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A noi del Gangnam Style non ce ne frega un cazzo

Perché gli insulti a Psy durante il derby di Roma sono stati una grande prova di civiltà.

Foto e video di Niccolò Berretta.

Domenica a Roma si è disputato il derby più "audace e pericoloso" d’Italia. Dopo una settimana di bombardamento giornalistico che invece di calmare le acque ha furbescamente avuto l’effetto contrario, siamo andati a seguire la partita tra Lazio e Roma pronti ad assistere a una mattanza senza precedenti. Quella cui abbiamo assistito è stata invece “una grande prova di civiltà”, non perché si siano evitati gli incidenti, ma perché PSY è stato riempito di insulti.

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Tre giorni prima del Derby, a Trigoria, dove si allena la Roma, è spuntato uno striscione degli ultras che indicava le linee guida da seguire per la finale: “O Coppa o Morto”. D’altra parte, durante l’ultima partita di campionato ne era stato srotolato un altro in cui si consigliava ai giocatori giallorossi di “vincere o scappare”.

A ventiquattrore dal calcio d’inizio c’erano state telefonate anonime a giocatori della Lazio, invitati a perdere l’incontro perché altrimenti sarebbero morti.

I giornalisti non hanno creduto ai loro occhi nel riportare la notizia del ritrovamento di un “vero e proprio arsenale” nei pressi del Ponte della Musica. Gli stessi inviati hanno riferito, in un italiano chiaramente terrorizzato, dell’“acquisto sospetto da parte di alcuni giovani presso un centro commerciale della capitale. In particolare, alcuni ragazzi, dopo aver comprato delle accette si sono recati nell’area predisposta al taglio della legna e dopo aver tagliato a metà i manici."

I vip simpatizzanti delle due squadre hanno pensato bene di tranquillizzare i tifosi con mannaie e “manici a metà” attraverso videomessaggi sul sito di Repubblica, per ricordare la bellezza della festa dello sport, forse confondendo causa doppietta di Marco Delvecchio il derby di domenica con quello del cuore del 20 maggio.

E poi lo spot di Rai Uno prima della diretta: due amichetti—uno con la maglia biancoceleste, un altro con quella giallorossa—fanno i compiti insieme, giocano a calcio sul terrazzo condominiale e vanno allo stadio sereni e cullati dall’idea di ritrovarsi all’uscita senza puncicate.

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Con un clima così teso gli organizzatori dell’evento avevano bisogno di isolare quei violenti degli ultras per non rovinare lo spettacolo in tv. “Bisognerà addomesticare quegli animali,” avranno pensato, “evitare l’irreparabile” e così hanno scelto di buttare nella mischia prima del calcio d’inizio un bel pastone coreano, non soltanto per far ballare gli amici a casa ma per provare a saziare anche i porci allo stadio.

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Prima che PSY furoreggiasse col suo singolo da due miliardi di visualizzazioni su YouTube spettinato dai fischi nessuno avrebbe mai immaginato che in quello stadio ci fossero 60mila persone cui non fotteva un cazzo del "Gangnam Style". Quello che a organizzatori e giornalisti appare assurdo e clamoroso è che durante l’esibizione di PSY, in Curva Sud ma anche tra i più moderati Distinti, ad esempio, si continuasse a pensare alla partita e a cantare un altro tormentone: “Forza Roma Alé”. Non hanno capito che la vera assurdità è stata far esibire un musicista pacchiano prima per il pubblico a casa e poi per quelli presenti all’Olimpico.

Gli stessi che hanno avuto la geniale idea di mettere la faccia di Andreotti sul maxischermo dello stadio in ricordo del “grande tifoso della Roma scomparso” hanno scelto di chiamare il "rapper" del momento, convinti che in fondo i tifosi non avessero una coscienza critica, un gusto. Così, manco fossero dei bambini piagnucolosi da sedare, gli hanno cantato la ninna nanna del "Gangnam Style" per farli stare buoni.

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L’inno di Mameli di Malika Ayane, subito dopo il concerto di fischi a PSY, ha sottolineato ancora di più che far esibire una musicista da Rai Uno in uno stadio pronto a scendere giù con le spranghe per molto meno sia stata una scelta quantomeno surreale. Non è un caso che all’ultimo “siam pronti alla morte, l’Italia chiamò” la povera Malika si sia ritrovata una coda di fischi dalla Sud e dalla Nord.

Il fatto che sia accaduto l’imprevedibile durante l’esibizione canora del più triste e becero nazionalpopolarismo ha reso ancora più evidente quanto non soltanto gli organizzatori di questi eventi e i giornalisti siano lontani anni luce dall’universo degli stadi, ma anche e soprattutto che non gliene freghi nulla.

L’idea di PSY come guest star dell’incontro, la pubblicazione sui giornali di videomessaggi di Pino Insegno per tranquillizzare i facinorosi, l'aver goduto nel ritrovare accette e bastoni nei pressi dello stadio ed essersi sgolati poi con gli inviti alla calma, l'aver montato un’esagerata battaglia a Via Cavour per due parabrezza rotti, hanno da una parte isolato i tifosi e dall’altra sperato che la cosa li facesse impazzire. Così, prima gli organizzatori li hanno stuzzicati cacandogli in testa col "Gangnam Style", poi i giornalisti hanno aspettato il momento perfetto per la condanna. Stavolta però non ci sono riusciti.

Gli insulti a PSY non erano rivolti soltanto a un coreano di cui ci dimenticheremo presto l’esistenza, i fischi non erano solo per Goffredo Mameli o Giulio Andreotti; erano soprattutto contro l’idea disumana che in Italia i tifosi siano tutti dei merdosi senza cervello che non hanno il diritto di scegliere quello che vogliono vedere neanche a casa loro.

Segui Matteo su Twitter: @stai_zitta