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L'operazione è riuscita, ma il paziente è andato

L'Assemblea Nazionale del PD non è la nostra assemblea ideale.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
assemblea nazionale pd 2013

Sono circa le dieci di mattina e fuori dal padiglione 10 della Nuova Fiera di Roma non ci sono né ghigliottine intrise di sangue, né trincee piene di cadaveri, né le teste della Dirigenza del Partito Democratico impalate su picche medievali.

Tutte le foto di Federico Tribbioli

Eppure, stando alle cronache di qualche giorno fa, l'assemblea nazionale del Pd dell'11 maggio doveva essere la Resa Dei Conti Finale per un partito che dal 25 febbraio a oggi ha mirabilmente ridefinito il concetto di fallimento politico. Lo scorso venerdì, infatti, il deputato Pippo Civati aveva dichiarato che "se andiamo avanti così rischiamo che sabato finisca il Pd. Il primo che si alza scoppia la rissa. Se c'è il voto segreto finiamo in mano ai franchi tiratori."

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Per una settimana, mentre la base ribolliva e i circoli di OccupyPd preparavano la rivolta, il Pd si è prodotto in un'altra manifestazione d'impotenza persino sulla scelta del "reggente esperto", ossia la figura deputata a "traghettare" quello che rimane del centrosinistra fino al prossimo congresso.

I primi nomi in circolazione sono stati quelli di Gianni Cuperlo (indicato da D'Alema) e Guglielmo Epifani, ex sindacalista della Cgil di fede bersaniana. Le candidature, però, erano state immediatamente bruciate e annullate dai veti incrociati degli stessi D'Alema e Bersani. Poi—in un'autentica gangbang depressiva che aumentava d'intensità di ora in ora—erano spuntati Anna Finocchiaro, Roberto Speranza (capogruppo del Pd alla Camera, 34 anni, bersaniano), Nicola Zingaretti, Vannino Chiti e addirittura Piero Fassino. Il pomeriggio del 10 maggio, l'Apparato (Letta-Franceschini-Bersani) era tornato sui suoi passi e aveva trovato l'intesa su Epifani – una figura indubbiamente grigia, ma perfettamente a suo agio nelle logiche da apparatčik che stanno devastando il partito.

È proprio Guglielmo Epifani uno dei primi leader ad arrivare all'assemblea. Non appena se ne intravedono i contorni in lontananza, i cronisti e i militanti di OccupyPd si lanciano all'inseguimento. Quest'ultimi indossano tutti una maglietta con la scritta "Siamo più di 101" (il riferimento è al numero esatto dei deputati che non hanno votato Prodi durante l'elezione del Presidente della Repubblica). Epifani viene sommerso da telecamere e microfoni e riemerge dopo qualche minuto. "Gliel'ho data la maglietta di OccupyPd a Epifani, gliel'ho data!" esclama trionfante un militante di mezza età. Altri stendono uno striscione che recita: "101 volte ci avete fatto vergognare". Una ragazza mi passa un volantino. Leggo: "Noi di OccupyPd prendiamo atto della scelta di dar vita a un Governo Politico col Pdl. Tale scelta è stata compiuta con un'eccessiva fretta e arrendevolezza." Seguono proposte: "Reset della dirigenza" a livello nazionale e locale; "congresso aperto"; più "inclusività"; infine, "chiarezza" sui "tempi" e "le modalità" dell'accordo con il Pdl.

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Improvvisamente si materializza Stefano Fassina, responsabile economico del Pd e Uomo Politico Più Odiato Sull'Internet dopo Giovanardi e Daniela Santanchè. Gli OccupyPd lo circondano; Fassina non si sottrae al confronto e parte subito con una ficcante rassicurazione: "Lo sappiamo che non è un governo di cambiamento. Non ce l'abbiamo fatta." Un militante gli urla dietro: "Sta vincendo la P2 e voi non ve ne state accorgendo, vi stanno usando!" Fassina continua a parlare e promette che "non ci saranno leggi ad personam con il governo Letta." Un altro OccupyPd gli dice: "Avete portato indietro le lancette della Storia, caro Fassina." La discussione finisce con Fassina che dice: "Il PD siete voi." Risposta dei manifestanti: "Infatti siamo fuori."

Sul prato di fronte all'ingresso scambio due parole con Iaia Calvio, sindaco di Orta Nova (comune di 17mila abitanti in provincia di Foggia). Indossa la maglietta di OccupyPD ma dice di non appartenere al movimento; ne condivide comunque tutti i punti. "Il partito deve cambiare il senso di marcia e i contenuti. Bisogna resettare la classe dirigente." Il disastro a livello nazionale, argomenta Calvio, ha delle enormi ripercussioni sugli amministratori locali, che hanno ancora una credibilità presso la popolazione e si sentono abbandonati dal vertice. "Sono stati due mesi complicati anche sul piano emotivo. Io alle primarie avevo votato Bersani, avevo votato un progetto." Ora, dice il sindaco, "servono risposte". E serve conoscere il nome dei 101 "traditori" che hanno bruciato Prodi lo scorso 19 aprile. "Vorrei conoscerli. Vorrei guardarli in faccia e dire loro: 'siete dei vigliacchi'."

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Mi avvicino a un altro militante di OccupyPD. Sulla maglietta ha attaccato un adesivo con la faccia di Lupi e lo slogan "Non col mio voto." Si chiama Andrea, viene da Catanzaro ed è parecchio incazzato. "Ci siamo dimenticati della nostra popolazione," esordisce. La nomina di Epifani non lo entusiasma affatto: "Non è l'immagine del rinnovamento che chiediamo." Quando gli chiedo un parere sul governo Letta, Andrea sospira e scuote la testa: "Stenderei un velo pietoso. Provo una delusione enorme, e una rabbia rivolta anche nei confronti del Pd che ha totalmente ceduto al ricatto berlusconiano."

Antonella Pepe, segretaria dei Giovani Democratici di Napoli, mi spiega che "OccupyPd è stato un momento che ha visto tanti ragazzi—ragazzi che avevano fatto la campagna elettorale, che si erano spesi per il governo di cambiamento—non capire quello che stava accadendo e sentire l'esigenza di stare insieme e di discutere con delle assemblee permanenti." Tuttavia, come dice Antonella, c'è stato qualcuno all'interno del partito che "ha pensato di strumentalizzare questa manifestazione, questa spontaneità. Noi abbiamo certificato il fallimento di un gruppo dirigente. Ma da qui a pensare che OccupyPd potesse diventare un soggetto politico è abbastanza ridicolo. Quello che è nato sui territori non può essere preso e spostato a livello nazionale in questo modo."

L'atmosfera all'interno della Fiera è calma solo in superficie; in realtà è nervosa, incerta. Il neon fa risaltare le facce lunghe dei delegati e gli sguardi torvi. La sensazione è che tutti tengano nelle tasche delle giacche un pugnale pronto a essere usato per ogni evenienza. Pierluigi Bersani—che appare davvero stremato e lugubre—ha iniziato da poco il suo intervento e parla con il tono di uno che è stato seviziato per 15 anni consecutivi nella cantina del vicino: "Ricominciamo da oggi senza astio, senza recriminazioni, senza personalismi, senza faziosità. Da capitano e da mozzo io lavorerò insieme a tutti voi perché la nave prenda la giusta rotta." Poi cita "una delle leggi della politica": "si vince assieme e si perde da soli."

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La liturgia funebre su sfondo verde-bile prosegue con il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca: "Devo dirvi con molta sincerità che faccio fatica anche a trovare le parole adatte a esprimere il senso di umiliazione che io ho provato questa settimana. Il senso di vergogna profonda. È stato un periodo terribile, non avrei mai immaginato che la nostra organizzazione potesse ridursi in questo stato." Il prodiano Sandro Gozi, invece, ravviva la mattinata con una dose di frizzante allegria: "Il 19 aprile il Pd si è suicidato." Verso mezzogiorno parla Matteo Renzi—che poco prima era stato braccato in bagno da un nutrito nugolo di giornalisti—e si limita a ripetere le centinaia d'interviste rilasciate nell'ultimo periodo. Prima di pranzo parlano Pippo Civati ("i problemi non si superano tirando una riga sopra la storia recente") e Rosy Bindi, che annuncia di essere "tornata" (come se ne fosse veramente andata). È troppo: decido di uscire fuori dalla sala stampa per prendere una boccata d'aria.

Nel corridoio intervisto Paolo Cosseddu, autore del blog Popolino e collaboratore di Civati. Per lui, la nomina di Epifani "non era quello che speravamo, nel senso che Epifani è esattamente Bersani. Forse se ci tenevamo Bersani evitavamo un mese di balletti incomprensibili." Si tratta quindi di una "scelta in continuità con lo schema precedente, la fine di un piano diabolico che è iniziato con il siluramento di Prodi, è proseguito con le dimissioni di Bersani, l'elezione di Napolitano e la creazione del governo Letta." Secondo Cosseddu, la brillante soluzione istituzionale escogitata dall'ex segreteria non ha fatto altro che "consegnare a Berlusconi la golden share del governo: ora Berlusconi sta costruendo il proiettile per uccidere questo governo e lo sparerà nel momento in cui gli tornerà più utile farlo—come ha sempre fatto, tra l'altro."

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Poco dopo le due, una volta partite le votazioni, sale sul palco Guglielmo Epifani, rimasto l'unico candidato in corsa. Il nuovo segretario non si capacita della batosta subita il 25 febbraio, dal momento che "la nostra offerta politica era di gran lunga la migliore." Ad ogni modo, riferendosi al nuovo esecutivo, dice che "non c'erano alternative a sostenere questo governo." Anche perché "stiamo per toccare il fondo e nessuno si può chiamare fuori dalle responsabilità. Nessuna autoindulgenza." Già.

In sala stampa si ascolta il discorso di Epifani con la stessa attenzione con cui al liceo si seguivano le materie della sesta ora: in atroce attesa del suono liberatorio della campanella.

Gli interventi si trascinano stancamente fino alle quattro di pomeriggio inoltrate. Laura Puppato – che poche ore prima aveva presentato un documento per una gestione "alternativa" del Pd—infila un lapsus micidiale e parla di "Governo D'Alema". Non appena glielo fanno notare si corregge e rilancia: "Pensavo ai 101 traditori." Sarà il momento più avvincente dell'intera giornata.

L'interminabile sequela d'interventi è chiusa dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, più o meno nello stesso momento in cui Silvio Berlusconi in piazza a Brescia sta massacrando i giudici e demolendo l'architrave concettuale del nuovo governo—l'assurda, sbandierata "pacificazione nazionale". "Sono qui oggi con profonda emozione, sono qui a dire quanto l'eccezionalità di questo momento la sento profondamente su queste spalle. Questo non è il governo per il quale ho lottato," dice Letta con piglio sofferto. Poi aggiunge, ma ironicamente, quello che pensano milioni di italiani: "Non è il mio governo ideale, e non è nemmeno il mio presidente del Consiglio ideale." Applausi in sala.

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Finalmente arrivano i risultati della votazione. Epifani è eletto segretario con 458 voti favorevoli in un'assemblea di mille componenti (mancano però circa 400 delegati); tra schede nulle e bianche, sono 135 i delegati che non sono stati d'accordo sul nome dell'ex sindacalista. Insomma: non è stata un'acclamazione, come hanno cercato di spacciarla fin da subito. Anzi, è stata la dimostrazione (se ne servisse un'altra) di come le faide interne al Pd siano giunte a uno stadio conclamato, per non dire irreversibile. L'assemblea nazionale è stata una grande prova tecnica di accoltellamento, un rituale vuoto e una cronica rimozione collettiva delle cause che stanno portando la sinistra italiana all'estinzione.

Se si guardano i dati elettorali—dati con cui il Pd non si è mai voluto confrontare seriamente—ci si accorge che la coalizione di Bersani non solo ha fatto peggio di Veltroni nel 2008, ma persino della "gioiosa macchina da guerra" di Ochetto (32,75 percento) nel 1994, agli albori della Seconda Repubblica. L'erosione del consenso, inoltre, ha riguardato soprattutto le regioni "rosse", con crolli vertiginosi nelle Marche (-11,97 percento) e in Umbria (-10,05 percento). A ciò si aggiunge l'invecchiamento anagrafico del suo elettorato, recentemente rilevato dall'Ipsos: la metà è composto da persone al di sopra dei 55 anni (tra quelle oltre i 65 anni la percentuale arriva al 32 percento). In poche parole, una buona fetta dell'elettorato Pd potrebbe non arrivare vivo alle prossime elezioni—esattamente come lo stesso Partito Democratico.

Ci sono diversi modi di leggere quello che è successo l'11 maggio alla Fiera di Roma. Uno è considerare l'assemblea—come hanno fatto Fassina e i giornali d'area—come un "punto di ripartenza". Un altro è tracciare un paragone con il film The Others, come ha fatto il responsabile della comunicazione del Pd di Napoli Francesco Nicodemo: "Siamo chiusi in una casa, senza osmosi con l'esterno, temiamo di essere circondati da fantasmi, ma non realizziamo che i fantasmi siamo noi. Dopo l'assemblea di oggi, questa impressione è sempre più drammaticamente reale."

Ma probabilmente il modo migliore di descrivere la nomina di Epifani—nonché l'attuale fase del Pd e tutto quello che l'ha preceduta—viene da una frase che ho captato mentre stavo uscendo dalla Fiera: "L'operazione è riuscita, ma il paziente è morto."

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