Orsi polari e blackface: Jean-Marie Donat ha raccolto migliaia di vecchie foto inquietanti

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Orsi polari e blackface: Jean-Marie Donat ha raccolto migliaia di vecchie foto inquietanti

Nella sua collezione, Jean-Marie Donat ha 10.000 esemplari di foto come queste. Sono misteriose, ridicole e piuttosto inquietanti.

Nella sua collezione, Jean-Marie Donat ha 10.000 esemplari di foto come queste. Probabilmente le avrete già viste su internet, senza mai capire da dove arrivassero o cosa rappresentassero di preciso. Sono misteriose, ridicole e leggermente inquietanti, e Jean-Marie le raccoglie da trent'anni.

Alcune fanno parte della serie che ha rinominato TeddyBär , e offrono un punto di vista insolito sulla storia tedesca del ventesimo secolo. Anche se inizialmente sono gli orsi ad attirare l'attenzione, infatti, mano a mano sono i personaggi al loro fianco a emergere: due soldati nazisti sorridenti, una bambina dalla faccia angelica con una svastica sul vestito.

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Foto da Blackface

SeTeddyBär racconta la Germania tra gli anni Venti e Settanta del Novecento, Blackface fa lo stesso per gli Stati Uniti: coprendo un arco di tempo compreso tra il 1880 e gli anni Sessanta, la serie ritrae uomini e donne bianchi con il blackface. Anche in questo caso, l'effetto è un po' straniante.

Le raccolte sono state presentate in una mostra al Festival di Arles insieme a una terza, Predator, il cui fil-rouge è dato dall'ombra del fotografo col cappello proiettata sui soggetti della foto. Ho contattato Jean-Marie per parlare delle sue foto e di come ha iniziato a raccoglierle.

VICE: Ciao Jean-Marie. Parlami un po' di TeddyBär.
Jean-Marie Donat: La prima foto di quella raccolta ce l'ho da trent'anni. L'avevo scambiata con un collezionista tedesco; faccio l'art director per una casa editrice francese, e raccolgo da sempre immagini di ogni tipo. Non solo foto, ma anche ritagli di giornali, dipinti, schizzi. La collezione vera e propria però è iniziata con la seconda foto. La prima è rimasta tra le mie cose per anni, ma me ne sono ricordato solo quando ho trovato la seconda foto, appunto.

Cosa ti aveva colpito della prima foto?
Il surrealismo: un uomo d'affari subito dopo la Seconda Guerra Mondiale ritratto per strada accanto a un orso enorme. Non sapevo cosa rappresentasse, cosa ci facesse quell'orso polare, ma era surreale. Insomma, proprio il tipo di immagine che piace a me.

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All'inizio non sapevo nemmeno che fosse tedesca; non l'ho saputo finché non ho trovato anche la seconda foto. È un pezzo incredibile, l'orso coi due soldati. Due soldati nazisti tutti felici accanto a un orso. Assurdo.

E piano piano ho scoperto il senso dell'orso. Un mio conoscente, tedesco, mi ha spiegato che a inizio degli anni Venti allo Zoo di Berlino erano stati portati due orsi polari. Tantissime famiglie andavano allo zoo apposta per vedere loro, era diventata una moda, e da lì era nata l'idea di dare a uno un costume da orso e farlo mettere in posa per le foto. Nei sessant'anni successivi gli orsi hanno continuato ad andare di moda, tanto che nella mia raccolta ho 30 orsi diversi.

Cosa legaTeddybär alle altre due raccolte, Blackface e Predator?
Sono un collezionista atipico. Per me è importante trarre un insegnamento dalla storia, capire cosa puoi imparare dalla storia quando vedi una serie di immagini simili. Quando vedi una singola foto di un blackface puoi pensare, "Ok, blackface. Sarà stato uno spettacolo." Ma quando te ne trovi davanti 300 o 500, la prospettiva cambia.

In Blackface, la gente vede la storia: vede il razzismo, la segregazione negli Stati Uniti.

Foto da Predator

E Predator? Lì qual è l'"insegnamento"?
Con quella serie è un po' diverso, perché è solo una mia interpretazione, un intervento dell'artista. Sono in tanti i collezionisti che cercano foto come queste, con un'ombra nell'inquadratura. A me però interessa il cappello. Perché dopo un po' hai l'impressione che si tratti dello stesso uomo: lo stesso uomo in ogni foto. Dopo la quinta o la sesta foto perdi proprio di vista l'idea del fotografo. E il titolo, Predator, dà un po' l'idea della suspence di un film.

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Un film noir?
Esatto. In questa serie la storia è una mia invenzione, mentre nelle altre due serie è la storia del mondo.

Che mi dici di Arles?
È la mia prima mostra, quindi la prima volta che la gente vedrà queste cose, e al tempo stesso la prima volta in cui io stesso le vedrò tutte insieme. A casa le tengo in una scatola, quindi quando le prendo le guardo una per volta. E vederle tutte insieme ti dà la sensazione di una storia vera e propria. È come il giornalismo. Di recente ho parlato con un americano, e mi ha detto che molti hanno iniziato a sbarazzarsi dei vecchi album. Tutti questi pezzi di storia americana che se ne vanno così…

La mostra di Jean-Marie al festival di Arles è visitabile fino al 20 settembre. Per l'occasione è anche stato stampato un libro in edizione limitata. Lo trovi su www.innocences.net.

Foto da TeddyBär

Foto da BlackFace

Foto da Predator