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VICE News

Quanto costa l'uscita della Grecia dall'Euro?

Ammesso che sia davvero questo ciò che accadrà, cosa succederebbe davvero se la Grecia uscisse dall'euro dopo il referendum del 5 luglio? Che cosa cambierebbe per l'Italia?

Manifestazione per il no al referendum, Atene. Foto di Panagiotis Maidis.

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Con la velocità di un tweet, il premier italiano Matteo Renzi è stato tra i primi a definire chiaramente che cosa significa il referendum che si terrà in Grecia questa domenica, il 5 luglio. "Sarà un derby tra euro e dracma," ha spiegato il leader del Partito Democratico.

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The point is: greek referendum won't be a derby EU Commission vs Tsipras, but euro vs dracma. This is the choice.

— Matteo Renzi (@matteorenzi)29 Giugno 2015

A lui si sono subito uniti tutti i maggiori leader europei, compatti nel ribadire che in caso di vittoria del "no" la conseguenza sarà l'uscita della Grecia dall'unione monetaria europea. Se solo poche settimane fa il Grexit sembrava lo scenario meno probabile tra quelli possibili, oggi l'ordine delle probabilità sembra essersi rovesciato—tanto che persino Pieter Spiegel, l'autorevole corrispondente da Bruxelles del Financial Times, ha scritto che a Bruxelles adesso si parla apertamente di questa possibilità.

— Peter Spiegel (@SpiegelPeter)2 Luglio 2015

Ma ammesso che sia davvero questo ciò che accadrà, cosa succederebbe davvero se la Grecia uscisse dall'euro? Che cosa cambierebbe per l'Italia?

Ancora una volta, uno de primi a esprimersi al riguardo è stato Matteo Renzi. "In questo momento di ripresa, l'Italia deve smettere di avere paura," ha detto il premier. "C'è sempre qualche nuova preoccupazione. Io vorrei dare un messaggio di solidità e tranquillità". Insomma, per noi non c'è nessun pericolo, o comunque un livello di rischio "gestibile" come sostenuto da diversi analisti. Addirittura, come ha scritto Tonia Mastrobuoni su La Stampa, Angela Merkel sarebbe convinta che in caso di Grexit non solo non ci sarebbe alcun contagio verso gli altri Paesi dell'Eurozona ma addirittura l'euro ne uscirebbe rafforzato.

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Da leggere!!! — Marco Regni (@marcoregni)2 Luglio 2015

Tuttavia, non sono tutti d'accordo su questo punto. Secondo Luca Fantacci, docente di Storia economica e delle istituzioni finanziarie all'Università Bocconi, "Quella secondo cui i Paesi dell'Eurozona siano al riparo dall'instabilità è un'affermazione molto forte, soprattutto perché nell'area euro a decidere gli esiti di un paese sono i mercati finanziari. E quelli nessuno li controlla, nemmeno Mario Draghi."

Del resto, prima che si interrompessero le trattative tra Grecia e Troika, la Banca Mondiale e persino la Banca Centrale Europea avevano avvertito dell'esistenza di questo rischio, sostenendo che la possibilità di "contagio" fosse troppo sottovalutata.

Il motivo per cui il contagio è probabile è che la Grecia non è un paese isolato. Il debito totale dell'economia greca verso il resto del mondo ammonta a 440 miliardi di euro, mentre il debito pubblico greco è pari a circa 320 miliardi di euro—l'80 percento è dovuto alla Troika (195 miliardi di euro agli altri paesi dell'Eurozona, 20 miliardi alla BCE, 30 miliardi al Fondo Monetario Internazionale), il 20 percento a creditori privati.

Manifestazione per il sì al referendum, Atene. Foto di Panagiotis Maidis.

Tra questi l'esposizione diretta dello stato italiano, secondo il Ministro dell'Economia Padoan, è pari a 35,9 miliardi di euro—10,2 miliardi di prestiti bilaterali e 25,7 miliardi di contributo al fondo salva-stati dell'Eurozona.

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C'è poi poco meno di un miliardo di euro di esposizione verso la Grecia da parte delle banche private italiane, esposizione che nel corso degli ultimi cinque anni è calata di circa 5 miliardi. Tutto questo rende l'Italia il terzo paese europeo per esposizione diretta verso la Grecia, e quello che più di tutti ha aumentato il suo peso nella composizione del debito pubblico greco dall'inizio della crisi a oggi.

Se la Grecia dovesse essere forzata a uscire dall'euro, la conseguenza immediata sarebbe il default sui propri debiti. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la Grecia avrebbe bisogno di un taglio del debito del 20 percento e di 20 anni di sospensione degli interessi. Ma è difficile che un taglio così piccolo sia sufficiente per avere una sostenibilità di lungo periodo al di fuori della moneta unica. Con un Pil pari a poco meno di 190 miliardi di euro e un debito pubblico al 180 percento del Pil, la Grecia avrebbe probabilmente bisogno di un taglio del 70-75 percento del suo debito—una cifra che la riporterebbe dentro i parametri di Maastricht (come nella originale proposta del ministro delle finanze greco Varoufakis) e che, allo stesso tempo, equivale alle perdite totali imposte ai creditori privati nel 2012, quando a questi fu domandato di accettare un taglio del 53,5 percento del valore nominale dei debiti pubblici greci. Chiaramente, imporre perdite a istituzioni internazionali come Bce e Fondo Monetario Internazionale è ben più difficile che farlo con creditori privati in virtù della loro "seniority". Per permettere la possibilità di calcoli e valutare teoricamente l'effetto di un default parziale sul debito pubblico a seguito di un Grexit, ipotizzeremo che il taglio del debito sia molto più limitato, pari a un terzo del totale.

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L'Italia perderebbe 12 miliardi: 9 per esposizione diretta, più 3 per i debiti bilaterali che però sarebbe probabilmente soggetti a un differente trattamento. L'ammontare della perdita dipenderà comunque da dove origineranno le perdite. Secondo Andrea Papetti, dell'Università di Stoccolma, se la Grecia facesse default su tutti i prestiti erogati dagli stati europei con i fondi salva-stati EFSF/ESM, l'Italia troverebbe a sborsare per intero i 27,2 miliardi che corrispondono alla sua quota di partecipazione nei fondi. Già di per sé, questa sarebbe una perdita maggiore del 70 percento dei 35 miliardi. Poiché al momento i fondi EFSF/ESM non sono ancora stati capitalizzati, e non hanno sufficienti riserve per affrontare le perdite, gli stati dovrebbero andare sul mercato a domandare denaro in prestito, attraverso emissioni azionarie che avrebbero effetti negativi sul costo degli interessi, rendendo tutta l'operazione ancora più costosa.

Manifestazione per il no al referendum, Atene. Foto di Panagiotis Maidis.

Secondo Standard'n'Poors, c'è poi da calcolare l'effetto di un eventuale panico finanziario, che porterebbe a un aumento dei rendimenti sui titoli di stato come accaduto nel 2011 con Berlusconi e nel 2012 con Monti. In questo caso, l'Italia rischia di pagare il prezzo più grande, "con un aumento del costo del debito pubblico pari a 11 miliardi di euro"

Il motivo è presto detto. "Nel 2012 Draghi ha promesso di fare qualsiasi cosa per salvare l'euro, e in questo modo è riuscito a tranquillizzare i mercati in subbuglio," mi ha spiegato ancora Luca Fantacci. "Ma già oggi questa frase non è più valida, perché la BCE non si sta comportando in questo modo con la Grecia. Questo significa che la credibilità di Draghi è destinata a diminuire, e dato gli annunci da soli non basteranno più per rassicurare i mercati serviranno molti soldi, sotto forma dell'acquisto diretto di titoli di stato dei paesi che potrebbero entrare in difficoltà."

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Allo stesso tempo, però, la BCE dovrà affrontare le perdite dovute all'eventuale default greco. Presumendo ancora una volta una quota conservativa, come un terzo di "haircut"sugli oltre 18 miliardi di titoli pubblici acquistati in passato dalla Bce con il suo Security Market Programme, la perdita sarebbe di circa 6 miliardi di euro, a cui l'Italia parteciperà al 17,9 percento, o circa 1 miliardi di euro.

Per questo è difficile anche solo immaginare le conseguenze di un tale divorzio. Il blogger economico JP Koning ha provato a farlo, senza prendere in considerazione l'aspetto delle banche private. A suo dire, "Se la Grecia se ne va, i debiti e i crediti che ha verso l'Eurozona vanno definiti e sistemati. Dato che la Grecia ha investito 200 milioni di euro nella BCE quando questa è stata formata, la sua quota andrà acquistata dagli altri membri dell'Eurozona a un prezzo ragionevole. A controbilanciare questo credito ci sarebbero però le obbligazioni debitorie che la Grecia ha ammassato nel frattempo nei confronti dell'Eurozona. Questo debito, noto come deficit di Target, al momento si attesta attorno ai 100 miliardi di euro—molto di più dei crediti di cui la Grecia dispone. Per pagare questo debito ci vorrebbe una quantità incredibile di risorse."

Ecco perché tornerebbe di attualità la proposta—avanzata dalla Finlandia nel lontano 2011—di vendita del Partenone da parte del governo greco. Secondo fonti diplomatiche scandinave, infatti, la Grecia siederebbe su beni immobili, artistici e culturali quantificabili in 300 miliardi di euro. "Compresa l'Acropoli," che i finlandesi avevano richiesto come contropartita a ulteriori prestiti. Ma chi può immaginarsi il Partenone venduto a una Troika di creditori internazionali?

"Ecco perché la Grecia ha un certo potere sugli altri membri dell'Eurozona," conclude Koning. "Se dovesse decidere di fregarsene e uscire, i restanti membri rischierebbero di rimanere senza i loro soldi. E quanto tempo passerebbe prima che un altro debitore decidesse di fare la stessa cosa? A quel punto, si scatenerebbe una corsa a uscire in cui a perdere sarebbe l'ultimo che rimane con la moneta comune in mano. Per mantenere il sistema in funzione, l'Europa deve fare di tutto perché la Grecia non sia incentivata ad alzare le spalle e andarsene. Non invidio il loro compito, è molto difficile."

A quanto stiamo vedendo in questi giorni, non ci stanno riuscendo molto bene. Ma al di là delle ricostruzioni teoriche, un sistema bancario di fatto insolvente come quello greco non è in grado di reggere a lungo il protrarsi di una situazione come quella attuale. Se non risolta, la crisi sociale ed economica che rischia di derivarne avrà conseguenze destinate a sentirsi a lungo ben al di fuori dei confini della penisola ellenica, nonostante tutte le rassicurazioni e i tweet dei leader dell'Eurozona.

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