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Macro

Come le case farmaceutiche stanno guadagnando miliardi alzando i prezzi dei farmaci

Qualche giorno fa, il proprietario di una casa farmaceutica ha indignato il mondo decidendo di alzare del 750 il costo di uno dei suoi farmaci. Peccato che in realtà questa pratica sia tanto diffusa da essere considerata normale.

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Fino a poco tempo fa, quella di Martin Shkreli era l'ennesima storia di successo e di realizzazione del sogno americano. Nato a Brooklyn nel 1983 da una famiglia di immigrati albanesi e croati, si è laureato in Business Administration al Baruch College di New York saltando numerose classi grazie ai suoi eccellenti risultati scolastici e a 17 anni ha fatto il suo primo stage presso il fondo d'investimenti Cramer Berkowitz & Co di Jim Cramer, personaggio televisivo della CNBC e controverso squalo della finanza.

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Se la voglia di riscatto per un'infanzia passata nei quartieri popolari di New York l'ha spinto a cercare di essere sempre il migliore, le infinite possibilità di guadagno offerte da Wall Street ai tempi della bolla del dot-com e i grandi successi del suo mentore—nel 1999 il fondo ha guadagnato il 47 percento, nel 2000 il 28 percento—devono averlo incantato.

In un video risalente al marzo 2007, Cramer—che pochi anni dopo verrà definito da Bloomberg, "the mad man of Wall Street"—ha raccontato quanto fosse facile all'epoca fare soldi manipolando il mercato in maniera legale o illegale, alterando i corsi azionari usando appena cinque milioni di dollari. "Ero spesso 'corto' con il mio fondo. Quando ero corto—cioè avevo bisogno che i prezzi scendessero—creavo un livello di attività tale da spingere il prezzo dei futures nella direzione che volevo," ha spiegato.

Un giorno è stato Shkreli a prendere l'iniziativa, suggerendo di scommettere al ribasso sulle azioni di un'azienda di biotecnologie—un settore che in quegli anni era in grande crescita. La mossa, che aveva garantito al fondo enormi profitti, era talmente ben congegnata da risultarte sospetta—e a soli 19 anni Shkreli era stato oggetto di un'indagine da parte della SEC, l'agenzia che controlla l'andamento della borsa USA.

Quando Cramer ha lasciato il fondo se n'è andato anche Shkreli, che ha finito gli studi e ha iniziato a lavorare prima presso la banca d'investimento UBS e poi alla Intrepid Capital Management. Due anni dopo, Shkreli ha fondato Elea Capital Management, che in breve tempo si è guadagnata una pessima reputazione. Qualche anno dopo, infatti, la ONG Citizens for Responsibilty and Etichs in Washington ha richiesto invano un'indagine governativa su Shkreli e il suo fondo, accusandolo di aver messo in circolazione voci negative su certe aziende di biotecnologie—inviando false notizie alle autorità di controllo come la Food and Drugs Administration—per poi scommettere al ribasso sulle loro azioni.

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Nel 2007, Lehman Brothers ha accusato Shkreli di aver fatto operazioni scoperte andate male e gli ha chiesto un risarcimento di 2,3 milioni di dollari. Ma poi è arrivata la crisi economica: prima che la corte di New York potesse esprimersi sul caso, Lehman Brothers era fallita e nessuno è andato più a chiedere a Shkreli quei soldi. "Oggi li ho, se li vogliono," ha dichiarato nel 2014 a Bloomberg.

Nel 2009, Shkreli ha fondato insieme a Marek Biestek la MSMB Capital Management; poi, nel 2011, i due hanno fondato la Retrophin, un'azienda farmaceutica "specializzata nella scoperta, nell'acquisizione, nello sviluppo e nella commercializzazione di farmaci per il trattamento di malattie debilitanti e spesso mortali per cui ci sono ancora opzioni limitate a disposizione dei pazienti." E quando i pazienti hanno a disposizione opzioni limitate, anche il loro potere di mercato è limitato.

Nel settembre 2014, la Retrophin ha acquistato in esclusiva i diritti di Thiola, un farmaco utilizzato per combattere la cistinuria—una rara malattia genetica che colpisce i reni causando la formazione continua di calcoli estremamente dolorosi. Il mese dopo ne ha aumentato il prezzo di 20 volte, portando il costo di una pillola da 1,50 a 30 dollari. I 20mila pazienti che negli Stati Uniti hanno bisogno del Thiola ne arrivano a prendere anche 5-10 pillole al giorno, il che significa che da un giorno all'altro Retrophin è passata da un ricavo medio potenziale di 150mila dollari a circa 3 milioni di dollari al giorno.

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Nello stesso periodo Shkreli è stato accusato di stalking da un suo dipendente della Retrophin. Secondo l'accusa, Shkreli avrebbe detto all'uomo, "Spero che tu e i tuoi quattro figli finiate in mezzo a una strada e farò di tutto perché questo accada." Poco dopo, Shkreli è stato licenziato dalla Retrophin, che gli ha chiesto un risarcimento di 65 milioni di dollari accusandolo di aver usato impropriamente i fondi dell'azienda per ripianare i suoi debiti con gli investitori del fondo MSMB—chiuso nel 2011 dopo aver perso 7 milioni di dollari in una sola operazione.

All'inizio di quest'anno, Shkreli ha fondato la Turing Pharmaceuticals e poco dopo si è assicurato i diritti di marketing del Daraprim. Il Daraprim è un farmaco sviluppato nel 1953 e utilizzato dal 1957 come rimedio contro la toxoplasmosi—una malattia infettiva causata da un parassita che colpisce persone dal sistema immunitario particolarmente debole come i pazienti affetti da AIDS e da alcune categorie di tumore. Per decenni, il Daraprim è stato il primo farmaco utilizzato in questi casi—tanto da essere incluso dall'OMS nella List of Essential Medicines.

Il costo di produzione di una pillola di Daraprim è di circa un dollaro, e veniva venduto a 13,5 dollari a blister prima che la Turing Pharmaceuticals ne acquistasse la licenza. Pochi giorni fa, replicando e amplificando quanto aveva già fatto ai tempi della Retrophin, Shkreli ha infatti deciso di aumentarne il prezzo del 5500 percento, portandolo a 750 dollari—causando reazioni di indignazione da tutto il mondo e attirando anche l'attenzione di Hillary Clinton.

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Outrageous. When companies put profits ahead of safety and the environment, there should be consequences. — Hillary Clinton (@HillaryClinton)22 Settembre 2015

Secondo Shkreli, la motivazione dietro l'aumento del prezzo è semplice: "C'era un'azienda che vendeva una Aston Martin al prezzo di una bicicletta; noi l'abbiamo comprata e abbiamo iniziato a chiedere il prezzo di una Toyota. Non credo che sia un crimine, stiamo solo chiedendo il giusto prezzo e stiamo utilizzando i profitti per aiutare i pazienti"

La Turing Pharmaceuticals, infatti, ha sostenuto di voler utilizzare i profitti per finanziare la ricerca di nuovi farmaci in modo da offrire un trattamento alternativo al Daraprim—un farmaco che dopotutto ha ormai 62 anni. Ma anche così, è comunque difficile giustificare una scelta di questo tipo—visto che il farmaco in Italia (con il nome di Metakilfin) costa 8,35 euro a scatola.

Dopo aver suscitato l'indignazione generale, Shkreli ha prima affermato che l'azienda avrebbe fatto di tutto per garantire l'accesso al farmaco alle persone che non avrebbero potuto permetterlo, e poi che ne avrebbe diminuito il prezzo "fino a un livello più abbordabile." D'altro canto, essere "l'uomo più cattivo d'America" non è proprio un ottimo biglietto da visita.

Ma al di là della retorica del miliardario immaturo a capo di una casa farmaceutica cattiva, questa storia è un esempio perfetto di una questione strutturale che riguarda il mercato farmaceutico americano e, di riflesso, quello globale. "Non vogliamo estorcere denaro ai nostri pazienti, vogliamo solo rimanere sul mercato," ha spiegato candidamente Shkreli, cercando di giustificarsi—e in effetti il suo non è un caso particolare ma l'espressione di un sistema.

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Quando Hillary Clinton si è espressa sul caso via Twitter, l'industria farmaceutica americana ha iniziato a temere una revisione dei regolamenti sui farmaci e suoi loro costi da parte del prossimo Presidente degli Stati Uniti—tanto che nel giro di poche ore l'indice Nasdaq Biotech, che riunisce le principali compagnie del settore, ha perso 40 miliardi di capitalizzazione. Il motivo è semplice, come ha mostrato ad aprile il Wall Street Journal: tutte le aziende farmaceutiche si comportano così.

Per fare solo un esempio, lo scorso 10 febbraio la Valeant Pharmaceuticals International ha comprato i diritti del Nitropress e dell'Isuprel, due farmaci usati nella cura di alcune malattie cardiache, e ne ha aumentato il prezzo rispettivamente del 525 percento e del 212 percento. "Il nostro obbligo, nei confronti dei nostri azionisti, è quello di massimizzare il valore della compagnia," ha spiegato Laurie Little, portavoce dell'azienda. Gli obblighi sono nei confronti degli azionisti, non dei pazienti: il mercato funziona così.

Secondo la Truven Health Analytics, dal 2008 a oggi negli Stati Uniti il prezzo dei farmaci non generici è aumentato del 127 percento—contro un aumento dei prezzi dell'11 percento e un aumento della spesa per la ricerca nel settore pari all'otto percento. Chiaramente, chi ci guadagna sono le aziende: nel 2015, grazie all'aumento dei prezzi dei suoi due nuovi farmaci, la Valeant guadagnerà 8,6 milioni di dollari—per una crescita del 7 percento del suofatturato totale.

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All'inizio del 2014, dopo aver acquistato da AstraZeneca i diritti per il farmaco Vimovo, Horizon Pharma ne ha aumentato il prezzo del 597 percento. A fine anno, il valore delle vendite di Vimovo è stato pari a 163 milioni di dollari contro i 20 milioni dell'anno precedente, e solo nei primi due mesi del 2015 il farmaco ha fatto realizzare alla Horizon vendite per 50 milioni di dollari. Negli Stati Uniti, a pagare il costo di questi aumenti sono gli ospedali che acquistano i farmaci, le assicurazioni sanitarie e da ultimo i pazienti stessi.

Ma questo fenomeno interessa anche l'Italia. Alla fine del 2014, l'Antitrust—l'autorità garante della concorrenza e del mercato—ha aperto un'indagine contro la casa farmaceutica Aspen Pharma. Oggetto dell'indagine era l'aumento di prezzo di alcuni farmaci, cresciuti dal 250 al 1500 percento.

In particolare, il prezzo al pubblico di una confezione di Alkeran è passato da 5,25 a 85,83 euro, il Leukeran è passato da 7,13 a 90,2 euro, il Purinethol da 15,98 a 90,35 euro. Secondo le associazioni per i consumatori, questi aumenti non sarebbero stati in alcun modo giustificati dalla crescita dei costi di produzione, distribuzione, ricerca o sviluppo.

L'indagine è volta dunque a "verificare l'ipotesi di un abuso di posizione dominante nel mercato dei farmaci antitumorali di fisica A, e quindi a carico del Servizio sanitario nazionale. Si tratta, in particolare, di quattro prodotti per i quali Aspen, secondo quanto ipotizzato, avrebbe obbligato l'Agenzia italiana del farmaco ad accettare elevatissimi incrementi di prezzo, determinando un aumento della spesa a danno del Ssn."

In precedenza, l'Antitrust aveva indagato sulle aziende farmaceutiche Roche e Novartis per i farmaci Avastin e Lucentis, accertando "l'esistenza di un'intesa restrittiva della concorrenza molto grave, posta in essere nel mercato dei farmaci per la cura di gravi patologie vascolari alla vista, e che ha comportato per il Sistema sanitario nazionale un esborso aggiuntivo di oltre 45 milioni di euro nel solo 2012, con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l'anno." Roche e Novartis sono state condannate a pagare una multa complessiva di oltre 180 milioni di euro.

Ma per qualche motivo, questa notizia non ha agitato particolarmente giornali e televisioni. Forse perché fa troppa paura sentir parlare di "corruzione" e "osservati speciali"—come ha fatto il presidente dell'Antitrust Pitruzzella—quando si parla di chi ha in mano l'accesso alla nostra salute.

Nel 2012, il British Medical Journal ha affermato che l'industria farmaceutica privata ha un approccio deleterio allo sviluppo dei farmaci perché, spaventata dall'enorme costo per inventarne di nuovi, preferisce lavorare "per lo più su variazioni minori a farmaci già esistenti," che solitamente "non sono superiori per misure cliniche." Nel mentre, si rinuncia a fare vera ricerca e si tenta di fare profitto con l'acquisizione di farmaci altamente lucrativi, per i quali in media si spendono 19 dollari di marketing per ogni dollaro speso in ricerca, portando avanti un ricatto silenzioso verso i pazienti più deboli.

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