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Le domande che tutti ci stiamo facendo sulle conseguenze della Brexit

Il risultato storico del referendum di ieri, con cui i cittadini del Regno Unito hanno deciso di lasciare l'Unione Europea, ci mette davanti a domande concrete sul futuro prossimo dell'Unione e sul nostro. Abbiamo cercato di capire cosa aspettarci.

Leave voter on BBC: 'I'm shocked & worried. I voted Leave but didn't think my vote would count - I never thought it would actually happen.'

— Laura Topham (@LauraTopham)24 giugno 2016

Quello che poteva essere il peggior incubo si è alla fine verificato: i cittadini britannici hanno scelto di lasciare l'Unione Europea. Nonostante i sondaggi degli ultimi tempi ce lo suggerissero, e tracce di un simile esito continuassero a emergere, l'Europa intera ha reagito con un misto di shock e confusione a quella che segna decisamente una svolta storica.

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Ci sono moltissime questioni interessanti che emergono da questo voto e sulle quali si sta concentrando l'attenzione. Probabilmente l'enfasi maggiore è stata posta sul gap generazionale che ha visto i giovani largamente a favore dell'Europa, e gli anziani seguire il trend opposto. In molti, inoltre, si sono chiesti se sia giusto mettere questo tipo di scelte nelle mani dell'elettorato; o ancora, come la situazione sia potuta sfuggire a tal punto da trasformare quello che era un gioco di equilibri politici interno in una decisione irreversibile.

Visto che siamo entrati in un terreno inesplorato, è naturale che in queste ore ci si stia ponendo una serie di domande concrete che riguardano il futuro dell'Europa, e gli scenari che la Brexit può aprire nel Regno Unito e nel continente. Ho dunque provato a rispondere ad alcune di queste.

June 23rd must now be made a national holiday. — Nigel Farage (@Nigel_Farage)24 giugno 2016

Quanto ci metterà il Regno Unito a uscire dall'Unione Europea?

Come il Primo Ministro britannico aveva annunciato alla vigilia del referendum, la scelta è irreversibile: gli inglesi dovranno uscire "con tutte le conseguenze che nel Regno Unito tutti subiranno."

Allo stesso tempo, questo non accadrà dall'oggi al domani. Esiste, infatti, una clausola chiamata articolo 50 del Trattato di Lisbona—che non è mai stata usata prima—con cui verrà formalizzato il processo di uscita del Regno Unito.

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Il ricorso a questo articolo farà scattare due anni di negoziati—che i leader europei hanno detto di voler avviare il più in fretta possibile, e su cui sembrano decisi a seguire una linea dura—nei quali verranno decisi gli accordi per la separazione. Durante questo periodo, il Regno Unito continuerà a tutti gli effetti a far parte dell'Unione Europea e a rispettarne le regole. Il dubbio riguarda ovviamente la tempistica effettiva dei negoziati. I due anni infatti sono tutt'altro che inflessibili: il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha parlato di "almeno sette anni," e non essendo mai avvenuto prima appare difficile fare una previsione.

For 40 yrs — EP President (@EP_President)June 24, 2016

La prossima settimana, comunque, si terrà un summit tra Matteo Renzi, François Hollande e Angela Merkel per preparare una risposta a quella che la cancelliera tedesca ha definito un "taglio netto, un colpo all'Europa e al processo di integrazione europea."

Come cambierà la vita dei cittadini europei nel Regno Unito?

In teoria, come avevamo già scritto, sul breve periodo non ci dovrebbe essere alcuna ripercussione della Brexit per i quasi 3 milioni di cittadini europei che vivono, studiano e lavorano nel Regno Unito.

Durante la campagna elettorale, il comitato promotore del Leave ha assicurato che—in caso di vittoria—"il diritto di rimanere nel paese sarà esteso automaticamente." Tuttavia, questo assunto non è per nulla pacifico.

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È infatti molto probabile che i cittadini europei dovranno dotarsi di nuovo documenti che permettano loro di rimanere nel Regno Unito—con tutto quello che ciò comporta a livello burocratico. In più, lo status di questi cittadini sarà sicuramente una parte centrale dei negoziati con l'Unione Europea, ed è difficile che non si arrivi a qualche tipo di accordo sul punto.

Dal canto suo il neo-sindaco di Londra, il laburista Sadiq Khan, ieri ha postato su Facebook un messaggio volto a rassicurare i residenti europei della capitale: "Siete più che benvenuti qui. Come città, siamo grati per l'enorme contributo che apportate, e ciò non cambierà con il risultato di questo referendum."

Il Regno Unito rischia di disgregarsi?

L'esito del referendum non mette in discussione solo la composizione dell'Europa, ma quella del Regno Unito stesso.

In seguito al voto sia la Scozia che l'Irlanda del Nord, in cui l'elettorato ha votato in maggioranza per il Remain, hanno dichiarato di voler continuare a far parte dell'Unione Europea.

In Scozia, dove solo due anni fa con un referendum si era scelto di continuare a far parte del Regno Unito, la premier Nicola Sturgeon ha annunciato a caldo che nel giro di due anni sarà indetta una seconda consultazione sull'indipendenza per preservare la propria permanenza nell'Unione Europea. E anche in Irlanda del Nord si sta facendo strada la possibilità di indire un referendum per unificare le due Irlande.

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Cosa succederà ai mercati?

Alla vigilia del voto, Mario Draghi aveva provato inutilmente a rassicurarci che la Banca Centrale era pronta per affrontare l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, mentre la sera prima le borse avevano registrato un risultato positivo.

La realtà, mano a mano che l'esito del referendum si profilava, si è rivelata ben diversa: la sterlina ha continuato il tracollo iniziato durante la notte, segnando un ribasso che ha superato quello del 1985; Piazza Affari ha raggiunti il picco peggiore di sempre, e nelle borse di tutto il mondo si è arrivati a risultati simili.

Global markets lose $2.1 trillion in — AFP news agency (@AFP)25 giugno 2016

Se da una parte il fatto che migliaia di banchieri sarebbero pronti a lasciare la City sembra abbastanza scontato—con le pesanti conseguenze economiche che ne deriverebbero—tra le voci più autorevoli ci sono stati anche pareri meno catastrofici sul futuro del Paese.

Tra questi, il premio Nobel per l'economia Paul Krugman sostiene che se da una parte è vero che la Brexit renderà il Regno Unito più povero, questo non necessariamente porterà a una crisi globale come quella che ha seguito il crollo della Lehman Brothers nel 2008. Su un piano simile, Larry Summers, ex direttore del consiglio economico nazionale statunitense, sostiene che l'uscita del Regno Unito graverà più sull'economia europea che su quella del paese, e che ci vorrà del tempo per capire la portata e la globalità della crisi.

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Per quanto riguarda direttamente il nostro paese, gli analisti non prevedono nulla di buono: spread in crescita e probabili effetti negativi sul Pil.

È davvero l'inizio della fine dell'Europa?

Una delle espressioni che si è sentita maggiormente nei commenti che hanno seguito l'esito del voto, oltre a incertezza e divorzio, è "effetto domino"—ossia la paura che, sulla scia del Regno Unito, altri paesi decidano di lasciare l'Unione.

Non è la prima volta che le fondamenta dell'Europa tremano e che la sua stessa esistenza sembra essere a rischio: è successo di recente con l'annuncio della costruzione del muro del Brennero e la minaccia al patto di Schengen; e più prepotentemente durante e dopo il referendum greco del luglio 2015, quando la vittoria del "No" è stata sostanzialmente sconfessata da Bruxelles e dai leader europei. Ma mai come ora, la sensazione che l'Europa si stia disintegrando sembra concreta e tuttosommato vicina.

A caldo, la reazione di molte persone—anche nel Regno Unito—è stata quella di chiedersi come si sia potuti arrivare a una scelta del genere. Ma in realtà, il caso del Regno Unito è meno isolato di quanto appaia: il referendum trova origine infatti in un sentimento antieuropeista che non solo riguarda la maggior parte dei paesi membri, ma che sta crescendo inesorabilmente insieme al consenso dei vari partiti che lo fomentano.

Lo ha evidenziato a inizio mese anche una ricerca del Pew Research: nei dieci paesi europei analizzati, solo il 51 percento delle persone vede favorevolmente l'Unione. Questa risicata maggioranza, tra l'altro, è frutto dell'alto consenso verso l'Unione che vige in paesi come la Polonia e l'Ungheria, mentre la situazione si ribalta in altre realtà, come Grecia, Francia e Spagna—i paesi più euroscettici. Inoltre, mentre il gap generazionale emerso anche in questo referendum sembra farla da padrone ovunque, non sempre il sentimento euroscettico si colloca tra i simpatizzanti dei partiti di estrema destra.

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Anche sulla base di questo, come prevedibile, all'indomani del referendum i leader dei vari partiti populisti europei non hanno perso l'occasione per annunciare decisioni simili anche in casa propria: lo hanno fatto con forza, per parlare di realtà più vicine a noi, Marine Le Pen in Francia—che ha promesso una consultazione in caso di vittoria alle prossime elezioni—e ovviamente Matteo Salvini.

LIBERI! Ora tocca a noi! — Matteo Salvini (@matteosalvinimi)24 giugno 2016

A preoccupare ci sono poi i Paesi Bassi, dove Geert Wilders—leader del PVV, partito populista e antieuropeista che potrebbe arrivare alla guida del paese alle elezioni del prossimo anno—ha annunciato una consultazione, e sul suo esempio c'è il rischio che questo avvenga anche in Danimarca e Svezia.

THumbnail di Harry Hitchens. Segui Flavia su Twitter

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