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Che tipo di italiano puoi incontrare a Berlino

"Nel 2009, quando sono venuto in vacanza la prima volta, era tutto molto più autentico." Un compendio dei nostri connazionali nella capitale più indebitata d'Europa.

Come certamente saprete, l'Europa è tutta un guano fumante di debiti e perciò, da parecchi anni, migliaia di europei provenienti da paesi estremamente indebitati ogni giorno prendono la saggia decisione di trasferirsi nella città più indebitata d'Europa, che stranamente è anche la capitale dell'unico stato non indebitato d'Europa. Si sta parlando di Berlino. Non saprei dire perché lo facciano, infatti qualche mese fa l'ho fatto anche io. Forse abbiamo tutti nostalgia dei debiti di casa. Tra questi lungimiranti europei, come potete immaginare ci sono anche moltissimi italiani, il cui sport preferito è lamentarsi di quanti italiani ci siano in giro, indispettiti e sorpresi come se avessero scoperto Little Italy a Naypyidaw.

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Fortunatamente, tuttavia, fanno anche di peggio (e di meglio).

L'italiano nostalgico di vecchie Berlino è identico al [inserisci nazionalità] nostalgico di vecchie Berlino. Il suo habitat è la cena a casa di un altro connazionale e offre il meglio di sé dopo qualche bicchiere di rosso. In genere le sue nostalgie riguardano le rapide trasformazioni della città in materia di costo della vita/fancazzismo (non si è ancora fatto una ragione della chiusura del Tacheles) e vengono ben sintetizzate dalla sua frase culto: "Nel 2009, quando sono venuto in vacanza la prima volta, era tutto molto più autentico."

L'italiano che mangia solo Doner Kebab è un individuo raro, di stanza in zone infelici come Pankow che abbandona quasi solo nel week-end, non realizzando che per ristagnare da quelle parti faceva prima a trasferirsi a Minsk; costa ancora meno. Mangia solo Doner perché non concepisce di spendere più di 3,5 euro per pasto, bibita inclusa. A chi gli fa notare che potrebbe pure cucinarsi qualcosa risponde: "Sì certo, bello sbatti."

L'italiano che vive come un immigrato illegale, dopo un periodo superiore ai sette/otto mesi di permanenza in città, non ha ancora trovato le motivazioni e l'energia sufficienti a fare la dichiarazione di domicilio, una prassi burocratica che richiede un'ora e senza la quale non puoi neppure noleggiare un DVD. Per questa ragione, anche se tenta di mascherarlo, vegeta in uno stato di permanente angoscia kafkiana temendo controlli da parte delle autorità. In quel caso comunque ha già la battuta pronta: "Gli dico che sono un turista arrivato ieri, tanto che cazzo ne sanno loro?" A volte mangia solo Doner Kebab.

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L'italiano che si sente tedesco perlopiù vive dalle parti di Prenzlauer Berg e, nonostante sia qui da meno di un anno, si sente già parte integrante dello spirito e dell'efficientismo germanico. Legge le notizie dall'Italia scuotendo la testa e mormorando: "Che pasticcioni questi italiani." Ama la cultura ma non parla la lingua, tuttavia considera un progresso promettente usare il più caloroso Vielen Dank in luogo del semplice Danke. Un giorno realizzerà che lo spirito e l'efficientismo germanico non hanno nessuna intenzione di adottarlo, e comunque non sono di casa a Berlino, e se ne andrà come un amante deluso. La frase che ripete più spesso è: "Che grande civiltà."

L'italiano che "non imparerò mai il tedesco" è di due specie: lo scoraggiato e il menefreghista. Lo scoraggiato ha provato a impararlo con un paio di corsi privati ma è sempre caduto sul fronte dell'A2, e quindi si è ormai rassegnato a vivere il resto dei suoi giorni in balia di una lingua che non comprende. Il menefreghista invece ha pianificato coscientemente di non studiarlo—"tanto qui parlano tutti inglese"—e quando l'assunto non regge alla prova empirica, lo potete osservare gesticolare di fronte al cassiere vietnamita di qualche Speti.

L'italiano universitario, salvo casi di studenti eccezionalmente operosi, funziona 24/7 come un interruttore: o è su "sfasciarsi" o è su "scopare". Di solito vive con altre 17 persone a Kreuzberg o a Neukolln e, insieme allo spagnolo universitario, si contraddistingue per non aver perso l'abitudine di pisciare in strada alle quattro del mattino.

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L'italiano ricco possiede una casa coi soffitti alti che occupa svariate centinaia di mq e può trovarsi al confine tra Prenzlauer Berg e Mitte come a quello tra Kreuzberg e Neukolln, a seconda della sua età e da quanto tempo si trova a Berlino. La casa ovviamente "è costata un niente" ed è stata acquistata "quando ancora qui si poteva comprare bene." Non dice mai da chi. La sua disoccupazione è "culturale" e quando lo incontri a qualche inaugurazione ama comunicarti il suo sdegno "per la devastazione etica del Nostro Paese" esalando le parole "Nostro" e "Paese" come fossero i suoi due ultimi respiri. Con lui si mangia ottimo sushi e si conoscono molti svedesi, danesi e a volte persino dei tedeschi. Di Amburgo.

L'italiano colto è arrivato in città da neopositivista ma lunghi periodi di solitudine e lavoro in nero nel circuito dell'arte lo hanno gettato nel più livido degli umori post-strutturalisti. Lo si può incontrare a tarda sera mentre butta nella Spree la sua collezione di Carnap oppure da Pro-Qm a ponderare l'acquisto di una raccolta di scritti di Althusser, in edizione tedesca, con un quadrato nero inserito in un rombo viola su fondo bianco in copertina. Titolo in helvetica arancione. In diagonale.

L'italiano che si fa notare ti acceca, persino quando nevica fitto, già a decine di metri di distanza con i riflessi purpurei del suo Moncler e quelli argentati delle sue Hogan. Quando ti si fa più vicino, puoi accertare nel suo sguardo lo spaesamento di chi non ha ancora trovato lo store di Cavalli o perlomeno un H&M. Generalmente si aggira in coppia ed è facile all'ira con il partner perché: "Sempre ste figure di merda mi fai fare." Per sua fortuna entro 36 ore un volo EasyJet porrà fine a tutto questo ciclo di stress. Se è single, di sesso femminile e in compagnia di amiche, lo si incontra in qualche bar di Mitte a commentare i tatuaggi del cameriere, un profugo newyorchese ciclotimico con la passione per il fisting e una forte dipendenza da anfetamine. Nei casi più estremi sfodera un iPad per farcisi una foto insieme.

L'italiano che ce l'ha fatta è essenzialmente proteiforme e varia a seconda delle ragioni e dei campi del suo successo. Dal temperamento mansueto e dal tedesco fluente, sembra aver sposato i pregi delle due culture e sa apprezzare la città senza idolatrarla, anche se a volte può dire cose bizzarre come: "In Italia non sarei mai riuscito a ottenere una cattedra in Storia del Cemento."

L'italiano in pensione è una specie giovane (freddura), alimentata dalla Crisi che sta spingendo sempre più pensionati europei a trasferirsi a Berlino, dato che la città si mantiene ancora piuttosto economica. Lo si può incontrare da Rewe, mentre comunica a gesti con il cassiere—di solito l'italiano in pensione non sa l'inglese—o congettura con la moglie: "Dici che saranno buoni questi ravioli?"

L'italiano a Berlino che scrive di italiani a Berlino su VICE, infine, è senza ombra di dubbio il peggiore di tutti.

Segui Cesare su Twitter: @CesareAlemanni