Ho chiesto a un deputato del PD di convincermi a votare Sì

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La guida di VICE al referendum costituzionale

Ho chiesto a un deputato del PD di convincermi a votare Sì

Ho parlato con Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico, chiedendole di convincermi a votare per il Sì sostenuto dal suo schieramento politico. Dopodiché ho fatto lo stesso con una deputata del Movimento 5 Stelle.

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Stai per leggere la nostra intervista a un deputato per il Sì. Clicca qui per leggere la nostra intervista a un deputato per il No.

Tra pochi giorni saremo chiamati a votare per il referendum costituzionale. La riforma, nota anche come "DDL Boschi", è al centro del dibattito da mesi, ed è stata oggetto di ogni tipo di approfondimento— qui ci abbiamo provato anche noi, con VICE News. La materia piuttosto tecnica, la trasversalità delle posizioni politiche e un livello del dibattito particolarmente violento, tuttavia, non hanno contribuito a favorire una discussione abbastanza chiara sul tema. Ancora oggi il numero di indecisi, malgrado sia fisiologicamente in discesa con l'avvicinarsi del giorno del voto, continua a essere piuttosto alto (tra il 13 e il 25 percento stando agli ultimi sondaggi disponibili). E non è detto che chi ha già deciso cosa votare lo stia facendo sul tema in discussione, e non per una—seppur legittima—presa di posizione politica. Vista la confusione dentro e fuori di me, ho deciso di sentire due giovani parlamentari appartenenti ai partiti numericamente più rilevanti negli schieramenti per il Sì e per il No, rispettivamente il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Per entrambe le interviste era previsto uno stesso set di domande, in aggiunta ad altre più specifiche, attraverso le quali convincermi a votare per il loro schieramento.

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Qui sotto potete leggere l'intervista alla rappresentante del Sì, mentre qui trovate quella alla rappresentante del No.

Per il Sì ho parlato con Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico nata nel 1982, segretario della III Commissione (Affari esteri e comunitari) e componente della delegazione presso l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa.

VICE: Qual è l'argomento a prova di bomba che, in breve, useresti per convincere un indeciso a votare Sì?
Lia Quartapelle: C'è un argomento che trovo molto convincente. Penso che nessuno—tra chi conosce, chi ha avuto a che fare, e chi ha letto una legge del parlamento italiano—abbia mai pensato in vita sua che la politica stesse rispondendo in modo chiaro, tempestivo, certo alle sue esigenze.

E questo vale per la coppia che deve fare un'adozione internazionale e da anni spera in una riforma, per le famiglie che hanno bisogno di capire qualcosa sul tema dei bonus per le ristrutturazioni, per il giovane imprenditore che vuole sapere quando verrà approvata la legge sulla competitività—con norme su assicurazioni, farmacie e molto altro, ferma al Senato da 13 mesi a causa dei veti dei piccoli gruppi di interesse.

Chiunque di noi abbia avuto a che fare col sistema con cui facciamo le leggi sa bene che ci si immerge in una selva nella quale si sa come si entra e non si sa come e quando si esce. Questa riforma prova a mettere in ordine sia il modo in cui facciamo le leggi, sia il sistema con cui si ripartiscono le responsabilità tra Stato centrale e Regioni.

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Quali sono secondo te le altre due ragioni principali per votare Sì, insieme a questa?
Un altro, oltre a questo, è l'elemento della responsabilità. Molto spesso si accusa la politica di non essere responsabile: di non prendere decisioni e di non dire quando si prenderanno. Con un sistema più chiaro, senza il ping pong delle responsabilità tra Camera e Senato e i 100 casi all'anno di conflitto tra Stato e regioni che bloccano la Corte Costituzionale, diventerebbe più facile capire chi ha responsabilità di cosa, quando e perché—e io credo sia opportuno, in questa fase di crisi di sistema, ridare responsabilità alla politica.

Altro elemento, poi, è quello dell'orgoglio nazionale: c'è una crisi nera della democrazia, dentro e fuori l'Italia. L'Italia è vista come un paese incapace di cambiare. Noi abbiamo l'opportunità—il 4 dicembre—di dire che si può cambiare il modo in cui lavorano le istituzioni, che credo la maggior parte dei cittadini ritenga disfunzionali, e che il nostro paese, in una fase di crisi, sa fare le riforme.

I toni piuttosto forti della campagna, però, rischiano di aver distratto dal merito della riforma. Cosa ne pensi? Dalla parte del Sì c'è chi ha detto addirittura che il No avvantaggerebbe l'ISIS…
Secondo me ci sono due campagne in corso in questo momento: una campagna sui social e sui media, e una tra le persone. La prima è veramente brutta, in particolare per quanto riguarda gli insulti di cui ultimamente siamo oggetto: io e qualsiasi altro volontario per il Sì, quando postiamo su Facebook qualsiasi cosa, ci troviamo il commento di gente che non conosciamo che scrive "Io voto no", se non di peggio.

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Questa bassa qualità della campagna si sente. C'è anche una specie di timore, da parte delle persone, a dire che votano a favore della riforma. Il Sì è oggetto di una violenza senza precedenti.

Tra le persone invece è in corso un'altra campagna: persone che vogliono capire, che si informano, che chiedono, che leggono. Io faccio due incontri al giorno e vengono un sacco di persone con molte domande—soprattutto donne, che vogliono capire bene, che non vogliono votare per sentito dire. Sono convinta esista quest'altra campagna sotterranea nel merito, che è molto più positiva di quella che si sta svolgendo sui social.

Cosa cambia concretamente nella vita di un giovane se vota Sì, ammesso cambi qualcosa?
Prima di tutto, la politica dovrebbe produrre decisioni più tempestive a un costo inferiore: riducendo il numero dei senatori, hai una politica che funziona meglio e costa meno—ed è il tema della trasparenza.

Il secondo elemento importante per i giovani, poi, è che col Sì si apre alla partecipazione, con tutta una serie di strumenti: con una riforma dello strumento del referendum, che non è solo abrogativo ma anche consultivo e d'indirizzo, e con la riforma delle leggi di iniziativa popolare, che diventano più cogenti nell'ordinamento—150mila è un numero di firme alto ma non irraggiungibile per obbligare il Parlamento a prendere in considerazione le proposte dei cittadini.

Possono essere elementi utili ad avvicinare alla politica. Capisco però che per i giovani, in questo momento, sia difficile fidarsi.

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E concretamente, dal punto di vista della vita quotidiana, cosa cambia se vince il Sì?
Quello che cambia è l'idea di avere una politica che sa riformarsi, di avere un sistema legislativo che produce decisioni nel momento in cui c'è bisogno. Ovviamente la politica spesso non impatta in tempo brevissimo nella vita di un cittadino, però poter aver fiducia nel fatto che le istituzioni fanno il loro lavoro quando c'è bisogno secondo me aiuta ad allentare un po' questo clima di emergenza perenne che stiamo vivendo.

Davvero, sapere di avere delle istituzioni che sono capaci di cambiare, e rispondere immediatamente ai bisogni dei cittadini, secondo me un po' cambia—so che per i ragazzi della nostra età ci sono anche altri elementi, però potersi fidare un po' di più delle istituzioni secondo me significa qualcosa.

A tal proposito, stando agli ultimi sondaggi i giovani che voterebbero Sì sarebbero il 40 percento circa. Come convinceresti quelli per il No a cambiare idea?
A questi ragazzi direi che capisco che il voto ha assunto una valenza politica, e questa cosa può disturbare molto, però è anche vero che, proprio perché stiamo parlando della Costituzione, bisogna guardare al merito.

Guardando nel merito, e mettendo da parte simpatie e antipatie, questa è una proposta di cambiamento, mentre votando No si riconferma un sistema che non funziona.

Sì, chiederei ai giovani di guardare al quesito, di lasciare da parte le considerazioni di carattere politico, per evitare di essere portati in un ragionamento che ritengono di aborrire: se non vuoi dare una valenza politica al voto—e quindi se ti dà fastidio il PD o Renzi, per dire—proprio per questo, a maggior ragione, devi votare decidendo nel merito.

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Utilizzo un po' di formule: chi critica il fronte del Sì ritiene che la riforma rischi di "agevolare derive autoritarie" rafforzando l'esecutivo—specie combinando la riforma alla legge elettorale—e smontando alcuni "meccanismi di contrappeso democratico". Come si fa a non dargli ragione?
È vero, c'è questo elemento della "deriva autoritaria" per cui si ha paura che uno comandi su tutti, ed effettivamente è usato spesso. Però guardando nel merito—e quindi anche nel sistema delle garanzie che la riforma prevede—ci sono meccanismi che vanno a garanzia di un sistema complessivo, e che sono pensati proprio per questo, come la disciplina dello statuto delle opposizioni, la valutazione preventiva di costituzionalità della legge elettorale, i meccanismi rafforzati di elezione del Presidente della Repubblica, l'idea che tra Camera e Senato possano esserci delle maggioranze differenti.

Tra l'altro il tema della "deriva autoritaria" è sì usato molto, ma non ha fondamento per gli stessi esperti giuristi del fronte del No. Nell'appello dei costituzionalisti per il No, che vanno da Onida a Gallo a Flick, essi stessi dicono di non essere tra chi indica questa riforma come "l'anticamera di uno stravolgimento totale" dei principi della costituzione e di una specie di "nuovo autoritarimo."

Se poi la si butta in politica, in generale, si fa il gioco di chi—nel bene o nel male—sta personalizzando il referendum.

Cosa succede il 5 dicembre se vince il Sì?
Se vince il Sì dal punto di vista politico abbiamo due risultati: il primo è che avremo un sistema istituzionale cambiato e che funziona meglio, e il secondo elemento è che abbiamo dato un segnale in Europa che cambiare si può e che l'ha fatto l'Italia—in un momento drammatico, nel processo di integrazione europea, per il futuro dell'Europa.

Avere un paese come il nostro che dice "cambiare si può" secondo me aiuta un processo di cambiamento europeo. Il No rischia di generare confusione senza produrre una spinta positiva.

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