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Una cosa divertente che ho fatto a Sanremo

Non avevo mai visto una puntata di Sanremo in vita mia, ma era arrivato il momento di rimediare. Quindi ho passato un'intera giornata al festival fra cacciatori di autografi, persone non famose e totale disinteresse per la musica.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Nonostante provenga da una famiglia tutto sommato rispettosa delle convenzioni e dei riti che godono del pubblico consenso, fino a due giorni fa non avevo mai visto una puntata del festival di Sanremo. Mai. Il motivo di questa mia mancanza non è da ricercarsi in una sorta di snobismo classista, che per certi versi fa parte integrante del fenomeno Sanremo, ma è dovuta a una ragione molto più semplice: non me ne è mai fregato un cazzo.

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Ovviamente non essendo privo di apparati recettivi, in tutti questi anni ho assorbito una specie di gestalt basica del Festival: so ad esempio, come tutti, che fondamentalmente Sanremo ha a che fare solo in una certa misura con la musica, e ormai è diventato un gigantesco carrozzone che si autoalimenta e in cui creano molto più dibattito e interesse questioni come la conduzione, i vestiti indossati, le menne e le gaffe. So inoltre che una percentuale imponente della canzoni presentate al Festival rientra nella categorie "AMORE/ SENTIMENTI/ FLUIDI CORPOREI" o sono delle mini denunce sociali cantate da complottisti proteiformi. Ma sono tutte informazioni che ho ricevuto in maniera indiretta.

Fortunatamente, per VICE collaborano anche delle persone competenti.

La mia insipienza, però, mi rendeva idoneo a riempire un altro vuoto giornalistico nel mosaico di attenzione mediatica che, nonostante tutto, continua a rendere Sanremo uno degli eventi più seguiti: ovvero appunto quello di descrivere, attraverso un'esperienza diretta, come appare Sanremo agli occhi di un vergine.

Arrivo in città nel primo pomeriggio con la predisposizione mentale di chi aspetta solo di essere plasmato spiritualmente, come una divorziata di mezza età che compra l'opera omnia di Sai Baba. Raggiunto il centro noto che l'atmosfera è quella di una festa patronale. Le strade sono affollate, e gli anziani battono la piazza principale e la via che porta all'Ariston in ranghi serrati, inalando qualsiasi forma di alimento disponibile offerto agli stand.

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Tv Sorrisi e Canzoniha piazzato un po' ovunque dei cartonati dei protagonisti del Festival, più un maxicartonato in piazza Colombo che li raggruppa tutti, con una finestrella per farsi fotografare. Ma nessuno lo fa, fortunatamente.

In vari punti stazionano i tir delle radio che coprono l'evento, attorno a cui si aggirano cameramen, fonici, producer, ragazze immagine e quel genere di tizi impomatati e con la voce modulata che hanno studiato giornalismo alla LUISS. Dai tir sparano musica ad alto volume, e l'amalgama sonora provoca attacchi di labirintite.

Percorrendo corso Matteotti la folla si addensa, e ai lati transennati dell'Ariston la calca è massiccia nonostante siano appena le tre del pomeriggio. Da un punto imprecisato dell'area che sta fra le transenne, di fronte al teatro, arriva la voce di un presentatore che si sforza di intrattenere il pubblico. Non è esattamente lo showman più talentuoso del globo: il suo range di gag si esaurisce in battute sull'abbronzatura di Carlo Conti, e passo svariati minuti ad immaginarmi le leghe dilettantistiche dei conduttori da cui le manifestazioni attingono il genere di tizio che presenta "l'attesa del niente davanti alle transenne." Per di più è pure costretto a mettersi la musica da solo con un laptop, e la voce gli sale di svariate ottave ogni volta che qualcuno di anche solo vagamente famoso esce dell'Ariston attenuando la sua agonia.

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Spendo una buona mezz'ora a disturbare signore attempate e ragazzette che imbracciano cellulari, cercando di strappare qualche impressione. Nessuno, se non sollecitato, si espone sulle canzoni. Quelli che non superano i sessanta, in particolare, trovano quasi superflua la questione, e si nota come si sforzino di costruirsi un'opinione sul momento.

Aggirando il perimetro dell'Ariston ci si imbatte nell'altra specie che costituisce la fauna umana oltre agli "stazionatori di transenne": i cacciatori di autografi. Si muovono in formazioni ridotte, con lo sguardo vigile, e non appena avvertono anche solo il sentore della presenza di qualche persona "importante" gli sciamano addosso con il tipico schema comportamentale dei piccioni. Mi rendo subito conto di non possedere il loro fiuto: mi accorgo infatti della presenza di Grignani a pochi metri da me solo dopo che un nugolo di teste lo ha circondato.

Continuo a girare a vuoto, finché non mi ritrovo letteralmente ed inconsapevolmente accanto ad Arisa, che sta cercando di entrare in un negozio tampinata da una mischia furibonda di permanenti. Al 122esimo selfie una ragazza poco distante grida: "Arisa, il tempo di 'È tutto così semplice' è finito!", con una vena polemica di cui non colgo il significato.

Non appena i cacciatori hanno finito con un vip si rimettono subito in moto per cercarne un altro. Io invece mi sposto su una panchina a lato di una strada parallela a corso Matteotti, e noto un signore che osserva i passanti con la tipica espressione ieratica dell'autoctono che valuta l'insensato entusiasmo di quanti partecipano a un evento a cui è talmente abituato da aver quasi sviluppato una sorta di intolleranza. Mi avvicino e gli faccio qualche domanda.

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"Io non ho niente contro il festival, ma ormai mi ha annoiato. Non lo seguo da moltissimo tempo, perché ho di meglio da fare. E non riesco a capire le persone che ogni anno tornano qui per vedere le solite persone e farsi fare gli stessi autografi. La musica presentata al festival non ha alcuna rilevanza da almeno trent'anni, quindi perché continuare?"

Sorprendentemente uno dei pochi che individua nella musica una delle caratteristiche portanti di Sanremo appartiene alla schiera di quelli che se ne fregano. Ed è costretto ad assistere a tutto questo perché abita a 100 metri dall'Ariston.

Pochi metri più avanti noto un oggetto multicolore non identificato. Un ometto bolso pettinato con la divisa nel mezzo mi sfreccia accanto cercando di raggiungerlo. "Solààààànge". L'oggetto colorato è Solange, che con un sorriso sornione si bea dell'attezione dei presenti. Mi avvicino anche io, perché sembra molto disponibile e ho bisogno di qualche interazione con "persone rilevanti" da inserire nel pezzo.

Non appena gli chiedo una foto per l'articolo si ingegna per studiare la giusta posa: convince un signore e due ragazze a farsi ritrarre con lui mentre finge di leggergli la mano. "Vai, adesso puoi scattare," mi dice.

"Questo festival è veramente triste, senza nemmeno una canzone decente. Una delusione completa. Carlo Conti poi è un prete, e la Morales ce l'hanno messa solo perché è la compagna di Raoul Bova! Pessimo." Detto questo prende e se ne va spedito, a braccetto con un ragazzo.Io rimango fermo ad osservarlo insieme al signore della foto, che invece mi ringrazia e commenta "per me comungue è nu bell festivàl."

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Sono ormai le 17:30, e non sono poi molto colpito da quello che ho visto. Anzi, lo trovo abbastanza prevedibile. Ma i più esperti in redazione mi avevano consigliato di visitare il Palafiori prima di farmi un'impressione errata.

Il Palafiori è un ex mercato floreale riconvertito in centro espositivo, ed è qui che si trova Casa Sanremo. Me lo avevano descritto come "il luogo in cui il termine 'trash' travalica i confini di referente simbolico e si incarna." Ed è esattamente così: il centro è pieno zeppo di stand e gente incredibile, come questo ragazzo che continua a vantarsi del fatto che detiene il guinness per la cresta più alta del mondo mentre il padre lo ammira con occhi fieri e continua a fotografarlo. Mi danno anche un biglietto da visita.

Negli stand si espone la roba più bizzarra, si tengono dimostrazioni pacchiane di makeup e si improvvisano piccoli spettacoli. La gente sembra divertirsi sul serio: tutti si fotografano a vicenda e seguono le selezioni di concorsi di bellezza in cui vengono premiate praticamente tutte le concorrenti.

Qui i vip seri entrano solo per brevi interviste programmate, ma c'è una presenza massiccia di semi vip, come Dr Felix del Chiambretti Night che si fa selfie con tutti. Praticamente nessuno frequenta le salette in cui si commenta la musica del festival, se non per sfruttare le prese di corrente e ricaricare il cellulare.

I giovani a Casa Sanremo

Il clima allegro e cazzaro mi contagia, e comincio a sentire l'endemia del festival. Si possono anche ammirare dei ritratti della famiglia reale del Pricinpato di Monaco, anche se non si capisce perché. Ma il mio scetticismo subisce il colpo di grazia quando raggiungo uno stand in cui si sta esibendo un gruppo di sosia.

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Ci sono praticamente i sosia di tutto il mondo.

E sono disposti a tutto pur di raccattare gloria riflessa.

Sono costretto a lasciare il Palafiori—dove sono sempre più convinto che dovrebbe essere organizzato il vero festival—perché ormai sono le 19:30 e devo raggiungere il Casinò, dove sono accreditato per il pre e il Dopofestival.

Arrivo con un po' di anticipo e tento di scattare qualche foto in giro, ma gli addetti della sicurezza mi raggiungono e mi chiedono di cancellare le foto perché potrei violare la privacy di qualche cliente che sta buttando nelle slot machine la pensione di invalidità di tutti i suoi parenti. In compenso riesco a strappare questo spaccato significativo dell'ambiente, che mi sembra totalmente esaustivo.

La mia presenza desta pochissima attenzione, quindi sono libero di muovermi come mi pare. Mi avvicino al bar dello studio del Dopofestival, tentando di ordinare qualcosa da bere, senza rendermi conto che è tutta scenografia e che il tizio dietro al bancone non è un vero barista ma fa parte del cast. Fortunatamente non mi considera.

Dopo pochi minuti parte la diretta del pre festival, che dura poco e fa una summa di preparazione alla serata principale. Mi fanno sedere su uno sgabello e osservare da vicino.

Si fanno perlopiù considerazioni ironiche su quello che è accaduto in queste due giornate, per preparare il terreno alla seconda serata, ma comincio ad essere interessato alla cosa ora che sono qui, e mi pento di non aver seguito la diretta della sera prima. Non appena finisce il prefestival compare sul monitor la faccia di Carlo Conti, e parte l'evento principale.

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Mentre molti membri della troupe vanno a mangiare qualcosa, io mi siedo in silenzio nella saletta accanto a seguire il festival con alcuni membri dello staff tecnico.

Durante la diretta i conduttori, Saverio Raimondo e Sabrina Nobile, studiano il copione e continuano a valutare questioni tecniche, ma intervallano al lavoro commenti sulle prestazioni dei cantanti e, soprattutto, su questioni collaterali. "Certo che è veramente un grande Biagio [Antonacci]. Hai visto? Ha le scarpe di vernice, ma non ha messo le calze. È un po' invecchiato però…"

"Certo che lui [cantante famoso] è sempre lo stesso. È come quei bambini che devono sempre dire le parolacce: CAZZO CAZZO CAZZO!" Tutti ridono.

Mi rilasso, e comincio a trovare interessante la trasmissione. O meglio: non me ne frega assolutamente niente delle canzoni, ma mi piace ascoltare i commenti sulle prestazioni: sul monologo di Pintus, sulla Theron e sulla presenza di Conchita Wurst. L'unica cosa di cui mi accorgo io è la somiglianza clamorosa tra Pino Donaggio e l'elettrauto del mio paese. L'atmosfera è rilassata e rassicurante, e trovo che in un certo senso ci sia qualcosa di liberatorio nel commentare l'assenza dei calzini di Biagio Antonacci, i reggiseni di Arisa, o fare osservazioni sagaci sulle pettinature e le gaffe. E il Dopofestival è interamente basato su questo.

Saverio Raimondo mi descrive il contorno del festival come "un film di Fellini". E mi dice "è impegnativo, sono sincero, ma anche estremamente divertente. Sono anche stato fortunato: per quello che faccio io e per come è strutturato il Dopofestival un'edizione classica come questa è l'ideale." E ha ragione: è proprio la stereotipia di Sanremo che rende possibile il clima digressivo di cui parlavo.

Quando la trasmissione si avvicina alla fine tornano tutti nello studio principale e si preparano per il Dopofestival. Ci saranno un sacco di ospiti in studio: Arisa, Il Volo, Marco Masini. E mi sorprendo contento e curioso di vedere come sono nella vita reale. Soprattuto le menne di Arisa.

Per lo studio si aggira un aiuto regista che invoglia il pubblico ad applaudire, ma io non ne ho bisogno: adesso sono genuinamente interessato a Sanremo e a tutto quello che c'è dietro, e seguo con attenzione. Arisa è molto carina dal vivo, e le sue tette anche; Il Volo invece mi stanno antipatici. A un certo punto parte un collegamento con Giarcarlo Magalli via Skype. Magalli si inquadra le mutande.

Raimondo chiude con una riflessione sul fatto che Conti ha descritto questa edizione come "costruita per le famiglie" e sull'ipocrisia. "Stasera si è esibita Conchita Wurst, si è detto perché è una grande artista, ma in realtà soltanto perché è una donna con la barba. Se volevano un grande artista c'è anche Keith Jarret. Sto forse dicendo che c'è dell'ipocrisia? Certo! Ma lo dico con orgoglio, perché l'ipocrisia è un valore civile. L'ipocrisia è il vero collante sociale. L'ipocrisia è amore, l'ipocrisa è Sanremo."

E credo che, battute a parte, Raimondo con questa chiosa abbia stigmatizzato moltissimo di quello che ho osservato durante questa giornata al festival. Mentre lo studio si riempie di addetti ai lavori accorsi per chiudere la serata bevendo e scherzando, io me ne torno a casa contento di questa giornata.

Gli stereotipi che un neofita di Sanremo si può immaginare sono tutti veri; le canzoni fanno schifo e neanche chi è pagato per commentarle è interessato. Ma dopo essere stato al festival posso dire di aver capito che questo non ha alcuna importanza: la fruizione e lo sviluppo della musica italiana e non corre su tutt'altri binari. Sanremo è un enorme fenomeno di costume vagamente grottesco e ipocrita, ma proprio questo rassicurante. E con buona pace di chi ne è schifato, pure divertente.

Segui Niccolò su Twitter: @NCarradori