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Come sono riucito a non farmi ossessionare dal lavoro

Il lavoro non è la mia seconda famiglia. A differenza delle persone che incontro ogni giorno nei bagni dell'ufficio o alle macchinette del caffè, dire che "questo fine settimana devo lavorare, non ho neanche il tempo di respirare" non mi suscita...
Paul Douard
Paris, FR

Impiegati… male, Mike Judge, 1999

Da circa un anno lavoro per un'agenzia di comunicazione parigina, uno spazio sottovuoto per adolescenti di 35 anni dove a pranzo è norma farsi fuori una bottiglia di vino bianco a testa. E dove a ridosso delle scadenze è altrettanto normale lavorare senza sosta dalle otto del mattino alle 11 di sera. Non che io sia stato contagiato da quest'abitudine. Il classico orario 9.30-18.30 mi sta più che bene.

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Non fraintendetemi, non penso che il lavoro sia a priori qualcosa di brutto. È grazie al lavoro che ogni tanto mettiamo il naso fuori casa o possiamo permetterci di comprarci qualche stronzata. Per i più fortunati, poi, il lavoro può essere un modo per crescere intellettualmente. Ci aiuta anche ad andarcene da casa dei nostri e ad avere delle entrate che non sono l'assegno di disoccupazione. Ma tutte queste ragioni non sono un buon motivo per lavorare oltre l'orario di ufficio o per dedicare tutta la propria vita al lavoro.

A differenza di molti colleghi (non tutti ovviamente), non rimango in piedi fino alle due del mattino per sistemare dei documenti in Power Point e non mi offro volontario per organizzare la festa d'addio per Thierry che cambia città. C'è chi quasi si vanta di restare col culo sulla sedia dell'ufficio per 15 ore consecutive, e pensa di essere fortunato. Si giustifica spesso dicendo che "mi hanno dato questa responsabilità, è un lavoro importante," ma la verità è che si illude. I lavori importanti non vengono lasciati nelle mani dell'ultimo arrivato che rimane fino a mezzanotte passata da solo davanti al suo MacBook Pro.

The Office UK, Ricky Gervais, 2001-2003

Il lavoro non è la mia seconda famiglia. A differenza delle persone che incontro ogni giorno nei bagni dell'ufficio o alle macchinette del caffè, dire che "questo fine settimana devo lavorare, non ho neanche il tempo di respirare" non mi suscita piacere e orgoglio. Lavorare così tanto mi fa cagare. Attenzione però, il fatto che io mi rifiuti di ammazzarmi di lavoro non significa che mi credo "migliore" degli altri. O che sono il tipo che se ne sta a casa in mutande a riempirsi di biscotti davanti alla tv. Significa semplicemente che, come tutti, anche io svolgo correttamente il mio lavoro e sono produttivo, senza però fare dell'ufficio la mia seconda casa. Questo aspetto è un classico della vita da ufficio: molto spesso quelli che finiscono di lavorare tardi sono anche gli stessi che si frequentano tra loro. Escono con i colleghi, vanno a letto con i colleghi, prendono casa con i colleghi e divorziano dai colleghi. Per loro il lavoro non è semplicemente una parte della vita, ma è la nota dominante.

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Ovviamente non è una novità. Non sono mai stato uno che si dedica in modo esagerato ai propri doveri, ed era così anche quando andavo a scuola. Alcuni potrebbero ritenerla una forma di mediocrità o una grave mancanza di ambizione. Si sbagliano. Ricordo le volte in cui saltavo le lezioni e i miei compagni di corso mi guardavano come se avessi commesso un reato, dicendo che avrebbero voluto potersene "fregare" come facevo io.

Per me non era una questione di mancanza di ambizione, ma piuttosto una forma accentuata di relativismo. Loro non se lo spiegavano. Eppure oggi abbiamo tutti lo stesso lavoro.

Impiegati… male, Mike Judge, 1999

Tornando alla questione della produttività, mettiamo in chiaro una cosa: lavorare di più non significa affatto lavorare meglio. Anzi. Come recentemente spiegato dall'agenzia americana Desktime, per essere più produttivi bisognerebbe fare sessioni di lavoro intensive da 51 minuti separate da lunghe pause. In sostanza i dipendenti più produttivi non sono quelli che lavorano 12 ore al giorno: il segreto per raggiungere alti livelli di produttività non è lavorare a lungo, ma lavorare meglio. E fare pause frequenti. Rimanere in ufficio fino a tardi è una specie di mossa meschina per riuscire a ottenere più prestigio di chi invece se ne va prima.

E se entrate in quel meccanismo, probabilmente finirete con l'essere depressi. Nel lavoro vale quel vecchio detto "in amor vince chi fugge." Lasciatelo un po' andare questo lavoro, lasciate che sia lui a venire da voi. Fatevi desiderare. Se gli state addosso costantemente rischierete di perderci.

In poche parole, oggi non avere troppe ambizioni permette di vivere meglio. In una società in crisi in cui le aziende sono piene di problemi economici e licenziano più di prima, mettere un freno alla propria ambizione significa tutelarsi. Significa non aspettarsi nulla e quindi non rischiare di prendersi pugni in faccia. Ma questo non significa per forza che non accadrà nulla.

Il lavoro è solo una piccola parte della mia vita. In una coppia, ad esempio, diciamo che il sesso è il 50 percento del rapporto (l'88 percento dopo le due del mattino). Ecco, nella mia vita il lavoro è il 20 percento di un tutto, diciamo il 25 percento il lunedì. Occupa un posto dignitoso tra cose come gli amici, la famiglia, il calcio, la musica, l'ozio. Ma non ho mai pensato di perdere la mia vita per vincere sul lavoro.

Non essere ambiziosi è una scelta complicata. Significa scegliere se stessi e non un impiego, al di là di quelli che possono essere i vostri titoli e le vostre qualifiche. Per alcuni questo modo di vivere è esemplificato da mancanza di volontà e pigrizia. Per me è la salvezza. Quindi, se volete un consiglio da me, smettetela di buttare la vostra vita nel cesso per restare tutto il giorno a modificare il colore di una griglia Excel. Cosa penserà il vostro capo di una persona che ha bisogno di stare in ufficio fino a mezzanotte per fare quello per cui è stato assunto?