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Un mio amico è finito al gabbio in messico

Si chiama Mircea Topoleanu, fa il fotografo, e non si è per niente divertito.
Ioana Moldoveanu
Bucharest, RO

Mircea festeggia a Bucarest dopo il suo rilascio (foto di Ana Libra).

All’inizio di dicembre 15.000 persone hanno protestato nelle strade di Città del Messico, mentre il nuovo presidente messicano Enrique Pena Nieto faceva il suo giuramento. Tra le persone che sono state arrestate c’era il mio amico Mircea Topoleanu, un fotografo rumeno che ho incontrato in seguito in un bar di Bucarest. Al momento del nostro incontro era capodanno, quindi abbiamo festeggiato più che parlare, perciò gli ho chiesto di passare in redazione un paio di giorni dopo per raccontarci come sia farsi arrestare in terra straniera.

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VICE: Ciao Mircea, sono felice che tu sia qui per raccontarci della tua esperienza. Cosa diavolo stavi facendo durante le proteste?

Mircea Topoleanu: Dopo aver passato un po' di tempo con le mani in mano, ho iniziato a lavorare alle illustrazioni di un libro per bambini con un tipo che lavorava al Reform, il quotidiano più importante di Città del Messico. Gli hanno chiesto di andare alle proteste per fare delle fotografie e io l’ho seguito.

Sono state arrestate all’incirca 80 persone alle proteste. È venuto fuori che la maggior parte di loro stava semplicemente andando in giro per i fatti loro. A te, come è successo?

Una donna ha provato a bloccare il passaggio di alcuni poliziotti. Un tipo l’ha seguita con una videocamera e la polizia ha iniziato a picchiarlo. Poi sono intervenuto io, per dire alla ragazza di andarsene. Uno sbirro mi ha sollevato, uno ha preso la mia macchina fotografica e gli altri hanno iniziato a riempirmi di botte. Avevo la testa e la schiena piene di lividi.

Poi cos’è successo?

Mi hanno sbattuto in un furgone assieme a due sbirri e due ragazzi che sono stati torturati per 20 minuti con l'elettrochoc. Continuavano a dire loro: “Tenete giù la testa, chi cazzo vi pensate di essere per guardarci?” Io mi cagavo addosso e ho pensato che sarei stato torturato anch’io, ma mi hanno solo colpito sulle reni, in modo da non lasciare segni.

Cosa è successo quando sei arrivato alla stazione di polizia?

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Hanno perquisito i manifestanti in stato di fermo, 60 uomini e 20 donne; hanno tirato fuori le pellicole dalle nostre macchine fotografiche e confiscato i nostri telefoni. Ci hanno messi tutti in una stanza di dieci metri quadri con un buco nel pavimento per cagare e pisciare. Ricevevamo due panini con carne in scatola e un litro di acqua al giorno. Dormivamo raggomitolati sul pavimento, uno accanto all’altro, senza coperte.

Dici “noi”—chi erano i tuoi compagni di cella?

C’erano bambini spaventati che non avevano idea di dove fossero, studenti, musicisti, un insegnante di ginnastica, un ragazzo un po’ matto… I nostri parenti sono venuti a farci visita, ma non gli era concesso vederci.

Una lettera che è stata trafugata dalla prigione durante una visita. Dice: “Alle nostre famiglie, ai nostri amici, ai messicani e alla comunità internazionale: Noi, coloro che sono stati arrestati il primo di dicembre, vorremmo comunicarvi che i nostri trasferimenti, la nostra difesa e i nostri processi presentano numerose illegittimità. Ma non abbiamo perso la speranza. Ringraziamo tutti voi per aver combattuto per la nostra libertà e per averci dimostrato amicizia e affetto, che sono molto importanti per noi in questi momenti.”

Quindi non sembravano disposti a rilasciarvi?

No. Senza dirci dove stavamo andando, un gruppo di uomini incappucciati ci ha fatti mettere in fila e ci ha caricati su alcune camionette. Ci siamo fermati di fronte a un muro; ci hanno fatti spogliare e mettere in piedi con le mani alla parete. Gli uomini incappucciati continuavano a gridare: “Smettete di gridare, stronzi!”; “Avete freddo, ora? Be’ presto tremerete di paura!”; “Senza dolore non è una prigione, ora lo è?” Cose del genere. E continuavano a picchiarci.

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In che prigione eri?

Reclusorio Norte. Non ne sapevo nulla, ma non appena uno degli altri prigionieri si è reso conto di dove si trovava, ha detto: “Merda, siamo fottuti.” È una delle prigioni peggiori del Messico, ha 20.000 detenuti.

Com’era dentro?

Nei primi dieci minuti mi ha colpito; ero in una prigione, e non sarebbe stato uno spasso. Eravamo in otto in una cella di tre metri quadri. La temperatura notturna era di cinque gradi e ci davano solo due coperte a testa. Era come stare all'aperto. Ci venivano dati da mangiare fagioli e riso due volte al giorno e facevamo la doccia fredda. Il cesso aveva una seduta, questa volta, ma comunque tutti ti vedevano. Ma la cosa peggiore era ricevere… quello sguardo da un altro carcerato. Sentirli dire: “Cazzo, quanto ti scoperei.”

Non sembra proprio un granché. C’era qualche modo per rendere migliore la vita lì dentro?

Be’, proprio di fianco a noi c’era una struttura con gli spacciatori di droga, che indossavano jeans e vestiti normali e avevano un gruppo di mariachi che suonava per loro. La prigione era praticamente un luogo di compravendita. Potevi comprare pistole, droghe, bistecche, stufato, acqua, sigarette. L’acqua del lavandino aveva un sapore orribile. Una guardia ci ha chiesto: “Non volete noleggiare una televisione per vedere l’incontro di boxe?” Era come un supermercato, solo che eri chiuso dentro.

Le guardie erano sempre violente?

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Dopo due giorni i senatori di sinistra del nuovo governo hanno chiesto che fossimo trattati come prigionieri politici, quindi siamo stati separati dai veri criminali e le guardie hanno smesso di picchiarci e di chiamarci stronzi. Teoricamente ci era permesso ricevere visite, ma c’è gente che è venuta a trovarmi quattro volte ed è stata fatta entrare solo una volta. La paranoia ci stava distruggendo: temevamo di rimanere in prigione per sempre, che ci avrebbero messi dentro con altri detenuti, che ci fossero dei microfoni nelle lampadine.

Come sono andati i processi?

Si svolgeva tutto in prigione. Ci portavano nel seminterrato, dove stavamo ad aspettare per 12 ore senza la possibilità di andare in bagno. C’erano soltanto 90 avvocati per tutta la prigione e avevi solo cinque minuti per parlare con il tuo. Il giudice era in un’altra stanza a cui non avevamo accesso. Parlavamo ai nostri avvocati o al giudice attraverso uno sportello.

Il documento che dice che Mircea è innocente.

Non avevano mai sentito dire che un detenuto è “innocente fino a prova contraria”?

No. Il giudice si è anche infastidito quando le ho detto di essere ateo. Avrei dovuto essere cristiano.

Cosa è successo dopo il processo?

Sono stato spedito in questo campo per la detenzione degli immigrati. Mi hanno ammanettato e portato lì in macchina nella completa oscurità. C’erano molte bande: africani, cinesi, indiani, nepalesi, venezuelani, guatemaltechi e honduregni. Riuscivo a percepire la tensione tra di loro, era tutti criminali che facevano affari e giocavano a dadi e a poker per soldi.

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Tu cos’hai fatto?

Io ero l’unico detenuto bianco, alto e magro, quindi sono andato a parlare con l’unico americano che c’era. È venuto fuori che era completamente matto. Mi ha urlato: “Tu lo sai perché sono qui? Perché non ho più i miei occhiali!” Più tardi qualcuno è stato pugnalato con uno spazzolino da denti appuntito perché si è scoperto che è stato messo dentro per aver violentato una ragazzina di 13 anni. Io ho vissuto lì 11 giorni con un cubano e un colombiano che mi hanno dato dei vestiti, mi hanno detto a chi non dovevo dare fastidio e dove dormire. Leggevo anche un sacco di pessimi racconti polizieschi.

Cosa hanno fatto le autorità rumene?

L’ambasciata rumena in Messico ha solo tre impiegati: l’ambasciatrice, suo fratello e un consulente che è il marito dell'ambasciatrice. Il secondo mi ha fatto visita quattro volte, senza avere alcuna effettiva autorità. Dopo il mio secondo giorno nel campo per gli immigrati, gli ho chiesto di chiamare mia sorella e di dirle di procurare il mio passaporto, così che potessi comprarmi un biglietto aereo. Lui mi ha detto: “La chiameremo più tardi nel pomeriggio.” “Penso che dovreste chiamarla ora, sono rinchiuso in un campo di internamento, non in un ristorante,” ho detto. Lui ha risposto: “Oh sì, e cos’altro vorresti? Abbiamo appena avuto le elezioni, sai. In più abbiamo una busta da chiudere e da rispedire in Romania.”

How are you feeling now?

The worst of it all was the fear. I felt it in my bones. Then there was the way time went by. Each second was like a minute. I don’t have any traumas though, which I find a little weird. I’m kind of high on optimism and freedom but I don’t want to return to Mexico. I might visit sometime, but not soon.

Come ti senti adesso?

La cosa peggiore di tutte era la paura, la sentivo nelle ossa. Poi c’era il modo in cui il tempo passava. Ogni secondo era come un minuto intero. Non ho riportato nessun trauma, comunque, e mi sembra strano. Sono in qualche modo inebriato dall’ottimismo e dalla libertà, ma non voglio tornare in Messico. Magari ci andrò qualche volta, ma non molto presto.