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A8N2: Il sesto numero di vice dedicato alla moda

Recensioni

Questo mese il miglior disco l'ha fatto The Caretaker e la miglior copertina, ovviamente, Adriano Celentano.

THE CARETAKER

TYING TIFFANY

ADRIANO CELENTANO

MUX MOOL

C'è gente che dice che l'unica ragione per la quale The Weeknd piace ai bianchi hipster è che i bianchi hipster non sono invitati alle feste con le ragazze di colore super burritose e arrapanti che si drogano e bevono champagne nelle piscine e fanno un sacco di sesso all'ultimo piano dei grattacieli e quindi quando The Weeknd canta tutto freddo e distante e glaciale di come quella vita sia, alla fine, triste e solitaria e deprimente, i bianchi hipster possono dire LO SAPEVO IO TANTO NON CI VOLEVO ANDARE A QUELLE FESTE ECCO UFFA, che è un po' vero. Ma anche un po' no, perché 1) quelle feste sono effettivamente, veramente deprimenti e 2) perché anche R.Kelly e Ginuwine, che invece ci sguazzano proprio in quel mondo, piacciono ai bianchi hipster, quindi tutta la vostra teoria dove la mettete ora? Il punto è che ai bianchi piacciono i neri (e anche i non-neri!) che cantano bene. Tipo da forever.

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TIM SMALL

DIE ANTWOORD

Ten$ion

Zef Recordz

La cosa bella di questa band è che non sai mai se ti prendono per i fondelli o se sono dei geni. Io opterei per la seconda ipotesi, visto che non capisco una mazza di quello che reppano e che canta Mickey Mouse. Le basi sono un inno alla coattanza impunita, ma allo stesso tempo raffinatissime, un po’ come i cessi lucidati degli Autogrill. Cin Cin e Boom Boom irresistibili. Unico neo: i pezzi sono troppo lunghi, a una certa rompono le balle.

PASTRANUCCIO

THE INTERNET

Purple Naked Ladies

Odd Future

È come nelle brutte storie di vampiri in cui i non-morti sono talmente antichi che non gli basta più nutrirsi del sangue dei mortali… gli tocca ciucciare gli altri vampiri! Così il Footwork, ultimissima novità in campo di elettronica ghetto, è hip-hop che fagocita se stesso dopo aver campionato tutto il campionabile e fottuto tutto il fottibile. I tempi sono spezzati in modo psicotico ed è un casino da ballare, praticamente breakdance per fisici quantistici.

IL CUGINO RAPPU$O DI BIRSA

COMMON

The Dreamer/The Believer

Warner Bros. Think Common Music Inc.

Common mi è sempre stato parecchio sulle palle. Forse è la combo crapa pelada più barba estremamente curata e vagamente omo che me lo fa odiare, chissà. Nonostante ciò, ho sempre fatto lo sforzo di ascoltare le sue cose andando oltre i pregiudizi estetici. Il più delle volte ne è valsa la pena, nettamente. Anche questa volta, in un certo senso, il mio sforzo è stato ripagato. Ora, infatti, ho la certezza che non dovrò sprecare neanche un altro minuto del mio tempo a sentire i suoi prossimi album.

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RENZO STUCAZZOPENDO

Ora non è che perché l’R&B va di supermoda basta fare una cosa brutta e noiosa e dargli un nome fichissimo e dire che è affiliata agli OFWGKTA perché VICE ti dia una faccina sorridente. Checché ne dicano tutti i redattori frustrati e i “critici musicali” che non scrivono per noi, qui i dischi, comunque, una minima, li ascoltiamo. E poi boh, alla fine, pensate a che lavoro facevano i vostri nonni e ogni tanto fatevi una cazzo di risata.

TANO SMELL

Emil Amos e Alex Hall si travestono da Madlib versione 2.0 tagliando e cucendo campioni provenienti dai quattro angoli del mondo. Certo, l’idea che sta sotto questo disco non vince il premio originalità, ma sticazzi, seguire le orme di

Beat Konducta

e non sprofondare nelle sabbie mobili delle copie mal riuscite è già un’ottima cosa.

VIRGINYEAH

PHENOMENAL

HANDCLAP BAND

Form&Control

Tummy Touch Records

Erano partiti così bene che mi sarei fermata lì. Invece i Phenomenal Handclap Band hanno sparato fuori un secondo disco. Ce l’hanno venduto come il passaggio naturale dallo psych-rock/cosmic-disco del precedente a suoni più tipo Blondie, Human League, Roxy Music e ABBA. Invece, arrivati al 2012, sembra il vocoder di Jason Derulo finito per sbaglio su un giro dei CSS.

HALL OF FAME CHIMICA

SHIGETO

Lineage

Ghostly

Sei in una di quelle sale da ballo anni ‘50 con il tuo completo su misura che sorseggi un Old Fashioned e fumi un sigaro. Sei seduto su un divanetto di velluto e con una mano accarezzi da sotto il tavolo la gamba della signora che ti sei portato a cena, anche quella sembra di velluto. La vita ti sorride perché sei chic. Chiudi gli occhi e immaginati questa scena mentre ascolti

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Lineage

. Magari prima però fatteli due-tre Old Fashioned.

ORNELLA VAN HONEY

TYING TIFFANY

Dark Days White Nights

Trisol

Simone De Beauvoir ci ha dato la libertà di sbiottarci senza alcuna vergogna. Lady D ci ha insegnato che le donne belle governerebbero il mondo molto meglio dei loro brutti mariti. Yoko Ono… Vabbè, Yoko Ono niente. Però l’onor del vero viene prima dell’onor dell’utero–questa recensione la faccio io perché nessuno vuole essere additato come maschilista. Tiffy è passata dal punkrock all’electroclash, a un goth-synth-pop che ha la stessa verve dell’ora di religione a scuola. Per citare un fan: «Adesso ti metterai a fare dubstep, vero?»

HELENE DE BOULEVARD

MUX MOOL

Planet High School

Ghostly

Come si fa a impostare le canzoni come suonerie nell’iPhone? No perché è da poco che dispongo di questa tecnologia e vorrei mettere qualche brano del nuovo album di Mux Mool, che sembra una compilation di jingle, al posto del tritono della Nokia che ho avuto finora. Ah non si può fare? Ok, non è che muoio.

MAC GEYSER

PINCH & SHACKLETON

Pinch & Shackleton

Honest Jon’s

A Shackleton voglio bene perché ha convinto tutti che la sua elettronica algida con percussioni africane sia dubstep d’alto bordo. Pinch invece è un dubstepparo nella media. Mi piacerebbe tanto dare un sorrisone a questo disco, ma ha il grave difetto di non farmi né caldo né freddo. Del tipo che appena finito di ascoltarlo manco mi ricordo che cazzo era. Sarà colpa mia che ho sempre meno neuroni, in ogni caso la faccenda è grave.

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IL NONNO DI BIRSA

LINDSTRØM

Six Cups Of Rebel

Smalltown Supersound

Lindstrøm è un tipo discontinuo, nel senso che ha in catalogo due o tre disconi e una serie di quasi-minchiate in collaborazione con gente che non sta al suo livello. Ogni tanto mette insieme un disco che vuol essere, per così dire, un disco pop. In questo caso una cosa disco-phuturo che sembra il cover album di una roba dei Parliament ascoltata attraverso i muri dell’appartamento di fianco. Verso la traccia tre, poi, si inizia a sentire il suono di lui che batte la stecca a tutto il pop attuale.

FABIO ARMERIA POLETTI

BRIAN ENO

& RICK HOLLAND

Panic of Looking

WARP

WARNING: NON COMPRATE ALCUN TIPO DI SUPPORTO FONOGRAFICO CHE RIPORTI SOPRA IL NOME “RICK HOLLAND”. Rick non è un chitarrista glam, bensì un poeta che scrive dei testi che David Tibet in confronto è un tipo spiritoso. Brian Eno, oramai noto come il Gad Lerner della musica, non ha fatto quest’album per il pubblico, bensì per i suoi amici, coppie sposate (con figli) con cui va a vedere i balletti a Sadler’s Wells.

Panic of Looking

è innovativo quanto un clistere e divertente quanto un cancro in famiglia.

JOAN RIVERDANCE

POP.1280

The Horror

Sacred Bones

U-N-A-F-I-G-A-T-A, ben scandito così vi convincete che non c’è altro modo di definire questo disco. I Pop.1280 sono un trio newyorkese i cui (ahem) membri hanno palesemente passato l’adolescenza a toccarsi con la scena di

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The Right Side Of My Brain

in cui Lydia Lunch spompina Clint Ruin. Potrei ora lanciarmi in paragoni con una decina di gruppi che conosco solo io, ma meglio evitare, rischio di passare il livello legale di onanismo in una recensione.

MICHAEL GIRA CHE TI RIGIRA

NUNFUCKRITUAL

In Bondage To The Serpent

Debemur Morti

A dire il vero volevo fare il sofisticato e recensire un disco di classe come quello degli Oranssi Pazuzu—dio mi fulmini se non è la cosa più psichedelica dopo le stelline Barilla al brodo di dado e formaggino—ma, si sa, il male vince sempre, quindi mi tocca dar lode al demonio tramite questo macigno lisergico di blasfemie gratuite.

VENTREPPE GIUSELLA

IL TEATRO DEGLI ORRORI

Il Mondo Nuovo

La Tempesta

La recente metamorfosi pasoliniana del Capovilla ha reso Il Teatro degli Orrori un mero strumento di un progetto più grande ed articolato, volto ad aprire gli occhi a migliaia di italiani sulla realtà in cui viviamo Et rinverdire di pari passo (immaginiamo) quell’appeal rivoltoso e poetico che era del rock nei suoi anni più selvaggi e meno allineati. Intento lodevole, peccato che il disco suoni come un’accozzaglia di luoghi comuni sonori e slanci buonisti che manco la campagna di tesseramento del PD.

GIANMORFEO BARTOLINI

PRIMAL FEAR

Unbreakable

Frontiers Records

A portata di cesso ci sono band che le label tedesche nazionaliste continuano a promuovere in pompa magna come se niente fosse. Fra i frutti della sbobba sonora che ingurgitano i crucchi ci sono i Primal Fear e il loro nuovo banalissimo album. I coretti da castrato provenienti da un pelatone vestito di pelle li abbiamo già sentiti dai maestri Judas Priest, ma loro sono inglesi e, cazzo, di stile ne hanno da vendere. Se mi voglio bere una cocacola non mi bevo sicuramente quella dell’Esselunga, che è lì apposta per chi ha gusti di merda.

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ALOHA REICO

ANSA - Prima regali per tutti, abbracci e gioia, poi raffiche di pallottole, mentre ragazzi e adulti stavano aprendo i pacchi. A Forth Worth, in Texas, la polizia ha trovato sette corpi, tutti in un lago di sangue. “Babbo Natale” ha fatto una strage massacrando sei membri della sua famiglia per poi togliersi la vita con lo stereo alle orecchie. Ascoltava i Bastard Priest.

GIUSEPPE VENTRELLA

Dopo anni di black metal suonato nei boschi, travestiti da befana, ci si trova spesso di fronte a un bivio: continuare a fare l’elfo o virare verso l’avantgarde di classe. Di solito dietro queste reincarnazioni c’è sempre la mente ingegnosa di qualche ex-nerd polistrumentista appassionato di arte, letteratura e muffe: è il caso di Stéphane Paut alias Alcest. Il viaggio dell’Anima in questione è un immenso centrifugato poetico, folk e ambient dalle atmosfere sospese: mangiatevi una baguette piena d’aglio, mettetevi nudi nel camino ricoperti di rami ed ascoltatevi sta robba.

COCORICO JO’

BLUT AUS NORD

777-The Desanctification

Debemur Morti

Non ricordo cosa avevo scritto qualche mese fa per recensire la prima parte della trilogia 777 dei Blut Aus Nord, mi pare fosse qualcosa d’entusiasta, quindi a grandi linee direi che può valere anche per questa, che è la seconda parte, e che in primavera sarà seguita da una terza che… Boh, cazzo, so solo che se continuo ad ascoltare sta roba, prima o poi ci resto secco come Padre Merrin.

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GIUSTINO DA PIETRALCINA

LAMB OF GOD

Resolution

Roadrunner records

C’è stato un periodo nefasto in cui bastava avere una super produzione e un frontman munito di acciughe tatuate per essere troppo i più fichi. Il problema è che erano tutti così. Ora che le produzioni hanno abbassato il tiro, quella palude di creature ripugnanti, come per magia darwiniana, si è prosciugata facendo sopravvivere solo i pochi con un briciolo di qualità. I Lamb Of God, fra questi, sfornano album con l’abilità di un pizzaiuolo acrobatico.

Resolution

è una 4 formaggi: buona ma non troppo, dal forte sapore di zola e sicuramente di grande impatto. Sconsigliata a vegani e intolleranti al lattosio.

KIKO RICATOMY

Mi chiedevo come mai i Mogwai non cantassero. Poi mi sono imbattuta nei loro conterranei e cugini di genere The Twilight Sad e ho capito che la pronuncia scozzese nei gruppi indie, a meno che non appartenga ad Aidan Moffat o Stuart Murdoch, ti fa calare le palle sotto al ginocchio.

LADY CARROZZA OSÉ

ADRIANO CELENTANO

Facciamo finta che sia vero

Universal

Il bello di Celentano è che più o meno ogni volta che apre bocca dice una stronzata, e a noi piace così. Musicalmente questo nuovo album accozza Battiato, il tizio dei Negramaro e Jovanotti: un po’ come una tisana di ipecac. Però–attenzione–è il primo disco del molleggiato da 20 anni ad oggi con un certo mordente. Sto pelatone saprebbe interpretare decentemente anche uno spartito di scuregge. Infatti questo fa. Gli metto uno smiley perché non mi riesco a togliere dalla testa “Non so più cosa fare” (scritta da Manu Chao, ho detto tutto).

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PARAPHERNAPARACULIA

MARK LANEGAN

Blues Funeral

4AD

OF MONTREAL

Paralytic Stalks

Polyvynil Records

Che bello: gli Of Montreal cantano come Bowie e si vestono come Elton John! Mentre la gente oggi gioca al revival anni Novanta e si veste ancora peggio, questi continuano a fare glam e psych-pop lasciando tutti in dubbio se siamo nel 2000 o in qualche versione non ben definita dei primi Settanta. In sostanza gli Of Montreal sono più avanti del revival e il loro disco ha vinto tutto.

CORTINA D’AMPLESSO

AIR

Le Voyage Dans La Lune

Virgin

È odioso come gli Air riescano a far sembrare semplicissime le cose difficili. Se da quattro anni la gente prende pezzi di film per farci un video di Youtube, loro danno merda a tutti facendo il procedimento inverso. Tutto suona alla perfezione, nulla è fuori luogo e se qualcuno trova che sonorizzare un film sia una scappatoia si dovrà ricredere, perché per la prima volta tutto succede in modo naturale, facendoti dimenticare com’era senza.

LILLY GROOVER

L’uscita del primo disco di Mark Lanegan a nome Mark Lanegan dai tempi di

Bubblegum

è importante per capire che, uhm, la colpa del fatto che tutte le collaborazioni di Mark Lanegan dal 2004 ad oggi abbiano prodotto quasi solo dischi tristi e scadenti, ecco, non era solo dei collaboratori.

PATRIZIO POLTIGLIA REFN

Il sette di bastoni simboleggia un ultimo disperato tentativo di lotta contro le avversità. Un titolo del genere, da parte di uno che ha appena festeggiato la propria centesima uscita in 7” e che ha appena iniziato a bere dopo vent’anni di straight edge, ha del terrificante. Infatti si tratta di un album claustrofobicissimo, al gusto di eternit, con pezzi dai titoli uno più angosciato dell’altro. Ovviamente ci vado matto.

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LO STOMACO DI BIRSA

DOUG JEREBINE

Is Jesse Harper

Drag City

Il chitarrista Doug Jerebine era un freak della Nuova Zelanda che negli anni Sessanta giustamente non è rimasto con gli amici a trombare le pecore sul set del Signore Degli Anelli ma è andato a Londra, presumibilmente a drogarsi e a registrare questi brani. Infatti, dopo aver fatto dell’acid hippy rock che sembra Jimi Hendrix per un film di Lucio Fulci, ha deciso che Londra era troppo sobria e si è trasferito in India.

MICHAEL HODGKIN’S

MATT ELLIOTT

The Broken Man

Ici d’Ailleurs

Più o meno da

Drinking Songs

ci siamo abituati che ogni nuovo disco di Matt Elliott dev’essere più taciturno, disperato, preso male e distrutto del disco precedente. È una brutta abitudine, un po’ come quelli che guardano i documentari sulle foche massacrate per farsi salire la rogna. La cosa paurosa è che poi Matt Elliott riesce sempre a esserlo, più mortifero e devastante della volta prima, dico. E insomma,

The Broken Man

sarebbe uno smiley grande così ma mettere uno smiley a Matt Elliott sembra una roba orribile. A questo punto il prossimo disco può solo essere Matt che si frusta la schiena e urla per quaranta minuti.

SANTANGELO MARIA INCRICCATO III

ST.RIDE

Tutto Va Bene

Niente Records

Se De André avesse scritto un testo tipo “succhiare l’uccello mi annoia, far finta di avere i conati per farti venire così puoi pensare di avercelo grosso, che noia” probabilmente girando per Genova non me lo troverei citato in ogni dove, fino alla nausea. Per fortuna che ci sono i miei concittadini St. Ride ad elevare il livello culturale di questa città. Ci voleva proprio.

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FEDERICO TIXI

Masaki Batoh dei Ghost ha fatto costruire una Brain Pulse Machine, una specie di elettroencefalogramma musicale composto da un gigantesco casco che sembra uscito da un film di Cronenberg e dei cavi attaccati ad un rack di hardware. Stava per fare un album per i cazzi suoi ma poi c’è stato il terremoto e ha visto un sacco di giapponesi traumatizzati che andavano nella sua clinica di agopuntura (!). Allora ha pensato bene di registrare il suo cervello mentre pregava (e le sue preghiere) ad antichi Dei giapponesi della calamità per poi regalare quest’album di freakness TOTALE ai traumatizzati dal terremoto. Che filantropo!

COSTANTINO DELLA GHERARDESCA

THE CARETAKER

Patience (After Sebald)

History Always Favours The Winners

Leyland Kirby AKA The Caretaker è un genio. Pochi cazzi. Come fa a non esserlo uno che prende campioni da vecchi dischi ammuffiti, ci pianta quintali di riverbero sopra e spera che chi li ascolta si senta come nella scena di

Shining

in cui la sala da ballo si riempie di spettri ballerini? Col nuovo album è riuscito finalmente a fare la colonna sonora di un film. Spero per lui che ci sia almeno una scena come quella, o, al limite, tipo una versione seria di

Thriller

. Se lo merita.

LA POLVERE SUGLI SCAFFALI DI BIRSA