Il caso della brillante studentessa di legge che ha ucciso il suo ragazzo con una dose letale di eroina

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Il caso della brillante studentessa di legge che ha ucciso il suo ragazzo con una dose letale di eroina

Nel 1997, a Canberra, la brillante studentessa di legge Anu Singh ha drogato con del rohypnol il suo ragazzo Joe Cinque e poi gli ha iniettato eroina fino a ucciderlo. Oggi un nuovo documentario cerca di capire perché l'ha fatto.

Una delle foto più famose di Joe Cinque e Anu Singh, ricreata per il documentario Joe Cinque's Consolation. Foto per gentile concessione di Sotiris Dounoukos

In una delle poche interviste che ha rilasciato da quando è stata condannata per l'omicidio del suo fidanzato Joe Cinque nel 1997, Anu Singh ha detto che gli autori del nuovo documentario sulla vicenda non hanno mai risposto ai suoi tentativi di contattarli. Sotiris Dounoukos, il regista di Joe Cinque's Consolation, ha invece detto a VICE di non essere mai stato contattato da Singh. Si tratterebbe solo dell'ennesima bugia, l'ennesima mezza verità, l'ennesimo mistero da aggiungere alla montagna che ha costruito dal momento in cui ha ucciso Joe—drogandolo con il rohypnol e poi iniettandogli una dose dopo l'altra di eroina mentre lui giaceva privo di sensi nella casa in cui vivevano a Canberra.

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Se si vuol dar credito al resoconto del processo contro Anu Singh fatto dalla scrittrice Helen Garner nel 2004, la allora 25enne studentessa di legge era un'abilissima manipolatrice, una persona privilegiata, molto irritabile e narcisista. Spesso Anu invitava i compagni di corso a una delle cene "d'addio" in cui informava tutti i presenti (fidanzato escluso) della sua intenzione di suicidarsi e di portare Joe con lei. Aveva anche costretto i suoi ospiti a mantenere il segreto, a prestarle soldi e a venderle dell'eroina—non una sola ma più volte, anche dopo che il suo primo tentativo di uccidere Joe era fallito.

Quasi vent'anni dopo, in un'epoca in cui l'attenzione nei confronti della salute mentale è molto più alta, il giudizio pronunciato da Garner su Anu Singh sembra fin troppo impietoso. Il nuovo documentario di Sotiris Dounoukos tratta il caso in modo più delicato, chiedendosi "perché" ma cambiando anche obiettivo. Si chiede: perché nessuno ha fatto niente per fermare la ragazza, che aveva evidenti problemi mentali?

Dounoukos è stato un compagno di università di Anu Singh. "Ho studiato alla Australian National University, ero allo stesso anno di Anu Singh e di molte persone che sono citate nel libro di Helen [Garner]," racconta. "Con quelle persone ci sei andato all'università, ma è una cosa così sconvolgente che non puoi non chiederti, 'Com'è potuto accadere?' Anche se conosci le persone coinvolte, stiamo pur sempre parlando di un omicidio—di una vita che è stata spazzata via dalla faccia della Terra."

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Nel documentario di Dounoukos, uscito in Australia lo scorso 13 ottobre, gli invitati alle "cene d'addio" di Anu Singh non sono solo dei testimoni sentiti dalla corte—sono personaggi complessi, esseri umani che non sono intervenuti quando avrebbero dovuto. Ho chiesto a Dounoukos se avendo vissuto così da vicino quest'evento terribile si fosse mai chiesto cosa avrebbe fatto se avesse incrociato Anu e la sua amica Madhavi Rao, che giravano in macchina per le strade di Canberra in cerca di persone da invitare alle loro macabre cene.

"Credo che uno dei maggiori talenti di Anu e Madhavi fosse l'abilità di scegliere sempre persone che potevano più o meno controllare," mi ha detto, spiegandomi che le ragazze invitavano studenti fuorisede o stranieri—persone che non conoscevano molta gente in Australia. "Erano tutti studenti che vivevano lontano da casa e che quindi erano più facili da tirare in mezzo, e allo stesso tempo non erano tanto coinvolti nella vita quotidiana delle persone intorno a loro," ha continuato Dounoukos.

Madhavi Rao (a sinistra) e Anu Singh in Joe Cinque's Consolation. Foto per gentile concessione di Dounoukos

L'effetto spettatore ha un ruolo molto rilevante nella morte di Joe Cinque. È un concetto ben noto in psicologia sociale, usato per descrivere il fenomeno per cui maggiore è il numero delle persone che assistono a una richiesta d'aiuto minori saranno le probabilità che una di loro aiuterà effettivamente. "Uno dei punti su cui si concentra il film è la differenza che passa tra l'assistere e l'essere testimoni," mi ha spiegato Dounoukos. "E i pericoli che sorgono quando le persone rimangono semplici spettatori delle cose che succedono intorno a loro, trattandole come se non li riguardassero."

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"Loro partecipavano a queste cene e dentro di sé pensavano, Questa cosa non mi riguarda. Eppure il fatto di avere un pubblico motivava Anu. Per un narcisista, avere un pubblico è necessario quanto respirare."

Ma la visione del documentario non risponde del tutto alla fatidica domanda: Anu avrebbe fatto quello che ha fatto anche se non avesse avuto un pubblico? La studentessa soffriva di manie di persecuzione e credeva che una malattia misteriosa stesse consumando i suoi muscoli. In più si era anche convinta che Joe, che secondo tutti era un fidanzato modello, l'avesse avvelenata con lo sciroppo di ipecac, un medicina per la tosse dagli effetti emetici. Aveva detto ai suoi commensali che per punizione avrebbe dovuto ucciderlo. Secondo alcuni testimoni Joe non sopportava più Anu e stava per lasciarla, e questo l'avrebbe spinta ad agire.

Ma era incapace di intendere e di volere oppure sapeva quello che stava facendo? Sia Garner che Dounoukos ritornano sulla telefonata ai soccorsi fatta da Anu Singh verso mezzogiorno del 26 ottobre 1997—il giorno dopo il secondo tentativo di uccidere Joe.

"Potete mandare un'ambulanza?… C'è una persona in probabile overdose da eroina," dice nella telefonata. "Probabile overdose?" chiede l'operatore. "Sì, sta vomitando sangue, ovunque… è un brutto segno, vero?" chiede ancora lei. Singh aveva passato tutta la mattina e buona parte della notte precedente a osservare Joe Cinque peggiorare a poco a poco—era rimasta accanto al suo letto mentre il respiro rallentava e le sua labbra diventavano blu. La telefonata dura 20 minuti, durante i quali l'operatore cerca di farsi dire da Anu l'indirizzo. È per metà caos e per metà calcolo.

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All'inizio Anu Singh era stata accusata di omicidio colposo, ma poi è stata condannata solo per omicidio preterintenzionale. Alcuni esperti chiamati a testimoniare durante il processo hanno sostenuto che soffrisse di disturbo borderline della personalità, il che le è valso una pena più lieve. Per la morte di Joe Cinque, ha scontato solo quattro dei dieci anni previsti dalla sentenza. In carcere ha conseguito un dottorato di ricerca e pubblicato una tesi sui crimini violenti commessi dalle donne. La famiglia di Joe non l'ha mai perdonata.

Nel 2004, tre anni prima che Singh tornasse in libertà, Helen Garner ha detto in un'intervista che il movente dell'omicidio la lascia tuttora perplessa. "Non capisco perché l'abbia fatto," ha detto la scrittrice, che nel 1999 ha passato diversi mesi a seguire il processo. "Penso che si possa empatizzare solo fino a un certo punto." Anche la stessa Anu Singh, ripensando al suo crimine 20 anni dopo, è arrivata a conclusioni simili. "Non capisco neanch'io… Non stavo bene di testa, e continuo a ripensarci. Continuo a chiedermi il perché," ha detto in un'intervista. "Non lo so. Non c'è una spiegazione razionale."

Lo stesso Sotiris Dounoukos, anche dopo aver girato il documentario, non sa dire perché la sua ex compagna di corso abbia fatto quello che ha fatto e perché nessuno l'abbia fermata. Ma afferma che nonostante il periodo di riabilitazione, le manie di controllo di Singh non sono sparite—tanto che la donna ha sempre impedito ai produttori del documentario di accedere alle prove del caso.

"Non ci ha permesso di accedere a nessuna delle prove su cui detiene diritti di qualche tipo. Così come ha scelto di non collaborare al libro sul caso, nonostante Helen Garner abbia fatto diversi tentativi di intervistarla," ha detto Dounoukos. "Così come anche durante il processo non ha mai voluto parlare come testimone. È sempre rimasta in silenzio."

"Dato che è solo colpa sua se Joe non può parlare di questa vicenda, volevamo evitare che potesse farlo lei dopo tutti questi anni. Ha avuto il tempo di riflettere su quello che ha fatto. Ma con il film non volevamo parlare delle sue riflessioni e delle conclusioni a cui è arrivata. Eravamo più interessati a quello che ha fatto."

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