupato da 600 migranti ormai da molti anni. Una situazione complessa, quasi incomprensibile e che sta catalizzando l'odio di molti.Segui Niccolò su Twitter.