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Adesso siete liberi

Siamo andati a ridere delle nostre disgrazie al seminario di psicomagia di Jodorowsky.

Alejandro Jodorowsky è soprattutto un filmmaker. Nel 1970 ha girato El Topo, il peyote western che pare fosse il film preferito di John Lennon e che comunque lo convinse a far produrre dalla Apple Records il suo secondo film, La Montagna Sacra, 113 minuti di brutale surrealismo e simbologia a tema alchemico/religioso. I suoi lavori gli hanno assicurato un vasto pubblico adorante che lo segue di film in libro in seminario. Infatti è ancora in attività come regista, ma fa anche molto altro: poeta, fumettista, saggista, drammaturgo e santino della borghesia illuminata at large.

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In particolare ha elaborato una disciplina spirituale, che ha chiamato psicomagia, nata dal suo incontro negli anni Sessanta con una guaritrice messicana. La psicomagia si pone come metodo di guarigione alternativa alla psicoanalisi, anzi più efficace, in quanto si serve di un linguaggio meno limitato rispetto al tradizionale approccio scientifico, utilizzando anche rituali simbolici e tarocchi. Inoltre si spinge un po' più in là, parlando di possibilità di intervento anche su malattie gravi o genetiche.

Il seminario del 18 giugno al Teatro San Babila di Milano è uno degli eventi di psicomagia collettiva organizzati da Jodorowsky e la sala è completamente piena, nonostante il prezzo del biglietto si aggirasse fra i 250 e i 350 euro. Dato il tipo d'incontro e il costo sostenuto immaginavo un parterre di para-televisivi in cerca d'illuminazione, file di Marco Columbro e Andrea Pezzi a perdita d'occhio. Invece il pubblico è molto vario, ci sono un sacco di persone che sono venute da fuori per partecipare e non è possibile definire un'età media.  Jodorowsky  comincia subito con un esercizio per "creare una coscienza collettiva" nella sala. Il pubblico deve alzarsi, ciascuno deve prendere per mano i propri vicini e intonare le variazioni dell'"om" dettate dal Maestro. Tutti si dispongono all'esercizio con l’imbarazzo di quando vieni coinvolto contro la tua volontà nella lambada al villaggio vacanze, ma dura pochissimo.

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Jodorowsky intima alla folla salmodiante di alzare il più possibile il tono della voce e di lasciarsi andare a una sorta di ondeggiamento collettivo e già qui tutti cominciano a sentirsi più sicuri per l’investimento fatto. Sarà un’esperienza, è chiaro.

Lui interagisce molto con il pubblico, chiede a tutti di pensare un momento su quale sia l’obiettivo principale della propria esistenza. Dopo un minuto di raccoglimento cominciano ad arrivare le prime risposte dalla platea. Le risposte sono normalissime e surreali: si va dal “avrei voluto fare la cantante” a “la pace nel mondo” a “vorrei che casa mia fosse più ordinata.”

Jodorowsky rassicura ciascuno sul fatto che le proprie mancanze e i propri fallimenti non dipendono assolutamente dal fatto di non saper cantare o di essere disordinati, ma dall’immagine sbagliata di noi stessi che ci viene inculcata dai genitori. Sorprendentemente tutti accolgono con favore la possibilità che sia colpa di qualcun altro e si apprestano all’esercizio seguente. Il Maestro chiede a tutti i presenti di individuare uno sconosciuto in sala e di raccontargli la propria intera vita in dieci minuti. L’esperimento verrà poi ripreso in cinque minuti e in un minuto. Alla fine delle sedute chi ha il ruolo di ascoltatore pronuncia la frase: “Ti comprendo, ti capisco e ti benedico.” Segue abbraccio.

In breve la stanza si trasforma in un grosso confessionale senza finestre e con l’aria condizionata rotta, sicché vagando nel buio, semi tramortiti dall’odore di umanità, si potevano cogliere brandelli di conversazioni fra sconosciuti sudatissimi e spesso in lacrime, ottenendo una buona simulazione di cosa sarebbe un ascensore gigantesco bloccato da undici ore. Se muovendosi fra i “non ho mai avuto il coraggio di lasciare nessuno” e i“mi hanno rovinato le cattive compagnie,” capitava di inciampare in borse o piedi, i proprietari, presi dal momento,  accettavano le scuse con gentilezza commossa.

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Dopo quest’esercizio viene una seconda parte teorica, incentrata su concetti più generali come le guerre e i fanatismi, che Jodorowsky vede come espressioni di personalità non bilanciate, gravate da legami familiari nocivi e immagini negative di se stessi. A tratti sembra una rielaborazione di nozioni psicanalitiche mischiate a concetti difficilmente definibili di “amore”, “unità”, ma soprattutto sembra si tratti di sollievo e di “non è colpa tua”. Jodorowsky ritiene così centrale il concetto dei legami familiari che lo usa come centro dell’esercizio spirituale più importante della giornata, la rinascita.

In quest’atto di psicomagia la persona individua due sconosciuti. Associa a questi il ruolo di padre e di madre. Pronuncia la formula: “Per quest’atto di psicomagia tu sei mio padre. Ti chiami…”

Dopo l’assegnazione dei ruoli il figlio “uccide” i due genitori, facendoli sdraiare per terra. A quel punto la procedura prevede che il figlio ricopra di insulti i genitori, accusandoli senza pietà di tutto quello che gli hanno causato. Prevedibilmente, nel raggio di pochi minuti si stavano tutti prendendo a stronzo.

Finito di urlargli contro il peggio, il figlio “restituisce la vita” ai genitori, facendoli rialzare. Piazzatosi in mezzo a loro, accovacciato, dice ai genitori quali dovranno essere le loro aspettative su di lui e quale sarà il nuovo nome che si è scelto. Aiutandolo ad alzarsi i genitori ne favoriscono la rinascita e la convalidano. Alcuni piangono o urlano, anche se nessuno lo fa quanto il signore sui quaranta in un angolo del palco, che con i suoi “VAFFANCULOOOO” e “TESTA DI CAZZOOOOO” probabilmente è udibile già dalla metro.

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La stanza è strapiena di persone che stanno rinascendo un po’ ovunque, sotto le poltrone e davanti alle uscite di sicurezza, per cui qualcuno è dovuto andare a rinascere nell’atrio e per le scale

Durante quest’esercizio si piange un po' ovunque. Le miserie che le persone si rinfacciano sono quelle standard di noi tutti: non mi hai dato abbastanza attenzione, sei egoista, avresti dovuto lasciarlo non stare insieme per i figli, non mi hai mai rispettato etc.

Finito l’esercizio Jodorowsky riassume l’esperienza fra applausi scroscianti: “Cinque anni di psicanalisi in venti minuti!”

È un punto su cui è molto convinto. Spiega che la psicanalisi ha un approccio morale, giudica i propri pazienti. La psicomagia, invece, è per un approccio pratico: se qualcuno ti ha spezzato il cuore dovresti comprarne uno di agnello, pugnalarlo numerose volte e poi recapitarlo a chi ti ha fatto dal male. E vedrai se non ti senti liberato.

L’esempio è suo.

La pratica successiva è individuale. Si tratta di una meditazione guidata da Jodorowsky stesso, nella semi oscurità della sala. Al pubblico viene chiesto di rilassarsi e chiudere gli occhi, senza incrociare né braccia né gambe.

Lui comincia un mantra a base di “sei libero,” “non hai sesso, legami o nazionalità,” “non hai età,” “sei soltanto anima,” ma dopo un po’ cambia tono.

Al pubblico concentrato spiega un altro concetto fondante della psicomagia, cioè il mai sentito e assolutamente originale “cercare di ridere delle proprie disgrazie.” Per dare il buon esempio Jodorowsky urla cose come “sono malato!” “vorrei morire!” “sono rovinato!”, tutte seguite da fragorosa risata.

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Dalla sala cominciano a partire urla, questa volta vere, non a titolo di esempio. “Io passerò tutta la mia vita da sola!” “Mio figlio non mi rivolge la parola da cinque anni!” E giù risate.

Jodorowsky soddisfatto lascia che il pubblico continui da solo e la serenità dei presenti è quasi palpabile. A un certo punto qualcuno ha tirato fuori l’argomento Equitalia e la gente si teneva la pancia dalle risate al pensiero dei debiti altrui.

Non riuscivano quasi a smettere.

Segui Laura su Twitter: @lautonini