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Mi hanno accusato di omicidio in Transnistria

Se dovete farvi arrestare in quanto sospettati di omicidio in uno stato non riconosciuto dalla comunità internazionale, sappiatelo: sarà una bruttissima esperienza.

I ribelli nell'est dell'Ucraina non sono i soli secessionisti filorussi ad alimentare le tensioni nella regione. Nel 1992 alcuni ribelli fedeli al Cremlino si sono ritagliati uno stato di fatto lungo una sottile striscia di terra tra la Repubblica di Moldavia e l'Ucraina. Si tratta della Transnistria, stato non riconosciuto con circa mezzo milione di abitanti che da allora ha introdotto una valuta propria, passaporti e una forza di polizia notoriamente dura. A luglio, mentre i combattimenti procedevano in Ucraina, ho visitato la Transnistria per vedere come se la cavano le fazioni secessioniste.

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Il territorio è ufficialmente riconosciuto come regione ribelle all'interno della Repubblica di Moldavia. La guerra del 1992 è un conflitto congelato, nel senso che non è mai stato stipulato un trattato di pace e tecnicamente la situazione consiste in un cessate il fuoco prolungato all'inverosimile.

Come prevedibile, non si tratta di un luogo facilmente raggiungibile; non ci sono voli commerciali e i vicini sono abbastanza ostili. Sono entrato dall'est, attraverso la Romania e la Moldavia. Ogni volta che menzionavo la mia destinazione—Tiraspol, la capitale ribelle—la gente mi prendeva per un pazzo. “È la striscia di Gaza dell'Europa Orientale,” mi ha detto un uomo. Un altro mi ha avvertito che se avessi detto di provenire dall'Europa mi sarei ritrovato con la gola tagliata nel giro di poche ore, e che la polizia mi avrebbe arrestato senza una ragione. Ma nessuno di loro ci era mai stato.

In altre parole, non era difficile liquidarla come propaganda di stato ripetuta per filo e per segno dalla popolazione—la guerra, tecnicamente ancora in corso, aveva visto due schieramenti opposti: da un lato Transnistria e Russia, dall'altro Romania e Moldavia. Eppure continuavo a riflettere sulla possibilità che quelle paure fossero in qualche modo fondate.

Ventiquattrore dopo essere arrivato in Transnistria sono stato fermato dalla polizia e schiaffato in una macchina parcheggiata frettolosamente sul marciapiede.

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Ero arrivato in treno di lunedì mattina, e ho subito compilato il modulo per gli stranieri. Un ampio viale porta dalla stazione in città, e su entrambi i lati si ergono palazzoni identici, ciascuno con il suo giardino giallo e trascurato. Man mano che ci si avvicina al centro città la strada si fa più trafficata e i marciapiedi appaiono più curati. Qua e là ci sono anche i negozi, alcuni con scritte in cirilliche in bianco e nero sopra la porta. Non avevo idea di cosa significassero.

La moneta, il rublo della Transnistria, non ha corso legale in nessun altro luogo al mondo. Di conseguenza per cambiare i propri soldi bisogna rivolgersi a un cambiavalute. Ho allungato all’impiegato alcuni lei moldavi e gli ho chiesto dove potessi trovare un albergo. Un altro cliente mi ha sentito e mi ha indicato un grosso complesso abitativo non molto distante.

La nostalgia dell'epoca sovietica è molto forte in Transnistria; statue di Lenin e di altri eroi sovietici decorano le strade principali e i parchi. Ma l’Unione Sovietica, qui, non è soltanto un ricordo. La Transnistria, infatti, ha mantenuto lo stesso apparato di sicurezza dei tempi—i servizi segreti si chiamano ancora KGB, e lo stato usa tuttora il sistema sovietico degli informatori civili per controllare la popolazione.

L’unità dell’esercito sovietico di stanza in Transnistria, la Quattordicesima Armata della Guardia, ha giocato un ruolo importante nella guerra del 1992. In un primo momento i soldati russi hanno defezionato per combattere tra le fila della neonata milizia di Transnistria; alla fine l’intero reggimento ha deciso di schierarsi al suo fianco. Nel corso degli anni, lo status della Quattordicesima Armata è cambiato, e ora fa parte di quelle che la Russia definisce forze di protezione.

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La Moldavia, invece, considera queste truppe una forza d’occupazione, forse perché si tratta di 1.200 soldati dotati di un vasto arsenale di armi pesanti—il più vasto d'Europa, secondo molti.

Ho passato il primo giorno a girare per Tiraspol. Non riuscivo a trovare l’indirizzo dell'Ufficio Immigrazione—dovrei mi sarei dovuto registrare entro 24 ore dal mio arrivo nel paese—e ho chiesto informazioni ai passanti. Alcuni mi hanno ignorato o si sono allontanati appena mi hanno sentito parlare, ma altri hanno cercato di aiutarmi. Indicavo l’indirizzo scritto su un bigliettino che mi era stato dato quando ero entrato nel paese. Tutti quelli a cui l’ho fatto vedere si sono grattati la testa, hanno fatto un vago cenno in una direzione o nell’altra e se ne sono andati.

Alla fine, dopo aver trovato l’indirizzo ed essermi registrato, ho fatto una passeggiata in un parco. Su una riva del fiume che attraversa la città c’era una passeggiata, e sull’altra una spiaggia. Al tramonto, quando la calura della giornata ha iniziato a diminuire, i parchi e la passeggiata si sono riempiti di famiglie e giovani coppie. Una di queste si è seduta vicino a me; mi hanno sorriso e hanno tentato di fare conversazione—che è durata molto poco, essendosi svolta in russo.

A marzo, dopo l’annessione della Crimea alla Russia, il parlamento della Transnistria ha chiesto formalmente alla Russia di annettere anche la Transnistria. Per qualche tempo la Moldavia è tornata al centro dell’attenzione, e molti giornalisti hanno affermato che la Russia avrebbe aperto un nuovo fronte. Il New York Times ha titolato: “La Moldavia sarà la prossima Ucraina.”

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La realtà, molto meno spettacolare, è che la Transnistria desidera e chiede l'annessione da prima che la stessa Russia esistesse. Infatti, già ai tempi dell’Unione Sovietica, aveva chiesto a Mosca di trasformare la regione in una repubblica sovietica. Da quando l’Unione Sovietica si è dissolta, la Transnistria ha chiesto molte volte alla Russia di annetterla. È possibile che altre zone dell’est dell'Ucraina, dove i ribelli filorussi stanno combattendo contro l’esercito ucraino e le milizie filogovernative, avranno un destino simile, trasformandosi in territori di fatto di fatto controllati dalla Russia piuttosto che annessioni ufficiali.

La mattina dopo sono andato a cambiare altri soldi. I cambiavalute somigliavano a piccole banche, e quello in cui sono entrato aveva una guardia giurata all’ingresso e dei vetri molto spessi a separare i clienti dai dipendenti. Quando ho allungato una banconota da 20 sterline per farmela cambiare, i due impiegati hanno iniziato a bisbigliare tra loro. Uno ha sollevato il telefono, mentre l’altro—parlando in un inglese stentato—mi ha detto, “Un momento.”

Entrambi sembravano un po’ nervosi, ma non ci ho dato molto peso—è difficile immaginare che stai per essere arrestato quando non hai fatto niente di male.

Poi un uomo con scarponi neri e occhiali da sole è entrato e ha iniziato a parlare con la guardia giurata. Nemmeno due minuti dopo che l’impiegato aveva alzato la cornetta hanno fatto il loro ingresso due poliziotti con tanto di giubbotto antiproiettili. L'agente in borghese mi ha bloccato le braccia da dietro mentre gli altri due si sono messi a entrambi i lati.

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Prima che lasciassimo il cambiavalute l’impiegato alla cassa mi ha urlato: “Tranquillo. Pensano che tu sia un rapinatore.”

Non avevo idea di cosa stesse succedendo. “Dove mi portate? Non ho fatto nulla,” ho detto, mentre i tre poliziotti mi facevano salire su una volante.

Mi hanno risposto in russo. In quel momento avrei tanto voluto sapere il russo.

Dopo un breve viaggio in auto abbiamo parcheggiato di fronte al commissariato. I poliziotti mi hanno portato dentro e scortato in una grande cella, mentre tutti gli altri agenti ci fissavano. Ho pensato, Merda, e ora? La Transnistria non è riconosciuta da nessuna nazione al mondo—non ci sono ambasciate né consolati. Forse venire qui con la situazione che c'è in Ucraina non era stata un’idea geniale. Merda, finisco in prigione in uno stato fantasma. 

Altri due agenti di polizia mi hanno condotto fuori dalla cella, fatto salire per una rampa di scale e portato in un ufficio. All’interno mi aspettavano altri due poliziotti, uno dei quali stava dietro a un grosso computer che sembrava uscito da un catalogo di oggetti per ufficio degli anni Ottanta.

“Sono qui per una rapina?” ho chiesto nervoso, quasi tremando.

“L’uomo dietro la scrivania mi ha guardato. Poi è scoppiato a ridere.

Ho riso anch’io.

Ha digitato sulla tastiera. Ho visto che aveva Google Translate aperto. “Nessuna rapina. Sei sospettato di omicidio.”

Ho smesso di ridere.

“Omicidio? Hanno sparato a qualcuno?”

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L’agente ha scosso la testa e si è passato l'indice sul collo. “Coltello.”

“Dov’eri il sei luglio?”

“In Inghilterra. Sono arrivato ieri. Controllate pure il mio passaporto; è in albergo.”

Il telefono dell’ufficio ha squillato. L’altro agente ha risposto, ha parlato per circa un minuto e poi ha messo giù. Poi ha detto qualcosa al poliziotto che mi stava interrogando. Il suo volto si è subito rilassato. “Stai dicendo la verità. Eri in Inghilterra.”

L’interrogatorio è andato avanti per altre tre ore, ma più che altro per il problema della lingua. Dopo quella telefonata la tensione si è sciolta; l’agente che mi interrogava mi ha persino concesso di passare dal suo lato della scrivania e mettermi accanto a lui per digitare le mie risposte su Google Translate.

“C'è stata una rapina e hanno ucciso un uomo. L’uomo aveva rubato molte sterline,” mi ha detto tramite il computer. “I cambiavalute hanno l'obbligo di informare la polizia quando qualcuno arriva e chiede di farsi cambiare delle sterline.”

Un consiglio per i turisti: se avete intenzione di andare in Transnistria, prima di farlo procuratevi dei rubli e fatevi cambiare quelli.

La polizia mi ha chiesto di scrivere tutto ciò che avevo fatto il sei luglio. Mi hanno anche chiesto di spiegare come fossi entrato in possesso delle sterline che avevo tentato di farmi cambiare. Google Translate ha tradotto le mie risposte in russo e io ho firmato il verbale.

Quando abbiamo finito, un agente mi ha condotto al piano di sotto, fino a una porta che dava sulla strada. Mi ha stretto la mano, mi ha sorriso e mi ha detto: “Libertà.”