All’epoca avevo un anno e vivevo con i miei genitori a Pripyat, una cittadina ucraina a circa 100 km da Kiev. La mia sarebbe una storia come tante altre, se la città in cui vivevo non si fosse trovata a circa 3 km dalla centrale di Chernobyl. E se mio padre non avesse lavorato come ingegnere in uno dei reattori nucleari.All'epoca, il cittadino medio di Pripyat aveva circa 26 anni. Ogni singolo abitante della città—circa 50.000 persone—ha dovuto evacuare la zona nelle 36 ore successive all'esplosione del reattore 4, che durante un test è esploso rilasciando una nube radioattiva nell'atmosfera. Si tratta tutt'ora del peggior incidente nucleare della storia.
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La catastrofe mi ha cambiato la vita, così come ha cambiato la vita di migliaia di persone che vivevano lì—molte delle quali, per via degli effetti delle radiazioni, oggi non ci sono più. Tra queste c'è mio padre Constantine.Il progetto del fotografo Gerd Ludwig, The Long Shadow of Chernobyl, è il risultato di 20 anni di lavoro, nove viaggi e diverse escursioni nella zona intorno al luogo del disastro. Ho avuto la possibilità di parlare con lui delle sue foto e delle esperienze che abbiamo vissuto in quella zona.
VICE: Lavori molto nei paesi dell'ex Unione Sovietica. Da dove arriva il tuo interesse per quei luoghi?
Gerd Ludwig: Dalla mia infanzia. Durante la seconda guerra mondiale mio padre ha partecipato all'invasione dell'Unione Sovietica. È arrivato fino a Stalingrado. Quand'è tornato, le sue esperienze si sono trasformate nelle storie che mi raccontava per farmi addormentare.Crescendo, ho cominciato a fare domande. Le sue spiegazioni non mi bastavano mai, sono cresciuto con quest'incredibile senso di colpa nei confronti della Russia e delle altre repubbliche ex-sovietiche. Il mio senso di colpa era tale che, durante il mio primo incarico per Geo Magazine, in Russia, non ho scattato nessuna foto che potesse essere interpretata come una critica alla Russia—un paese che aveva sofferto terribilmente per l'invasione tedesca.
Gerd Ludwig: Dalla mia infanzia. Durante la seconda guerra mondiale mio padre ha partecipato all'invasione dell'Unione Sovietica. È arrivato fino a Stalingrado. Quand'è tornato, le sue esperienze si sono trasformate nelle storie che mi raccontava per farmi addormentare.Crescendo, ho cominciato a fare domande. Le sue spiegazioni non mi bastavano mai, sono cresciuto con quest'incredibile senso di colpa nei confronti della Russia e delle altre repubbliche ex-sovietiche. Il mio senso di colpa era tale che, durante il mio primo incarico per Geo Magazine, in Russia, non ho scattato nessuna foto che potesse essere interpretata come una critica alla Russia—un paese che aveva sofferto terribilmente per l'invasione tedesca.
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Come sei finito a fotografare Chernobyl?
Il secondo lavoro importante che ho fatto è stato per National Geographic, nel 1993—sull'inquinamento nelle repubbliche post-sovietiche. È stato allora che ho sentito il bisogno di includere Chernobyl. Doveva essere solo una piccola parte del progetto, ma alla fine è diventata una storia a sé. Ci ho messo 11 anni a convincermi a farlo. Sono tornato nel 2005, nel 2011 e poi nel 2013 per un periodo di tempo più lungo. Ho fotografato le vittime, la città fantasma di Pripyat, la zona di alienazione, il reattore e le aree colpite dalla radioattività, sia in Bielorussia che in Ucraina.
Il secondo lavoro importante che ho fatto è stato per National Geographic, nel 1993—sull'inquinamento nelle repubbliche post-sovietiche. È stato allora che ho sentito il bisogno di includere Chernobyl. Doveva essere solo una piccola parte del progetto, ma alla fine è diventata una storia a sé. Ci ho messo 11 anni a convincermi a farlo. Sono tornato nel 2005, nel 2011 e poi nel 2013 per un periodo di tempo più lungo. Ho fotografato le vittime, la città fantasma di Pripyat, la zona di alienazione, il reattore e le aree colpite dalla radioattività, sia in Bielorussia che in Ucraina.
Io stessa ho visitato Chernobyl in diverse occasioni. L'incidente ha cambiato profondamente le nostre vite, tutti i miei desideri e le mie passioni sono il risultato di quello che è successo a Chernobyl. A volte mi chiedo come sarebbe la mia vita se non ci fosse stato quell'incidente. Probabilmente vivrei ancora là, avrei un marito e un paio di bambini e magari sarei un fisico nucleare.
Quindi tu eri lì quando è successo tutto?Sì, vivevamo a Pripyat e mio padre lavorava nel reattore 2. La notte dell'incidente era al lavoro. I suoi amici stavano lavorando nella stanza di controllo del reattore 4. Finito il turno di lavoro, mio padre ha chiamato mia madre e le ha detto di chiudere le finestre e di non uscire; non poteva dirle perché. So che hanno dovuto firmare una specie di patto di segretezza. Mia madre mi ha detto che quel giorno le sue amiche sono andate al mare nonostante lei glielo avesse sconsigliato: non avevano idea di essere in pericolo. Avevi paura la prima volta che sei andato là?
Per il mio primo viaggio ho fatto circa quattro settimane di preparazione. Avevo delle protezioni, un contatore Geiger, e poi maschere anti gas, dosimetri, copriscarponi e tute. Nonostante ciò, quando sono arrivato a Chernobyl gli agenti di polizia mi hanno chiesto di non indossare niente di tutto ciò per non spaventare le persone che lavoravano lì senza equipaggiamenti.
Quindi tu eri lì quando è successo tutto?Sì, vivevamo a Pripyat e mio padre lavorava nel reattore 2. La notte dell'incidente era al lavoro. I suoi amici stavano lavorando nella stanza di controllo del reattore 4. Finito il turno di lavoro, mio padre ha chiamato mia madre e le ha detto di chiudere le finestre e di non uscire; non poteva dirle perché. So che hanno dovuto firmare una specie di patto di segretezza. Mia madre mi ha detto che quel giorno le sue amiche sono andate al mare nonostante lei glielo avesse sconsigliato: non avevano idea di essere in pericolo. Avevi paura la prima volta che sei andato là?
Per il mio primo viaggio ho fatto circa quattro settimane di preparazione. Avevo delle protezioni, un contatore Geiger, e poi maschere anti gas, dosimetri, copriscarponi e tute. Nonostante ciò, quando sono arrivato a Chernobyl gli agenti di polizia mi hanno chiesto di non indossare niente di tutto ciò per non spaventare le persone che lavoravano lì senza equipaggiamenti.
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Quando ho visitato il cimitero di Pripyat—un'area altamente contaminata—non indossavo gli indumenti protettivi. Come fotografo, ti muovi su un filo molto sottile: per fare il tuo lavoro hai bisogno che gli altri collaborino. A Chernobyl ho mangiato uova, pesce, e patate prodotte nella zona contaminata. Ero preoccupato, ma non spaventato.Pensi che delle buone fotografie valgano questi rischi?
Come giornalisti, spesso ci mettiamo in situazioni potenzialmente pericolose. Ma lo facciamo per le vittime innocenti—per raccontare le loro storie, storie che altrimenti nessuno conoscerebbe. Lo facciamo per stare con queste persone, mangiare e bere con loro significa ascoltare il loro dolore e vedere le loro anime.
Come giornalisti, spesso ci mettiamo in situazioni potenzialmente pericolose. Ma lo facciamo per le vittime innocenti—per raccontare le loro storie, storie che altrimenti nessuno conoscerebbe. Lo facciamo per stare con queste persone, mangiare e bere con loro significa ascoltare il loro dolore e vedere le loro anime.
Qualcuno ha mai avuto un atteggiamento ostile nei tuoi confronti?
Troverai sempre qualcuno che ti è ostile. In generale, le persone che ho fotografato mi erano riconoscenti. Quando lavoro per National Geographic non sto sul posto solo qualche ora. Non mi presento come un corpo con una telecamera al posto della testa. Per prima cosa, cerco di conoscere chi ho davanti. Solo dopo averci parlato e aver spiegato chi sono mi aspetto che si aprano. Devo essere consapevole che puntando la macchina fotografica verso qualcuno che soffre accresco la sua sofferenza, rendo i suoi ricordi più dolorosi.Probabilmente le fotografie che mi hanno colpito di più sono quelle dei bambini disabili.
Le conseguenze dell'incidente di Chernobyl sulla salute sono oggetto di grande dibattito all'interno della comunità scientifica. Ma ci sono delle statistiche incontestabili—ad esempio, l'incidenza del cancro e della leucemia, che in quella zona è molto più alta del normale.
Troverai sempre qualcuno che ti è ostile. In generale, le persone che ho fotografato mi erano riconoscenti. Quando lavoro per National Geographic non sto sul posto solo qualche ora. Non mi presento come un corpo con una telecamera al posto della testa. Per prima cosa, cerco di conoscere chi ho davanti. Solo dopo averci parlato e aver spiegato chi sono mi aspetto che si aprano. Devo essere consapevole che puntando la macchina fotografica verso qualcuno che soffre accresco la sua sofferenza, rendo i suoi ricordi più dolorosi.Probabilmente le fotografie che mi hanno colpito di più sono quelle dei bambini disabili.
Le conseguenze dell'incidente di Chernobyl sulla salute sono oggetto di grande dibattito all'interno della comunità scientifica. Ma ci sono delle statistiche incontestabili—ad esempio, l'incidenza del cancro e della leucemia, che in quella zona è molto più alta del normale.
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Qual è l'esperienza che più ti ha colpito?
Nel 2005 sono riuscito a entrare nel reattore 4, molto più in là di quanto si siano spinti gli altri fotografi occidentali. Ho fotografato delle aree in cui gli operai potevano lavorare solo un quarto d'ora al giorno—pur indossando tutti gli indumenti di protezione del caso. Nel 2013 sono tornato in quel reattore e sono riuscito a spingermi ancora più in là.Ho potuto scattare solo qualche foto al volo prima che mi trascinassero fuori, ma sono comunque riuscito a immortalare un orologio appeso al muro. Era fermo all'1:23—il momento in cui il reattore è esploso e il tempo a Chernobyl si è fermato.
Nel 2005 sono riuscito a entrare nel reattore 4, molto più in là di quanto si siano spinti gli altri fotografi occidentali. Ho fotografato delle aree in cui gli operai potevano lavorare solo un quarto d'ora al giorno—pur indossando tutti gli indumenti di protezione del caso. Nel 2013 sono tornato in quel reattore e sono riuscito a spingermi ancora più in là.Ho potuto scattare solo qualche foto al volo prima che mi trascinassero fuori, ma sono comunque riuscito a immortalare un orologio appeso al muro. Era fermo all'1:23—il momento in cui il reattore è esploso e il tempo a Chernobyl si è fermato.
Cosa pensi dell'energia nucleare e cosa vuoi comunicare alle persone con le tue foto?
Non mi piace dare una definizione precisa del mio lavoro, né appuntarmi alla giacca una spilla da anti-nuclearista—la gente dà per scontato che io abbia dei pregiudizi. Io voglio che le mie foto parlino da sole. Fotografo quello che vedo e voglio che la gente che guarda le mie foto tragga le sue conclusioni. Ma guardando le mie foto non credo che qualcuno posso considerare completamente sicura l'energia nucleare.Stai pensando di ritornare a Chernobyl o per te è un capitolo chiuso? E cosa ne pensi degli altri incidenti nucleari, come quello di Fukushima?
Non ho in progetto di andare a Fukushima. Non intendo correre dietro a ogni disastro nucleare. Comunque sia, sto pensando di pubblicare un altro libro su Chernobyl, in occasione del trentesimo anniversario del disastro—una raccolta di ritratti delle persone ancora vive. Iil mio lavoro là non è ancora finito. Il libro attuale è una pausa, che mi consente di guardarmi indietro per poi andare avanti.
Non mi piace dare una definizione precisa del mio lavoro, né appuntarmi alla giacca una spilla da anti-nuclearista—la gente dà per scontato che io abbia dei pregiudizi. Io voglio che le mie foto parlino da sole. Fotografo quello che vedo e voglio che la gente che guarda le mie foto tragga le sue conclusioni. Ma guardando le mie foto non credo che qualcuno posso considerare completamente sicura l'energia nucleare.Stai pensando di ritornare a Chernobyl o per te è un capitolo chiuso? E cosa ne pensi degli altri incidenti nucleari, come quello di Fukushima?
Non ho in progetto di andare a Fukushima. Non intendo correre dietro a ogni disastro nucleare. Comunque sia, sto pensando di pubblicare un altro libro su Chernobyl, in occasione del trentesimo anniversario del disastro—una raccolta di ritratti delle persone ancora vive. Iil mio lavoro là non è ancora finito. Il libro attuale è una pausa, che mi consente di guardarmi indietro per poi andare avanti.
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Per vedere altri lavori di Gerd Ludwig e comprare una copia autografa del suo libro, The Long Shadow of Chernobyl, visita il suo sito. Seguilo su Instagram.Qui sotto, altre sue foto.
The Long Shadow of Chernobyl(Der Lange Schatten von Tschernobyl – L'ombre de Tchernobyl)Con un saggio di Mikhail Gorbachev29 x 31 cm, 252 pagine, 127 fotografieDisponibile in inglese, tedesco e franceseEdito da Edition Lammerhuber, Baden, AustriaISBN 978-3-901753-66-4