Foto delle coltivazioni domestiche di marijuana nel Canada degli anni Novanta

FYI.

This story is over 5 years old.

Foto

Foto delle coltivazioni domestiche di marijuana nel Canada degli anni Novanta

Durante gli anni Novanta la polizia di Vancouver ha chiesto al fotografo Victor John Penner di seguire un gruppo di agenti nelle operazioni anti-droga, e questa serie è il risultato.

Durante gli anni Novanta, la polizia di Vancouver ha chiesto al fotografo Victor John Penner di seguire un gruppo di agenti nelle perquisizioni, al fine di presentare il materiale a una sorta di concorso per le forze dell'ordine. Da allora, quel progetto è diventato una serie—Not safe to occupy, dalla dicitura che indicava ogni grow house individuata dagli agenti—, e ha offerto a Victor la possibilità di esplorare il dietro le quinte di molte operazioni anti-droga. L'abbiamo contattato per parlare delle sue foto, ora che ha finalmente deciso di esporle.

Pubblicità

VICE: Ci puoi raccontare com'era Vancouver ai tempi?
Victor John Penner: I cittadini di Vancouver erano felicemente ignari della coltivazione illegale di cannabis che aveva luogo in molti quartieri, ma in generale l'erba era una parte talmente consistente del tessuto cittadino che molti avevano smesso di prestare attenzione al suo uso.

Nel momento in cui ho scattato queste foto, era sicuramente la criminalità organizzata a gestire il tutto. Ma erano molto più di basso profilo rispetto all’esplosione di violenza tra bande del 2009, quando ci furono 20 morti e 40 feriti nei primi tre mesi dell’anno.

Puoi spiegarmi il processo nel dettaglio? Come funzionavano le operazioni?
Ricevevo una chiamata e ci davamo appuntamento la mattina presto in un posto a caso per prendere un caffè, mai nello stesso bar due volte di fila. Avevano un elenco delle postazioni che intendevano perquisire e mi comunicavano la posizione della prima. Poi salivano in macchina, loro a bordo di volanti e comuni auto, io nella mia. Arrivati sul posto scendevamo tutti: solitamente il punto preciso era nei pressi della casa designata, a poca distanza in modo da poterla osservare da vicino.

Poi andavano verso la porta, si identificavano, urlavano “Abbiamo un mandato!” e la buttavano giù nel giro di dieci secondi. Io di solito aspettavo un minuto, quindi uscivo dal mio veicolo con la borsa con la macchina fotografica e aspettavo sul prato. Dopo aver messo sotto sequestro la casa, mi chiamavano dentro. Successivamente chiudevano tutte le finestre, l’acqua e la luce. Mentre raccoglievano le loro attrezzature avevo la possibilità di andare a fotografare il resto della casa, che di solito era incredibile. Terminato il sequestro, chiudevano la porta e apponevano il cartello "Not Safe to Occupy," che è come ho chiamato il mio progetto.

Pubblicità

Com'è stato lavorare con la polizia di Vancouver?
Conoscevo il poliziotto che mi aveva chiesto di fare le foto; dato che la prima volta andò bene, chiesi di farlo di nuovo e la cosa è nata così. All'inizio gli altri ragazzi della squadra erano un po’ a disagio con me, ma alla fine si sono sciolti e praticamente mi ignoravano. Scattavo con una certa regolarità, almeno quando non ero fuori città per grossi concerti. Nel 2002, in previsione della perquisizione numero 1.000, mi hanno chiesto di tornare. A quel punto si trovavano così a loro agio che avevano iniziato a fare “direzione artistica”, finché a un certo punto sbottai: “Puntate quelle cazzo di pistole… voi fate quello, e io faccio le foto!”

Qualche mese più tardi mi hanno consegnato una targa con un’incisione.

Chi ha detto che i poliziotti non hanno il senso dell'umorismo? Com'erano queste grow house?
La prima che ho visto era una specie di bungalow in un bel quartiere residenziale. È stato incredibile! Non fumavo da anni ma, scelte personali a parte, c'era molta ingenuità criminale, e visivamente era più di quanto mi aspettassi. In effetti, dopo 20 minuti dissi: “Questo dovrebbe essere un libro!” I poliziotti smisero di tirare fuori le piante, si misero a guardarmi e fecero: “Di che cazzo parli?”. Credo non si sentissero stimolati quanto me.

Ti sei mai sentito in pericolo?
No, mai, perché non c'era quasi mai nessuno in casa quando loro facevano la perquisizione. Succedeva il mercoledì o il giovedì, e le persone che gestivano questi luoghi di solito si prendevano "il giorno libero." A volte c'erano dei cani, dei pitbull, ma di solito erano più interessati a giocare che a mordere.

Pubblicità

Ma c'era sempre qualcosa di cui mi stupivo, che fosse la muffa, i cavi esposti a cazzo, o muri e pavimenti lerci. Avevo sempre un po' il timore di essere etichettato come uno sbirro, questo sì. Sono cresciuto nella parte orientale della città, e lì non erano molto cortesi con chi collaborava con le forze dell'ordine. In realtà è questo il motivo per cui non avevo mai esposto i miei lavori. Ma ora è passato abbastanza tempo e la maggior parte dei luoghi che ho fotografato non esistono più. Per il momento nessuno mi ha sparato, quindi tengo le dita incrociate per il futuro.

Nella tua esperienza, qual era la percezione dei poliziotti rispetto a queste operazioni e alla guerra alla droga in generale?
Secondo me—non ne ho mai discusso con gli agenti—per loro era solo un lavoro. Immagino ci fosse un certo ricambio, nessuno stava in quella squadra troppo a lungo, e non penso che qualcuno di loro fosse convinto di avere conseguenze effettive nella "guerra", perché mi dicevano che stimavano ci fossero 10.000 case di quel genere nell’area metropolitana di Vancouver. Quindi non è difficile capire che le loro operazioni non erano poi molto. Sono convinto che un giorno le mie foto saranno osservate con lo stesso spirito con cui oggi guardiamo alle immagini del proibizionismo degli anni Venti e Trenta. Il fatto che fosse illegale ci farà sorridere e forse tra quarant’anni su Discovery Channel ci sarà un programma sulle coltivazioni illegali del passato, come fanno oggi coi documentari sul contrabbando dell'alcol.

Pubblicità

Sarebbe fantastico. Molte di queste foto evocano le case infestate, o quelle abbandonate poco prima di qualche cataclisma. Mi riferisco in particolare ad alcune camere da letto e a quel panino preparato a metà.
Solo alcune delle case erano realmente abitate: la maggior parte avevano dei guardiani che dormivano lì, eppure tutti avevano arredato le stanze o il piano di sopra per far sempre che fossero comuni abitazioni. Era tutto alla luce del sole, ed è una delle cose che più mi ha affascinato. Le camere da letto erano le mie preferite, e costituiscono la parte più consistente delle foto in mostra.

Mi sentivo come un voyeur, perché non ero invitato dai proprietari, e voglio che gli spettatori abbiano la sensazione di trovarsi anch'essi all’interno delle case. Molti di quelle che le vedono non ci capacitano di come potessi avere il permesso della polizia, e altri non mi credono quando dico che mentre scattavo intorno a me c'erano almeno una decina di agenti.

Il panino è quello che ha la più forte reazione da parte del pubblico. Qualcuno se lo stava preparando quando la polizia ha tirato giù la porta, ed è la prima cosa che ho visto quando sono entrato.

Lavorare a questo progetto ha influito sulla tua visione dell'illegalità della marijuana?
Come ho detto non faccio uso di sostanze ora, quindi non fa più parte della mia vita: non giudico. Questo lavoro si incentra sulla mia visione di questo mondo, sul fatto di avere tutto sotto il naso senza rendersene conto. Non riesco a vedere come il divieto possa funzionare e penso che i soldi siano troppo allettanti da scoraggiare il governo a non prendere parte alla cosa.

Pubblicità

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner

Victor John Penner