Cosa dovrebbe fare l'Italia per essere uno stato davvero laico?

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Cosa dovrebbe fare l'Italia per essere uno stato davvero laico?

Siamo così abituati alla presenza della chiesa cattolica nella nostra società, che spesso non ci rendiamo conto dell'estensione o delle conseguenze pratiche della sua influenza. Per capire quale sia il vero impatto, ci siamo rivolti a un esperto.

Almeno una volta, a tutti è capitato di ascoltare qualche amico ammettere con un tono a metà tra la sfida e la dolorosa consapevolezza che "l'Italia non è uno stato laico!" In molti casi quell'amico eravamo noi stessi, perché gli esempi che avvalorano questa tesi sono praticamente infiniti: il crocifisso nelle scuole pubbliche, l'esenzione fiscale per le proprietà del Vaticano, le pressioni degli organismi cattolici su questioni politiche che esulano dalla religione. Proprio come in questi giorni, a causa del dibattito sulle unioni civili.

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In situazioni del genere è naturale chiedersi se il nostro sia effettivamente uno stato laico: dal punto di vista formale e costituzionale pare essere così, ma possiamo veramente dire che il primo rigo dell'articolo 7—"lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani"—rispecchi la realtà?

Per capire come la religione cattolica influenza la nostra società e come sarebbe l'Italia se fosse uno stato effettivamente laico ci siamo rivolti a Giorgio Pino, professore di Filosofia del diritto e condirettore della rivista Diritto & Questioni pubbliche.

VICE: Al di là dell'ufficialità, l'Italia può essere realmente definita uno stato laico?
Giorgio Pino: Tutto dipende da come definiamo la "laicità", e anche l'ambito di ciò che è "ufficiale". Ci sono diverse forme di laicità: quella francese, ad esempio, che consiste in una pressoché totale sterilizzazione della sfera statale, e pubblica in genere, rispetto alla presenza delle religioni. C'è la laicità come intesa dalla Corte europea per i diritti umani, che è compatibile con la presenza delle religioni nella sfera pubblica, e perfino di una religione di Stato, ma con il limite del divieto di indottrinamento religioso nei confronti dei cittadini e di discriminazione nei confronti di chi pratica una religione diversa o non ne pratica alcuna. E c'è la laicità come intesa dalla Corte costituzionale italiana, che la intende non come indifferenza dello Stato rispetto alla religione, ma come pari valorizzazione di ogni religione praticata nell'ambito della società.

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E questa forma di laicità fa sì che il nostro paese sia uno stato laico?
È evidente che una nozione di laicità come quella adottata dalla Corte costituzionale lascia involontariamente aperta la possibilità di privilegiare in vari modi la religione che di fatto è praticata dalla maggioranza dei cittadini. E questo è ciò che di fatto accade, ad esempio sia con la vicenda del crocifisso nelle scuole, sia con l'insegnamento della religione (cattolica) nelle scuole, sia infine con il cosiddetto 8 per mille, che in virtù di un meccanismo cervellotico finisce per convogliare verso la chiesa cattolica anche le quote di chi non ha espresso alcuna preferenza di destinazione di questa quota delle tasse. Per non parlare—sempre a proposito di cosa sia "ufficiale"—della presenza di rappresentanti delle gerarchie cattoliche, in veste di "autorità", ad ogni evento pubblico di qualche rilievo.

In definitiva, dunque, si può affermare che sì, per la costituzione italiana lo Stato è (deve essere) laico, ma purtroppo la costituzione si trova a convivere con leggi, regolamentazioni, prassi che in vario modo spingono la laicità costituzionale ad assomigliare a quella "sana laicità" cara alle gerarchie ecclesiastiche, cioè un felice connubio tra Stato e Chiesa cattolica.

Secondo lei a livello sociale, se l'Italia fosse veramente uno stato laico, cosa sarebbe palesemente diverso?
Direi che molte questioni di rilievo sociale avrebbero già trovato una soluzione ragionevole da parte della politica, al passo con le soluzioni che sono state già trovate e si stanno ormai consolidando in altri paesi europei e in senso ampio occidentali.

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Mi riferisco certamente al matrimonio omosessuale, al divorzio, alle problematiche legate alla fine della vita, alla procreazione assistita. Ma anche la stessa disciplina dell'interruzione volontaria di gravidanza—che in astratto era stata strutturata dalla legge in maniera piuttosto ragionevole—ha finito di fatto per dare luogo a situazioni del tutto inaccettabili.

Crede che quindi l'errore stia nel fatto che la legislazione non tiene conto dell'influenza della religione? Servirebbero "leggi speciali" che ne tengono conto?
Ecco, in generale su questioni di questo tipo c'è sicuramente un'esigenza di arrivare a qualche tipo di regolamentazione a livello legislativo, che si prendano scelte chiare e ragionevoli, ma il dibattito politico finisce regolarmente per avvitarsi su se stesso, e per produrre qualche compromesso talmente al ribasso che alla fine si convincono un po' tutti che non vale nemmeno la pena di legiferare in tal modo: si pensi alla vicenda dei DICO, qualche anno fa, che ha tenuto banco per mesi per poi sgonfiarsi nella rassegnazione generale [il disegno di Legge del governo Prodi sui diritti dei conviventi non arrivò mai neanche al voto].

Al momento, in quali settori o ambiti della vita si manifesta maggiormente l'impronta cattolica dell'Italia?
Direi in primo luogo nel campo dell'istruzione (in tempi di Prima Repubblica, il Ministero dell'istruzione era saldamente in mano alla Democrazia cristiana); e poi tutto ciò che attiene alla salute, e alla sfera "eticamente sensibile": bioetica, matrimonio, problemi della procreazione e della fine della vita.

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Infine, non dimenticherei anche il campo dell'informazione: precedentemente, rispondendo a un'altra sua domanda, dicevo "dipende da cosa si intende per ufficiale"; ebbene, se il principale canale televisivo della televisione pubblica, nei programmi di approfondimento, nei telegiornali, ecc., dedica un'attenzione sproporzionata e monotematica alla Chiesa cattolica, anche questo rientra nel campo dell'"ufficiale", no?

Esattamente. E a livello economico? Al di là del discorso delle tasse degli immobili della chiesa, intendo…
Menzionavo prima la questione dell'8 per mille, che ha dimensioni notevoli sia di per sé, sia per la sperequazione che produce rispetto alle altre confessioni religiose, sia infine per il fatto—a dir poco discutibile—che anche chi non esplicita una scelta di destinazione alla fine si trova a finanziare la confessione maggioritaria. Poi c'è sicuramente il discorso dei finanziamenti dello Stato e delle Regioni alle scuole private, molte delle quali di orientamento religioso, che ormai è stato serenamente "sdoganato" a livello legislativo nonostante la costituzione lo vieti espressamente. Allo stesso tempo, vedo molta ipocrisia sulle questioni in senso ampio economiche, e su quelle relative al welfare in particolare: intendo dire che mentre a parole c'è un muro compatto a difesa della famiglia (specie se "tradizionale"), nei fatti le famiglie sono abbondantemente lasciate sole: la situazione degli asili nido, ad esempio, è disastrosa, specialmente al centro-sud.

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Insomma, uno slogan a favore della famiglia tradizionale, con annessa strizzata d'occhio alla presunta opinione pubblica cattolica, non costa nulla; di far funzionare davvero un welfare nell'interesse delle famiglie, invece, nemmeno a parlarne.

Fermandoci per un attimo sul dibattito sulla famiglia e quello attuale sulle unioni civili, crede che l'opinione pubblica sia meno influenzata dalla religione di quanto lo sia la politica?
Premesso che mi guarderei bene dal cullarmi in una illusoria contrapposizione tra una società avanzata e una politica arretrata, la mia impressione comunque è che in linea di massima sia proprio così: la società italiana su questi temi mi sembra più aperta rispetto ad alcune forze politiche.

Inoltre, come peraltro dimostrano alcune uscite di Papa Francesco, anche nello stesso mondo cattolico le posizioni sono assai più diversificate di quanto non appaia dal modo in cui l'area culturale cattolica è rappresentata in Parlamento. La politica italiana su questi temi procede per schematismi, talvolta piuttosto vieti, mentre nel concreto delle relazioni sociali, in cui si ha a che fare con persone in carne ed ossa, è più facile che maturi una attitudine alla comprensione e alla accettazione delle situazioni umane più diverse.

Quindi secondo lei quale è la tendenza negli ultimi anni, stiamo assistendo a una laicizzazione dello stato o non ci sono cambiamenti in questa direzione?
Negli anni in cui si è avuto congiuntamente il papato di Benedetto XVI e i governi di centrodestra, si è assistito indiscutibilmente a una politica molto aggressiva ed esigente delle gerarchie vaticane nei confronti dello Stato italiano—una politica docilmente accettata dalle forze politiche allora al governo in parte per orientamento politico-culturale, e in (massima) parte perché tali forze speravano che la benevolenza delle gerarchie vaticane avrebbe prodotto un massiccio ritorno in termini di consenso elettorale.

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L'atteggiamento di Papa Francesco è con tutta evidenza assai diverso. Insomma, se recentemente stiamo assistendo a una relativa laicizzazione dello Stato italiano—in termini delle scelte adottate e degli atteggiamenti tenuti dalle forze politiche—in buona sostanza lo dobbiamo al Vaticano.

E crede che il fatto che i giovani si stiano allontanando dalla religione si manifesterà in una laicizzazione dello stato?
No, non necessariamente. Si pensi agli anni Settanta e Ottanta: anche in quel periodo le giovani generazioni di allora hanno certamente mostrato meno attaccamento al fattore religioso rispetto alle generazioni precedenti, ma non mi pare che ciò abbia portato nel tempo a una maggiore laicizzazione delle istituzioni e della legislazione italiana.

Il punto, piuttosto, è che in Italia esiste una peculiarità non presente in altri paesi, e cioè la convivenza anche fisica con lo Stato del Vaticano. Insomma, la laicità o non laicità delle istituzioni italiane non è direttamente condizionata dalla diffusione del sentimento religioso nella popolazione, ma dalla presenza di una organizzazione confessionale (tecnicamente: uno Stato teocratico) all'interno stesso del territorio dello Stato italiano, che interagisce quotidianamente con le istituzioni italiane ai massimi livelli. Anzi, direi che più la Chiesa cattolica avverte una disaffezione verso i valori e le pratiche cattoliche nella popolazione generale, più si sente minacciata e di conseguenza più si rende esigente nei confronti dello Stato italiano.

In conclusione, cosa dovrebbe fare l'Italia per essere uno stato laico?
Direi che intanto ci potremmo accontentare di ripulire la legislazione italiana da varie incrostazioni disseminate qua e là, come ad esempio la lunghezza dei tempi per il divorzio, gli ostacoli all'accesso alle pratiche di fecondazione assistita (i più assurdi dei quali sono già a poco a poco caduti grazie alla Corte costituzionale), gli insegnanti di religione scelti dalla Curia ma pagati dallo Stato…

In ogni caso, si dovrebbe tenere conto che in Italia la religione cattolica non è più—se mai lo è stata—l'unica religione presente nella società, e che la costituzione italiana include tra i suoi principi supremi il principio di uguaglianza. Pertanto, in un contesto pluralistico e alla luce del principio costituzionale di uguaglianza, forse sarebbe bene andare molto cauti prima di incorporare nella legislazione le richieste connotate in senso religioso. Non che sia sempre sbagliato che la legislazione tenga conto della sensibilità religiosa delle persone, ma, ripeto, bisogna stare attenti a come lo si fa.

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