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Diamoci una calmata, Roma non è diventata l'inferno in terra

I problemi a Roma ci sono e sono indubbiamente strutturali. Nessuno li nega. Ma da qui a descriverla come una specie di inferno bombardato dall'immondizia o un pezzo di terzo mondo nel cuore dell'Europa, ecco, ce ne passa.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Foto di Niccolò Berretta

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Di fianco al palazzo in cui abito a Roma—un quartiere residenziale a qualche chilometro dal centro storico—c'è un piccolo parco. Di giorno ci giocano i bambini, e i residenti portano a spasso i cani. Di notte teoricamente è chiuso, ma alcuni ragazzi del quartiere ci entrano perché qualche sbarra della recinzione è divelta. Il motivo di questa presenza è molto semplice: dal momento che nel quartiere non ci sono reali spazi di aggregazione, quei giardinetti lo sono giocoforza diventati. Nulla di preoccupante, insomma.

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Eppure, nel gruppo Facebook del quartiere, la situazione di quel parco è descritta come un Vietnam in scala ridotta. In quella "terra di nessuno," infatti, ci sono "moltissimi ragazzi urlanti e un po' 'alticci'" che disturbano la quiete; per terra c'è "un tappeto di sporcizia e bottiglie che nessuno pulisce" ed è "un letamaio ogni giorno"; e infine, chiosa un commento, nella zona in generale c'è "un degrado tale" che si avvicina addirittura "a certe zone di Roma Est." Nello stesso thread, qualcuno avanza un paio di soluzioni: per "ripulire" il parco servirebbe il "manganello," o direttamente Vladimir Putin.

Per quanto si possa trattare di un episodio piccolo e tutto sommato insignificante, queste lamentele la dicono lunga sulla percezione del degrado a Roma e su un certo tipo di ossessione per il decoro urbano che in questi giorni hanno ricevuto, a reti pressoché unificate, la loro definitiva consacrazione.

A partire dal famigerato articolo del New York Times, che ognuno ha declinato secondo il proprio gusto e la propria agenda politica, i media italiani si sono riempiti di gallerie fotografiche, video-denunce, "appelli dei vip," prese di posizione e reportage sulla "grande bruttezza" romana—scatenando un'ondata di panico morale senza precedenti.

Per rendersi conto di quanto la polemica sia sfuggita di mano basta dare un'occhiata a quello che è uscito sui principali quotidiani, trasformatisi in una specie di sezione distaccata di blog anti-degrado alla Roma fa schifo. L'altro giorno, ad esempio, il Corriere della Sera ha pubblicato le "denunce dei lettori" sul "degrado a Roma." Un lettore, dopo "aver passato circa 40 anni in giro per il mondo," dice sconsolato che "oggi Roma mi ricorda Bombay 1962." Un altro si lamenta che il Pantheon è ostaggio del "degrado imperante" e che "agli occhi dei turisti Roma non sembra essere la Capitale di un paese europeo, ma quella di un paese nord africano. " Lo sfogo è accompagnato da questa foto dell'orrore.

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Secondo i lettori del Corriere, inoltre, il "grande degrado" non risparmia nemmeno il Colosseo, assediato da una lattina e due bottigliette di plastica—fotografate in prospettiva da via limitrofa per farle sembrare molto più vicine di quanto effettivamente siano.

In tutto ciò, il cortocircuito costante tra stampa italiana e stampa straniera ha alimentato ancora di più l'isteria sul tema. Qualche giorno dopo il New York Times, il corrispondente dall'Italia di Le Monde ha scritto un articolo sul degrado a Roma, iniziando il pezzo con quello di cui si parlava nei giornali italiani. Questi ultimi, a loro volta, non si sono lasciati sfuggire l'occasione e hanno ripreso il quotidiano francese con titoli come "anche Le Monde attacca la capitale."

Risultati ancora più paradossali li ha raggiunti l'intervista del Tempo a una collaboratrice del "gruppo The Economist" che, almeno stando all'articolo, vive nella "zona Fleming," dove il massimo del degrado è la multa per il suv parcheggiato in doppia fila. Nell'articolo la corrispondente tira in ballo paragoni con il Cairo ("Sporcizia, abbandono, immondizia ovunque, addirittura cornacchie che scorazzano e fanno banchetti di piccioni nei parchi pubblici") e arriva a dire che "neanche la Grecia fallita è sporca come Roma." Il tutto viene poi ripreso da altri giornali, con il piccolo particolare che quanto detto dalla corrispondente diventa automaticamente l'opinione dell'intero Economist.

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Insomma: chi non è di Roma, o non vive a Roma, negli ultimi giorni ha una rappresentazione della città unilaterale e a dir poco spaventosa––sacchi dell'immondizia ovunque, gente che caga per strada, bande di borseggiatori che ti hanno già portato via tutto non appena scendi dal treno, gabbiani sempre più famelici e prepotenti, e così via. Ecco, è quasi sorprendente che i romani non girino per strada direttamente armati, o non usino mezzi blindati.

Tuttavia, quello che mi sto chiedendo in questi giorni è se davvero la percezione e la rappresentazione mediatica coincidano con l'effettiva realtà.

E in parte sì, concide. Roma è sporca, caotica e disorganizzata. Le municipalizzate dei trasporti versano in una condizione comatosa, i mezzi pubblici non funzionano (per una città di queste dimensioni, almeno), il divario urbanistico tra centro e periferia è spaventoso, l'amministrazione comunale è sull'orlo del collasso e Ignazio Marino è un uomo sempre più isolato e debole, sottoposto com'è alle pressioni di Matteo Renzi e all'ostilità del suo stesso partito.

Il punto è che, come tutte le metropoli moderne, la Roma odierna è irriducibile a una rappresentazione in bianco e nero—non può essere qualche bottiglia di birra abbandonata sul Gianicolo o alternativamente una scena de La grande bellezza . Questa divisione artificiosa e netta, tra l'altro, è esattamente speculare a quella tra cittadini "perbene" e "permale," che è il primo obiettivo a cui punta l'ideologia del decoro .

I problemi a Roma ci sono e sono indubbiamente strutturali. Nessuno li nega—sarebbe semplicemente disonesto farlo. Ma da qui a descriverla come una specie di inferno bombardato dall'immondizia o un pezzo di terzo mondo nel cuore dell'Europa, ecco, ce ne passa. Anche perché, come ha dimostrato l'inchiesta Mafia Capitale, ogni volta che questi problemi vengono trasformati in un'emergenza sappiamo perfettamente come va a finire.

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