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"Ma che stamo a fa’ qua?"

Cosa succede quando Grillo dà buca ai suoi, e la manifestazione contro il "golpe" si trasforma in una tranquilla passeggiata per i Fori Imperiali.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Una signora di mezza età controlla velocemente il cellulare, si aggiusta il foulard e osa una lamentela: "Grillo ieri c'ha dato buca, oggi me deve venì a cercà."

Sono circa le tre e mezza e piazza Santi Apostoli—storico luogo del centrosinistra dove l'Ulivo ha festeggiato le ormai lontanissime vittorie elettorali—è gremita di manifestanti a Cinque Stelle. Di Beppe Grillo però, nonostante le rassicurazioni sulla sua presenza fornite nella conferenza stampa del mattino, non c'è nemmeno l'ombra.

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Il cittadino-portavoce Vito Crimi, capogruppo M5S al Senato, cerca faticosamente di navigare nella piazza, marcato stretto da un nugolo di telecamere, microfoni e macchine fotografiche.

Lo striscione "Populisti presenti" campeggia sulla folla, che annaspa in cerca d'indicazioni e fa partire i cori in voga di questi giorni—"Ro-do-tà, Ro-do-tà" e "Napolitano a casa." Qualcuno intona addirittura lo slogan "Napolitano capo mandamento," ma viene completamente ignorato. Un vecchio si rivolge al palazzo che ospita le filiali di Deutsche Bank e Unicredit: il frastuono sovrasta la sua orazione improvvisata, ma riesco comunque a intercettare la parola "assassini". Naturalmente non poteva mancare il disturbatore televisivo Paolini, che si aggira sornione con un telefono in mano. Ad un certo punto partono i Due Minuti D'Odio contro i giornalisti, accusati di essere "venduti" e "servi del potere."

Nessuno ci sta capendo realmente qualcosa.

In vista dell'arrivo di Grillo, gli attivisti romani del M5S cominciano a formare un corridoio umano—un po' come quelli che si fanno per dare le pacche sulla schiena ai neolaureati—per accogliere a dovere il loro leader. Ma non c'è né un palco da cui parlare, né un sistema d'amplificazione. Non c'è nemmeno un megafono, a dire il vero. Nel frattempo, le informazioni arrivano frammentarie, confuse. Pare che Beppe Grillo sia arrivato all'imbocco di Santi Apostoli, sia uscito dall'auto urlando un generico "Arrendetevi" e poi sia sparito. Non si sa se tornerà.

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In piazza si sparge la voce che sia stata colpa dei giornalisti, autori di una specie di sequestro ai danni di Grillo; poi la colpa viene fatta ricadere sulla Digos, che avrebbe impedito il comizio per "motivi di ordine pubblico"; infine, la colpa viene addossata anche all'organizzazione, pressoché inesistente. Il blogger e "coordinatore della comunicazione dei portavoce" Claudio Messora dichiara alle agenzie: "Non l'abbiamo organizzata noi. Chiedetelo ai 5 stelle di Roma che hanno voluto Beppe qui, chiedetelo alla Lombardi."

Il nervosismo è alle stelle. Come si risolverà la surreale situazione di migliaia persone ammassate l'una sull'altra senza un motivo apparente? La risposta dell'organizzazione—"Boh, non lo sappiamo"—non solo è eloquente; è anche un perfetto riassunto della settimana politica appena trascorsa.

La clamorosa rielezione di Giorgio Napolitano ha sancito il definitivo autodivoramento della democrazia parlamentare italiana. Il 19 aprile il Partito Democratico prima ha ucciso i suoi "padri nobili" (Franco Marini e Romano Prodi), poi ha optato per uno spettacolare seppuku culminato con le dimissioni di Pierluigi Bersani e dell'intera Segreteria.

I fogliacci della destra berlusconiana hanno prontamente inneggiato alla morte del Pd, e l'ormai ex Presidente del partito Rosy Bindi (dimissionaria anche lei) l'ha sostanzialmente confermata in un'incredibile intervista a Repubblica: "No, il Pd [non è morto], si è progressivamente allontanato dal suo stampo ulivista. […] C'è stato un continuismo rispetto al Pci-Pds-Ds nella concezione del partito, del ruolo della classe dirigente e di quello del funzionariato." Sì, il Pd è morto.

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Sabato mattina Bersani, Berlusconi e Monti hanno fatto una penosa processione al Quirinale per chiedere al Presidente della Repubblica uscente di rimanere in carica. Stando alle cronache, la prima condizione chiesta da Napolitano sarebbe stata quella di formare un governo "in tempi brevissimi, con il consenso di tutti" che dovrà seguire il programma partorito dai dieci saggi.

Ci aspetterà dunque un "governo del Presidente," con durata variabile da uno a tre anni e l'obbligo di continuare a somministrare la cura d'austerità iniziata dal governo dei tecnici. "Sappiamo tutti—ha detto a Repubblica Gregorio Fontana, questore Pdl della Camera—che il nuovo governo dovrà fare subito una manovra durissima. Per cui, se durasse meno di un anno, non avremmo il tempo per risalire la china."

La rosa dei nomi che circola da 48 ore è agghiacciante: si parla di Enrico Letta o Giuliano Amato (Giuliano Amato) come Presidente del Consiglio; Angelino Alfano vicepremier; Mario Monti agli esteri; il leghista Giancarlo Giorgetti viceministro all'Economia; Gaetano Quagliarello (il "saggio" del Pdl che nel 2009 scambiò la morte di Eluana Englaro per un omicidio) alle Riforme; Corrado Passera riconfermato allo Sviluppo e Anna Maria Cancellieri all'Interno. Insomma, cercheranno di farci ingoiare ancora una volta "l'eterno ritorno dell'uguale," per usare le parole del deputato Pd Pippo Civati.

In tutto ciò Grillo, che ha definito le manovre dei partiti un "golpetto istituzionale furbo," dà buca ai suoi elettori per la seconda volta in due giorni. "Alla piazza sono arrivato—dice in diretta streaming su La Cosa, il canale web del M5S—è lunga e stretta e non riuscivo ad entrare. Di nuovo le tv mi hanno circondato e non sono riuscite ad entrare. La Digos ha detto che c'era un caso di pericolo, che un signore è caduto dalla bicicletta. Io sono salito sulla macchina e l'ho sfasciata. La Digos ha voluto che andassi via e sono tornato in albergo."

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Lo smarrimento è totale. I deputati del M5S cercano di parlare alla piazza, ma sono senza megafoni e nessuno riesce a sentirli bene. Qualcuno propone di arrivare fino al Quirinale—ipotesi irrealistica ed in quanto tale frettolosamente abbandonata—e alla fine si ripiega su una "passeggiata" per i Fori Imperiali, destinazione Colosseo, tra la curiosità dei turisti.

I cittadini-portavoce si pongono alla testa del corteo con la benedizione del loro leader: "Se è una cosa pacifica, una passeggiata, si fa perché Roma è splendida. Ma senza fare manifestazioni che possono degenerare." All'altezza dell'Altare della Patria i manifestanti intonano spontaneamente l'inno d'Italia. Poi parte una serie di cori piuttosto ordinari: "Buffoni, buffoni," "mafiosi, mafiosi," "via la mafia dallo Stato," "c'avete rotto il cazzo," "Berlusconi in galera" e l'immancabile "Ro-do-tà, Ro-do-tà."

Arrivati davanti al Colosseo Vito Crimi e Roberta Lombardi invitano la folla a disperdersi. L'invito viene accolto con una certa incredulità. Una signora proprio non ci sta e urla il suo disaccordo: "Io sono venuta qui per lottare. Sono una disoccupata, e voglio lottare!" Un manifestante si rivolge ai giornalisti, che serpeggiano tra la folla alla drammatica ricerca di una notizia qualsiasi, e li esorta: "Fate capire che oggi Grillo siamo noi, che non ci serve Grillo." Sarà. Oggi, invece, si è visto in maniera palese—e in barba alle elucubrazioni di Casaleggio sul MoVimento leaderless e affini—che il M5S senza Beppe Grillo è una cosa completamente diversa. I Fori Imperiali tornano a essere occupati dal solito flusso di turisti, e sotto il Colosseo ci si guarda attorno, spaesati, incerti sul da farsi. "Ma che stamo a fa' qua?" si chiede un manifestante a Cinque Stelle. Bella domanda.

In un certo senso, la situazione venutasi a creare questa domenica è un perfetto specchio dell'Italia uscita dalle urne—60 milioni di persone che in questo momento si stanno fissando in cagnesco nelle palle degli occhi, senza la più pallida idea di cosa succederà domani, nella disperata attesa di tempi migliori che rischiano di non arrivare mai.

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