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Foto di animali che mangiano altri animali

Food Chain è un progetto fotografico che racconta il ciclo della vita. Per realizzarlo, Catherine Chalmers ha messo vicino un predatore e la sua preda e ha fotografato il seguito.

Foto per gentile concessione di Catherine Chalmers

Food Chain, l'ultimo progetto fotografico di Catherine Chalmers, racconta il ciclo della vita. Per realizzarlo, Chalmers ha messo vicino un predatore e la sua preda e ha fotografato l'inevitabile: un bruco che si fa strada all'interno di un pomodoro, una mantide religiosa che uccide un bruco e un rospo che mangia una mantide religiosa. Il suo progetto parallelo Pinkies funziona in modo simile: nella prima fotografia il soggetto è un gruppo di topi appena nati; nella successiva, uno di questi viene ingoiato da un serpente; in quella dopo, un altro viene divorato da un rospo.

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Ho parlato con lei di cosa l'ha spinta a realizzare Food Chain.

VICE: Come ti sei interessata all'argomento? Come ti è venuta l'idea di questo progetto? 
Catherine Chalmers: Avevo appena finito di lavorare a una serie in bianco e nero, Houseflies. Era il mio primo progetto fotografico—ho iniziato come pittrice—e prima di allora non avevo nemmeno mai allevato animali. Ciò che mi ha colpito è che quell'insetto, la mosca, vive una vita parallela dentro le nostre case. Il dramma della sua esistenza si svolge di fronte a noi, eppure resta lontano dai nostri sguardi. Li schiacciamo e spazziamo via i loro corpicini, ma cosa sappiamo veramente di loro?

Ho allevato centinaia di mosche, forse migliaia, e le ho fotografate. Dato che per mangiare e morire si spostavano sul fondo del terrario e dato che la mia macchina fotografica era puntata verso l'alto, non sono riuscita a fotografare due parti fondamentali della loro vita: il momento in cui mangiano e il momento in cui muoiono. Quando poi ho pensato a quale progetto avrei potuto realizzare dopo, mi sono accorta che c'erano queste due parole che mi ronzavano per la testa, e alla fine ho capito che non erano due parole accostate in modo casuale, ma due parole legate una all'altra in modo complesso e spesso violento. Sono riuscita a vederla come due facce della stessa medaglia e come un ingrediente chiave dell'ecosistema. E ho pensato, bene, ecco qui—ricreerò la catena alimentare.

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Hai avuto qualche momento di esitazione, oppure ti ci sei buttata a capofitto? Immagino che almeno all'inizio avessi qualche dubbio sul progetto, giusto? 
Ero molto turbata. Avevo davvero intenzione di allevare un animale solo per fotografarne la morte? Solo il pensiero mi rivoltava lo stomaco. Ma proprio perché ero così turbata, più pensavo alla cosa più capivo quanto fosse potente. Com'è possibile—e non è per forza un male—che una persona possa essere così insensibile riguardo al ciclo della vita?

Questo ci porta alla mia prossima domanda. Che tipo di reazioni ti aspetti dagli spettatori? O meglio, che tipo di reazioni vorresti suscitare?
Le reazioni che le persone potrebbero o dovrebbero avere non fanno parte del mio lavoro. Le arti visive sono uno strumento che utilizzo per approfondire le cose che mi interessano, e a questo scopo sfrutto qualsiasi mezzo faccia al caso mio. L'opera che ne risulta è solo il frutto della mia ricerca. Sarebbe un bel risultato se il mio lavoro potesse funzionare come una torcia che illumina quello che io ritengo importante. I miei interessi derivano dal mondo in cui vivo. Duecento anni fa, forse meno, la gente si procurava da sé buona parte del cibo che consumava. C'era una connessione molto forte col ciclo della natura. Per loro, la catena alimentare era un'ovvietà, non c'era bisogno di renderla l'oggetto di un'opera d'arte.

È un argomento interessante. 
Oggi, la maggior parte di noi vive in città, e l'unica connessione che abbiamo con la catena alimentare è il supermercato. Oggi, quando natura e cultura si incontrano, spesso non generano che paura e confusione. Per esempio, senza gli insetti saremmo tutti morti. Le piante non verrebbero impollinate, il terreno marcirebbe e l'intero ecosistema collasserebbe nel giro di pochi mesi. E come li ripaghiamo per questo loro ruolo fondamentale? Odiandoli.

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Da parte mia, mi dichiaro colpevole di aver paura dei ragni. Quindi in quest'opera cerchi di farci cambiare opinione sugli insetti?
Il mio lavoro vuole dare forma alla brutalità e all'indifferenza che spesso caratterizza i nostri rapporti con gli animali. Il mio desiderio più grande è dare più rilevanza possibile al mondo non-umano.

Quanto tempo ci è voluto per scattare ogni foto di Food Chain? Quanti insetti e animali hai usato? 
Buona parte del tempo è stata impiegata per allevare, nutrire e pulire il mio piccolo zoo. Come in natura, avevo pochi esemplari dei grandi predatori e una vasta popolazione delle specie al gradino più basso della catena alimentare. In più, i predatori dovevano essere allevati secondo una dieta varia: la maggior parte degli insetti che ho allevato non appare nel progetto. Insomma, il problema non era tanto quanto tempo ci volesse a ottenere lo scatto giusto, anche perché era un aspetto che non avevo pianificato; piuttosto, ci sono voluti molti mesi per sincronizzare lo sviluppo delle varie specie. Ho dovuto allevare varie generazioni di bruchi prima che le uova di mantide religiosa si schiudessero. Inoltre, il rapporto tra preda e predatore può anche ribaltarsi, a seconda della taglia: una grossa mantide religiosa ha mangiato una piccola rana, e uno dei miei grossi bruchi ha ucciso una piccola mantide religiosa.

Mi chiedevo, dato che per questo progetto hai dovuto uccidere degli esseri viventi, se hai mai avuto problemi con attivisti animalisti o simili. 
Alla presentazione di un mio libro ho ricevuto delle minacce. Un'emittente locale della NPR è stata oggetto di una protesta dopo che aveva trasmesso la mia intervista a This American Life. Ho ricevuto insulti e minacce via email. Ma queste reazioni estreme provenivano da individui isolati: le associazioni animaliste sanno bene che i serpenti non mangiano tofu e che la catena alimentare fa parte della natura. Non stavo uccidendo nessuno. Stavo allevando un animale per il sostentamento dell'altro. O muore il topo, oppure muore di fame il serpente. Non c'è alternativa. Il topo vuole vivere, il serpente vuole mangiare e poi arriviamo noi con il nostro giudizio estremamente soggettivo, che spesso di questi tempi si esprime nello schierarsi dalla parte del più debole. Perché le cose dovrebbero andare come vogliamo noi? Non dobbiamo schierarci da una parte o dall'altra, dobbiamo schierarci dalla parte dell'ecosistema.

Magari è una domanda stupida, ma qual è la tua posizione sul mangiare animali? Sei vegetariana? 
Questo progetto è nato dal mio desiderio di essere più partecipe del mondo naturale. Con il tempo, mi sono interessata alla strana discrepanza che c'è tra quello che le persone sembrano voler credere avvenga in natura e quel che realmente avviene in natura. Gli esseri umani sono assassini molto efficienti, eppure rimaniamo sempre nauseati quando vediamo quel che abbiamo fatto. Io sono onnivora. Mangiare un pollo allevato in una fattoria è una cosa ecologicamente sostenibile. Ma supportare gli allevamenti industriali di polli, ad esempio, è disgustoso. Io cerco di nutrirmi in un modo che non danneggi il pianeta. Purtroppo, mangiare non è un atto innocente. Qualcosa muore perché noi possiamo vivere.

Stai lavorando a qualche altro esempio di catena alimentare?
No. Dopo Periplaneta americana ho allevato il Periplaneta americana, una blatta, per un progetto multimediale. Volevo osservare quella parte dell'essere umano che odia la natura, e ci sono poche cose più odiate delle blatte.

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