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Perché il ritorno di Twin Peaks mi mette in ansia

Se, come me, avete iniziato a vedere Twin Peaks quando eravate degli adolescenti, l'annuncio dei nuovi episodi è la promessa di una nuova vita insieme, in un momento in cui siamo nella condizione per godercela appieno.

La cosa è successa. Twin Peaks esisterà di nuovo nel 2016. E per chi ha imparato a usare Twin Peaks come termine di paragone per qualsiasi cosa abbia a che fare con felicità e immagini in movimento, si preannuncia come il viaggio di nozze di una generazione (la nostra, direi) e della sua (auto)formazione estetico-culturale. Ma si sa che quando due innamorati pazzi vengono lasciati soli per la prima volta, spesso il risultato è disastroso.

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In Italia i primi a innamorarsene sono stati quelli che l'hanno visto quando andò in onda nel 1991—quando negli US, ricordiamo, il pilota venne girato nell'89, la prima serie venne trasmessa nel '90 e la seconda nel '91. All'epoca non avevo la televisione, e se l'avessi avuta, non avrei senz'altro avuto il permesso di guardarla a quell'ora. Quando recuperai per la prima volta Twin Peaks avevo quattordici anni, subivo gli ultimi strascichi d'ossessione per Kurt Cobain e leggevo Un amore dell'altro mondo di Tommaso Pincio per risolvere il devastante enigma di "perché ascoltare i Nirvana non mi emoziona più?" Pincio nominava questa Laura Palmer per contestualizzare le nebbie di Aberdeen, WA e i taglialegna per cui suonavano i Mudhoney, ma Internet non era ancora entrato prepotentemente nelle nostre vite e a scaricare una canzone con WinMix ci si metteva una settimana, figuriamoci una serie.

Alcuni anni dopo avevo sedici anni e Milano veniva cablata da Fastweb: tra un episodio e l'altro di O.C. (concedetemi questa, che in quegli anni almeno eravamo in pochi a farlo) mi ricordai di Twin-qualcosa e scaricai tutta la serie, in italiano. Prima reazione alla visione: incomprensione totale mista a paura. Praticamente il sentimento di un bambino che si affaccia alla vita. Abbandonai, annoiata dalle immagini antiquate: io volevo Marissa e il presente californiano. Due anni più tardi ero all'ultimo anno di liceo e volevo morire perché avevo la maturità ed ero la persona più infelice del mondo. Un pomeriggio riscoprii una torre di DVD impolverati e Twin Peaks mi salvò la vita. Letteralmente.

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Tutto questo per dire che non so come sia il vostro, ma il cursus honorum del fan devoto di Twin Peaks potrebbe essere molto simile al mio. A meno che non siate stati dei bambini molto precoci e/o sottoposti alla visione da qualche fratello maggiore sadico e a meno che non foste già adulti e vaccinati, l'amante di Twin Peaks se ne è appropriato quando era un adolescente onnivoro e con un senso estetico in via di sviluppo.

Innanzitutto, recuperare un prodotto culturale antico è frutto di una scelta consapevole: un giorno abbiamo investito Twin Peaks di un potenziale di interesse più o meno smisurato e la nostra curiosità è stata immensamente premiata (e quindi per una legge che non conosco del gioco d'azzardo: abbiamo rischiato poco e vinto tutto). In secondo luogo, la distanza temporale che ci separa dal momento del suo concepimento ci permette di riempire quella distanza con la totale idealizzazione di quello che è Twin Peaks. È come continuare ad amare il vostro primo amore perché con lui/lei avete trascorso le due settimane più belle della vostra vita. Poi quella stessa vita che vi aveva unito in principio, vi ha tenuto separati per anni a causa di ragioni ignote. Non vi siete mai più rivisti e ah, tra le altre cose, lui/lei ha vent'anni in più di voi. Il tempo passa, le cose si dimenticano, poi un giorno vi chiama e vi dice, ehi, sarò in città, ci prendiamo un caffè?

Apriti cielo.

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Il fatto che nel 2016 potremo vedere nove nuove puntate di Twin Peaks è proprio questo: la promessa di una nuova vita insieme, in un momento in cui abbiamo i mezzi o siamo nella condizione per godercela appieno. L'idea di poter apprezzare o guardare o semplicemente assistere live all'esistenza di Twin Peaks: ecco che cosa ci fa andare fuori di testa. Fare l'esperienza di Twin Peaks nel presente, ecco cosa vogliamo. Essere contemporanei al fenomeno per testarne la validità ed essere partecipi della sua magia in modo ingenuo e non con la consapevolezza posticcia del recupero storico-estetico-culturale a posteriori.

Fin qui, tutto bene. Ma sorvolando sul quel piccolo problemino dell'idea—amare un'idea non ti darà che dolore e frustrazione perché non corrisponderà mai, appunto, a quell'idea che altro non è se non mera autoproiezione eccetera eccetera—bisogna anche chiederci che cosa vogliamo, davvero, in Twin Peaks 3.

Alcuni suggeriscono che sì, vogliamo una terza serie di Twin Peaks, ma nel 1992. Questo potrebbe non essere del tutto sbagliato. Amiamo Twin Peaks anche—a chi dice "soprattutto" o "solamente" gli taglio la lingua—perché è un po' un oggetto da museo; ci ricorda com'era il mondo prima di diventare modernissimo e in più ce lo ricorda con i colori del cinema americano, che, ovviamente, abbellisce il tutto, lo distorce e lo ingigantisce fino all'iper-realtà. David Lynch, è chiaro, non è semplicemente "il cinema americano"—Lynch è un concetto complesso che Foster Wallace provò e in parte riuscì a definire nel 1995:

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"Descrivendo i film di Lynch si dice spesso che occupano una sorta di posizione intermedia fra il cinema d'autore e il cinema commerciale. Ma quello che occupano davvero è un terzo tipo di territorio, completamente diverso. La maggior parte dei migliori film di Lynch non hanno praticamente nessun senso, e per molti sembrano opporre resistenza al processo interpretativo attraverso il quale si comprende il senso centrale dei film (certamente di quelli d'avanguardia). Questo il critico inglese Paul Taylor sembra coglierlo bene, quando dice che i film di Lynch 'devono essere sentiti, più che spiegati.' I film di Lynch ammettono certo una varietà di interpretazioni sofisticate, ma sarebbe un grave errore dedurne che il senso dei suoi film è che 'l'interpretazione di un film è necessariamente polivalente,' o simili—i suoi non sono proprio quel tipo di film."

Però, se vogliamo una terza serie di Twin Peaks nel 1992 vediamo in qualche modo la qualità estetica e la qualità narrativa come due cose slegate e indipendenti. A mio parere questo è un proprio un brutto sbaglio; ma del resto il mondo è pieno di gente che ti dice "Sì, ma dai ammettiamolo, la storia non ha alcun senso."

La questione fa però emergere un effettivo problema strutturale. Sono passati venticinque anni. Se consideriamo la qualità estetica di Twin Peaks, allora dobbiamo anche chiederci se questa qualità ha un tempo o è intrinseca alla serie. Se ha un tempo, il rischio di fallimento 2016 è altissimo. Qui torniamo al perché Twin Peaks ci riempie di gioia e l'amiamo così tanto: la stessa persona che liquida la trama nel nome dell'inverosimiglianza probabilmente ti dirà che gli piaceva perché rappresentava/ricordava "gli anni Novanta". Ma in ogni caso è facile confondersi, perché l'amore è una cosa difficile: capire di voler sposare Twin Peaks perché a letto facciamo faville o perché ne siamo davvero innamorati, e questo è l'arduo compito che il 2016 ci prefigge.

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Ma nel frattempo, appunto, sono passati venticinque anni. Ci sono dei problemi.

Il cast principale, per grazie del Signore, è quasi intatto. Durante la festa dell'uscita del cofanetto blue ray, Lynch ha fatto una finta intervista con la famiglia Palmer: tutti in forma smagliante con Leland più top che mai.

Donna Hayward aka Lara Flynn Boyle, che era di una bellezza abbacinante, è devastata dalla chirurgia plastica, però Mädchen Amick—soprannominata "The Body" anche per quell'epica copertina di Rolling Stone—è ancora una bella sventola. Altri sono in età avanzatissima: Catherine Martell aka l'eccelsa Piper Laurie (in Carrie faceva già pratica per Lynch) ha oltre 80 anni, mentre Benjamin Horne che è Richard Beymer (storico primo bacio con la lingua della storia del cinema in Il Diario di Anna Frank, nonché "Maria Maria Mariaaa" di West Side Story) va per i 76. James e Bobby sono invecchiati ma comunque in modo tonico e sodo, mentre tutta una serie di personaggi dalle fisionomie assurde e ruoli tutt'altro che di sfondo sono quasi spariti: Andy e Lucy la centralinista, per dirne una, o Nadine con la pezza all'occhio, Hawke o Big Ed che amavo disperatamente (Norma l'ho vista in foto recentemente, sta alla grande). Il maggiore Briggs e il tenente Truman, nonostante i ruoli cruciali, non hanno poi combinato molto. La signora del ceppo vive e lotta insieme a noi ma con diversi chili di botulino in più (lei! Con i suoi biscotti e le civette! Come ha potuto). Chi anche ci è andato pesante con la chirurgia è purtroppo l'amatissimo, la colonna portante, la casa e la famiglia di Twin Peaks per ogni spettatore: l'agente Cooper. Kyle MacLachlan si è trasformato nella copia vanitosa di Pierce Brosnan e, dimentico della sua bravura, si è dedicato a serie non proprio edificanti per i ruoli maschili (tra le altre, Sex and the City e Desperate Housewives).

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La mancanza cruciale è quella di Frank Silva, un assistente scenografo che venne scoperto per caso sul set e la cui ORRENDA faccia fornì il pretesto per il personaggio di BOB. Anche se nella prima serie compare solo 40 secondi in totale, BOB è l'incarnazione del cinema lynchiano su così tanti livelli che solo all'idea di scriverne mi viene il tunnel carpale. Frank è morto nel 1995 e dunque BOB (di cui c'è un ottimo profilo qui) non ci sarà: quali conseguenze devastanti questo avrà sul seguito della storia non lo sapremo però mai. In compenso, l'adorabile nano è rimasto uguale a se stesso.

Questo è proprio il punto infatti: vogliamo che Twin Peaks rimanga uguale a se stessa o vogliamo qualcos'altro? I presupposti non sono dei più negativi ed è chiaro, il registro di classe di cui sopra—al cui appello manca un sacco di gente—ve l'abbiamo dato per titillarvi un po' le cervella, per darvi il "la" al recupero memoriale.

Lynch ha più volte addotto la sua assenza dal grande schermo non alla meditazione trascendentale o alla pittura né alla carriera musicale, ma piuttosto alla mancanza di inventiva e possibilità del cinema contemporaneo. Quando si riferisce alla televisione come luogo prescelto dalla sperimentazione d'oggi non ha tutti i torti; mi chiedo però se si renda conto di essere stato praticamente il padre di questo cambio di paradigma. Ricordiamoci che in Twin Peaks Lynch non agì da solo: rispetto ad un sequel, i più disillusi lamentano l'attuale alleanza con Showtime (che non è proprio un canale di tutto rispetto), mentre altri ricordano che la seconda serie perse qualità perché l'allora CBS non capì il tipo di materiale che aveva sotto mano e gradualmente Lynch e Mark Frost lasciarono il colpo. Già, Mark Frost. In molti confidiamo nell'unione delle due forze e un segnale forse l'ho già visto nel teaser, che si chiude con il logo della Lynch/Frost Productions—fondato per Twin Peaks e riesumato adesso per la grande occasione. Lo stesso Frost, minacciando attacchi di droni a chiunque provi a svelare la sceneggiatura su cui stanno lavorando, ha poi fatto il vago sulla partecipazione di Badalementi. Ecco, forse l'assenza di Badalamenti potrebbe davvero essere il fattore cruciale a determinare la morte o la seconda vita di Twin Peaks 2016.

Ma di nuovo, qui vi voglio. Che cosa vogliamo in Twin Peaks 2016?

Parlando della sua bevanda preferita, David Lynch ha detto: "Even bad coffee is better than no coffee at all." Credo che, con tutti i dissidi & dissensi del caso, su una cosa siamo tutti d'accordo: l'idea di poter vedere una terza serie di Twin Peaks è meglio di non vederne nessuna.

Segui Clara su Twitter: @cmirffig