FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

La scuola mi ha allontanato dal mio futuro

Invece di aiutare un giovane a realizzare il suo sogno, la scuola fa sì che questo venga piazzato dove è più redditizio. È questa la situazione in Francia, e questa è la mia storia.
Paul Douard
Paris, FR

Foto via Flickr

"E poi cosa vuoi fare?" La prima volta che mi hanno posto questa domanda, otto anni fa, dalla mia bocca è uscita la stessa non-risposta della maggior parte dei post-adolescenti: "Boh, non lo so." Eppure, la risposta non rifletteva davvero ciò che stava succedendo nella mia testa. Avevo una vaga idea di quello che volevo dalla mia vita: bere con i miei amici, innamorarmi di una ragazza in gamba e riversare su carta tutta la riluttanza che provavo per il mondo moderno. Solo che non puoi dirlo a un consulente di orientamento. Il tizio voleva sapere che mestiere avrei voluto fare, e in base ai miei voti—che secondo la pubblica istruzione francese avrebbero rappresentato le mie facoltà intellettive per i successivi 50 anni—dirmi ciò che avrei e non avrei potuto fare. Quanto a tutti i mestieri che stavo considerando di fare, qualcuno ha deciso che non ne sarei stato all'altezza.

Pubblicità

Al liceo ero uno di quelli che vengono comunemente chiamati sfaticati. Un tipo che non si è mai applicato ma che, grazie a una serie di stratagemmi, riusciva a mantenere una media decente. Stavo in mezzo ai due estremi. Non è che non volessi imparare, ma non m'interessava dimostrare al mondo che avrei potuto ingurgitare conoscenze e risputarle a comando—soprattutto se non riuscivo a trovarle coerenti con il mio spirito. Ho sempre pensato che la scuola si accontentasse di insegnarmi a diventare una macchina simile a un computer immerso in un enorme data center. L'apprendimento non era un piacere, ma una gara come le altre.

Ma la fine del liceo stava arrivando troppo in fretta, così mi sono trovato costretto a fare i conti con il futuro. E dal momento che la valutazione degli insegnati era fondamentale, ho capito che non avrei mai fatto quello che amavo. Come molti adolescenti introversi, ero molto interessato al giornalismo. Non tanto per diventare un cronista inutile, pensavo, ma per raccontare tutte le cose che succedono e di cui nessuno si preoccupa. Invece di incoraggiarmi, però, la scuola mi ha sotterrato di pregiudizi e imposto false barriere. "Se non leggi almeno cinque giornali al giorno è inutile che tenti questa strada" o "sai, il giornalismo è un ambiente abbastanza chiuso."

Il colpo di grazia è arrivato dal mio professore di letteratura, che riteneva insufficiente prendere 14 su 20 in un saggio su

Pubblicità

Germinal

di Zola. "Paul, la tua analisi di Zola non è conforme al mio corso. Rileggilo." Ma fin troppo spesso i voti ottenuti a scuola rappresentano il nostro desiderio di imparare le cose a memoria più che la nostra capacità di analisi e di evoluzione. La scuola opera nello stesso modo in cui operano le campagne pubblicitarie su internet. Al di sotto di una serie di click vengono fermate. Al di sopra, significa che sta andando bene. E quando i click stanno a metà, fai le modifiche necessarie perché cresca e cambi di categoria. Non ti chiedi se sarà in grado di arrivarci o se ne abbia davvero voglia. È questa la logica della società capitalistica. Un lavoratore deve poter essere il più produttivo possibile, non il più felice possibile. Foto via Flickr

Mi fu gentilmente offerta un'iscrizione alla facoltà di giurisprudenza, quella che ritenevano più affine a me. La pubblica istruzione non era lì per aiutarmi nella mia ricerca di felicità quanto per evitarmi la disoccupazione. Ma io non ho voluto ascoltarli e ho iniziato gli studi in antropologia. Credo che quello fu l'unico anno della mia vita in cui andare a frequentare le lezioni alle 8 di mattina sia stato emozionante quanto un goal all'89esimo. Purtroppo, un anno dopo sono passato a giurisprudenza: avrei avuto bisogno di una laurea per essere in grado di esistere e svolgere un lavoro. Invece di migliorare la mia vita professionale, la scuola mi ha tradito: ci spinge verso settori che non ci interessano solo perché sono fonti di occupazione e ci impedisce di accedere ad altri convincendoci del fatto che non ne abbiamo le capacità. Ovviamente, a volte vale anche il contrario: ti fanno credere che proprio perché sai studiare a memoria tu sia in grado di apprendere.

Oggi faccio cose che mi piacciono, come questo articolo, e delle cose che non mi piacciono. È così, c'est la vie. Ma il fatto che la scuola mi abbia orientato contro la mia volontà è sintomatico di una società che promuove il lavoro più della felicità.

L'articolo è stato tradotto e riproposto in versione editata da VICE Francia. Segui Paul su Twitter.

Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: